I  BORBONI  DI  NAPOLI

 

Di Alexandre Dumas

 

Libro I 

 

 

 

Ferdinado IV° o I°.                                                                                                CAPITOLO X.

 

 

 

Nei primi giorni dell'anno 1784 l'imperatore Giuseppe II era venuto a Napoli viaggiando incognito senza fasto sotto il nome di un semplice gentiluomo. Egli ricusò feste ed onori, domandando solamente una guida istruita che potesse fargli vedere Napoli, Pompei, Ercolano e tutto quel golfo che si estende da Miseno a Posillipo e nel quale ad ogni passo si cammina sulla storia.

Egli desiderava pure percorrere le Calabrie, visitare le rovine di quelle cento trenta o cento‑quaranta città e villaggi, ma l'inverno, la mancanza di strade, e le difficoltà del viaggio l'obbligarono a rinunciare a questo progetto.

Un letterato mezzo sapiente chiamato Luigi Serio fu dato per guida all'imperatore, e siccome quegli esprimevasi con faciltà ed era sommamente cortese, trovavasi essere appunto l'uomo che conveniva a Giuseppe 11. Noi ritroveremo quel nome nel martirologio del 1799.

Il re e la regina di Napoli risolvettero anch'essi dì fare un viaggio in Italia, e dovevano ritrovare alla corte del loro fratello Leopoldo, l'altro fratello Giuseppe.

Ma l'orgogliosa Carolina non si contentava di un titolo secondario e di un viaggio senza fasto, che sarebbe piaciuto immensamente alla bonomia del re Ferdinando, onde si fecero grandi preparativi, ed il 30 aprile 1785, per evitar Roma, con la quale si era alquanto in disputa, la coppia reale s'imbarcò sopra un legno riccamente ornato, seguito da altri dodici legni da guerra, e fecesi vela per Livorno.

Appena Ferdinando fu fuori dei suoi stati uno strano fenomeno si operò in lui. La sua inerzia disparve; la sua bonomia, che una viziosa educazione non avea potuto soffocare, comparve in tutta la sua luce, ed oltre passò il limiti nei quali era stata fino allora rinchiusa. Troppo franco per nascondere la sua ignoranza, egli non cercava nemmen di mascherarla, e mentre proponeva un dilemma pieno di buon senso, gli si sentiva ripetere la sua frase solita: « So bene che sono un asino ».

I tre sovrani s'incontrarono a Firenze. Leopoldo, lo abbiam già detto, aveva una certa istruzione, onde egli aveva intrapreso l'educazione di suo cognato, col quale faceva il pedante ad ogni occasione.

Un giorno impazientito dalle sue dissertazioni sulla felicità dei Toscani e su i mezzi impiegati da lui peifarli godere di questa suprema ventura :

‑ Dimmi un poco, dottore, esclamò Ferdinando, nel suo dialetto, sola lingua che egli parlasse, come lo abbiamo accennato, hai tu molti Napolitani al ti‑io servizio o ne' tuoi stati ?

Neppure uno, rispose il principe.

Ebbene, sappi che io ho quasi trentamila Toscani nel mio regno, e fin nella mia casa, Vi sarebbero essi se tu avessi imparato loro a guadagnarsi il pane in casa tua?

Colpito dal vedere un'impressione di tristezza sul volto di quasi tutti i Toscani, Ferdinando diceva a Leopoldo:

‑ Cognato, non so comprendere a che ti serve la scienza che possiedi, tu leggi sempre, i tuoi popoli fanno come te ed intanto essi sono d'una tristezza sepolerale; le tue città, la tua capitale, la tua corte, tutto, è lugubre.

lo non so niente, non posso parlar di niente, non leggo mai eppure il mio popolo è il più gaio di tutti i popoli. lo non vivrei quindici giorni a Napoli, s'esso rassomigliasse alla tua bella Firenze. Dimmi dunque perchè i Fiorentini così allegri sotto i Medici sono così tristi sotto il tuo reggimento?

Non solamente Ferdinando incontrò Giuseppe II in Toscana, ma lo vide nuovamente a Mantova ed a Milano.

Giuseppe possedeva ancor più di Leopoldo la mania di dare quei consigli che impazientivano tanto Ferdinando.

‑ Sì, sì, sì, gli disse questi un giorno, io so tutta la differenza che vi è tra noi ‑ Vuoi che io te la dica. Quando io volli viaggiare, i miei sudditi non volevano in niun conto lasciarmi partire, mentre che i tuoi sudditi sono felici solo quando tu parti ‑ Tu ti corichi sul duro, dormi poco, mangi presto e digerisci male ‑ Occupato continuamente a leggere ed a meditare, fuggendo i piaceri, tu ti dai incredibili fastidii per renderti, il più infelice degli uomini ed intanto tutto in casa tua va da male in peggio I tuoi sudditi ti temono e fra non guari ti odieranno lo, amico mio, dormo benissimo ed a lungo. mangio con appetito e digerisco facilmente.

Fo tutto il bene che il grosso buon senso di cui son provvisto mi suggerisce, i miei sudditi mi amano e sono contenti di me, e tutto ciò malgrado ch'io non prenda per essi nemmeno la centesima parte della pena che tu prendi per i tuoi: credimi cognato: datti un poco di riposo e lascia prenderne agli altri.

Tutto ciò non correggeva l'imperatore che non lasciava sfuggire un'occasione di poter far la scuola al cognato. Un giorno, egli dicevagli, a voce alta abbastanza, per essere inteso da tutti coloro che li circondavano, che i suoi regni di Napoli e di Sicilia, erano pieni di disordine e che l'amministrazione interna erano difettosa.

‑ Per San Gennaro lo so anch'io come te, rispose Ferdinando con la sua franchezza ordinaria ‑ Certamente l'amministrazione dei miei stati non è senza difetti, ma io ho però gran vantaggio sugli altri, io sono convinto della mia ignoranza, ciò che fa ch'io temo d'immischiarmi nella menoma cosa per paura di aumentare gli abusi invece di reprimerli ‑ Cangiar tutto è facile cosa, ma cangiar in meglio è difficile ‑ Rimpiazzare un abuso con un altro si è andare da sciocchezza in sciocchezza. lo lascio adunque tutto sul piede medesimo, nel quale l'han messo mio padre e Tanucci che ne sapeva più di me e che per conseguenza han dovuto far meglio di quel ch'io farei, finchè non sia dimostrata la certezza di quel che voi chiamate progresso e ch'io dico miglioramento.

Ed infatti Ferdinando non cangiò nulla nei suoi stati, ragione per la quale venne un momento nel quale i suoi stati cangiarono tutto.

Però il ritorno dei suoi viaggi, contro la sua abitudine Ferdinando divenne pensoso.

‑ Ah! diceva egli quando lo s'interrogava su quella meditazione « si dice che bisognava viaggiare per istruir. si ; ora i miei viaggi mi han fatto imparare una cosa sola, cioè che sono più asino di quel che credeva.

Del resto già da lungo tempo volendo anch'egli ten. tare qualche riforma nei suoi stati, risolvette molto prima di Fourrier, di stabilire un falanstero nelle vicinanze di Napoli, e più felice di quello vi riuscì.

Noi vogliamo parlare della colonia di San Leucio.

Noi conosciamo abbastanza il re Ferdinando a quest'ora per non aver bisogno di commentare i fatti che racconteremo.

Lasciamo dunque a lui stesso l'espressione dei suo filantropico progetto.

Atteso la rarità del libro, e l'originalità dell'organamento dato da Ferdinando a questa sua prediletta creazione, noi crediamo di far cosa grata al lettore riproducendo nella sua integrità e conservando l'ortografia e la punteggiatura dell'originale.

 

ORIGINE E PROGRESSO DELLA

POPOLAZIONE DI S. LEUCIO.

 

« Non essendo certamente l'ultimo de' miei desiderj quello di ritrovare un luogo ameno, e separato dal rumore della Corte, in cui avessi potuto impiegare con profitto quelle poche ore di ozio, che mi concedono di volta in volta le cure più serie del mio Stato; le delizie di Caserta, e la magnifica abitazione incominciata dal mio augusto Padre, e proseguita da me, non traevano seco coll'allontanamento dalla Città anche il silenzio, e la solitudine, atta alla meditazione ed al riposo dello spirito; ma formavano un'altra Città in mezzo alla Campagna, colle istesse idee del lusso, e della magnificenza della Capitale. Pensai dunque nella Villa medesima di scegliere un luogo più separato, che fosse quasi un romitorio, e trovai il più opportuno essere il sito di S. Leucio. »

« Avendo pertanto nell'anno 1773 fatto murare il Bosco, nel recinto del quale eravi la vigna, e l'antico Casino dei Principi di Caserta, chiamato di Belvedere; in un'eminenza feci fabbricare un picciolissimo Casino per mio comodo nell'andarvi a caccia. Feci anche accomodare un'antica, e mezzo diruta Casetta, ed altra nuova costruire. Vi posi cinque, o sei Individui per la custodia del Bosco, o per aver cura del sopradetto Casinetto, delle vigne, piantazioni, e territorj in esso recinto incorporati. Tutti questi tali colle loro famiglie furon da me situati nelle sopradette due Casette, e nell'antico Casino di Belvedere, che fec' indi riattare. Nell'anno 1776 il Salone di detto antico Casino fu ridotto a Chiesa, eretta in Parrocchia per quegli Abitanti accresciuti al numero di altre famiglie dieciassette, per cui mi convenne ampliare le abitazioni, come feci anche della mia. »

« Ampliato che fu il Casino, incominciai ad andarci ad abitare, e passarci l'Inverno: ma avendo avuto la disgrazia di perdere il mio Primogenito, e per questa cagione più non andandoci ad abitare, stimai di quell'abitazione farne altro più utile uso. Gli abitanti sopracitati, con altre quattordici famiglie aggregateci, giunti essendo al numero di 134, attesa la favorevole prolificazione prodotta dalla bontà dell'aria, e dalla tranquillità e pace domestica, in cui viveano; e temendo, che tanti fanciulli e fanciulle, che aumentavansi alla giornata, per mancanza di educazione non divenissero un giorno, e formassero una pericolosa società di scostumati, e malviventi, pensai di stabilire una Casa di educazione pe' figliuoli, dell'uno, e dell'altro sesso, servendomi, per collocarveli. del mio Casino; ed incominciai a formarne le regole, ed a ricercar de' soggetti abili ed idonei per tutti gli impieghi a tal' uopo necessarj. »

« Dopo di aver messo quasi tutto all'ordine, riflettei, che tutte le pene, che mi sarei dato, e tutte le spese, che vi avrei erogato, sarebbero state inutili ; poichè tutta questa gioventù benchè ben educata, giunt'ad un'età tale d'aver terminati tutti quegli studj alla di lor condizione adattati, sarebbe rimasta senza far nulla ; o almeno applicar volendosi a qualche mestiere, avrebbe dovut' altrove portarsi, per ricercars'il sostentamento ; non essendomi possibile di situarne, che pochi al mio servizio nel luogo. Ed in quel caso, come sommamente sensibile sarebbe stato alle rispettive famiglie il separarsene ; così anch'Io provato avrei una gran pena di vedermi privato di tanta bella gioventù, che come miei proprj figli avea riguardato sempre, ed aveva con tanta pena cresciuti. Rivolsi dunque altrove le mie mire, e pensai di ridurre quella Popolazione, che sempre più aumentata, utile allo Stato, utile alle famiglie, ed utile finalmente ad ogni individuo di esse in particolare : e rendendo in tal maniera felici e contenti tanti poveretti, che per altro fin'al giorno di oggi essendo vivuti nel santo timore di Dio, ed in ottima armonia e quiete fra di essi, non mi hanno dato menomo motivo di lagnarmene, godere lo di questa soddisfazione in mezzo di essi, e delle loro benedizioni, in que'momenti, che le altre mie cure più interessanti mi permettono di prendere qualche sollievo. »

« Utile allo Stato, introducendo una manifatturia dì sete grezze, e lavorate di diverse specie fin ora quì poco, o malamente conosciute, procurando di ridurl' alla miglior perfezione possibile, e tale da poter col tempo servir di modello ad altre più grandi. »

« Utile alle famiglie, alleviandole da' pesi, che ora soffrono, e portandole ad uno stato da potersi mantener con agio, e senza pianger miserie, come fin' ora è accaduto in molte delle più numeros' ed oziose. togliendosi loro ogni motivo di lusso coll'uguaglianza, e semplicità di vestire ; e dandosi a' loro figli fin dalla fanciullezza mezzo da lucrar col travaglio per essi, e per tutta la famiglia, del pane, da potersi mantenere con comodo, e pulizia. »

« Utile finalmente ad ogn' individuo in particolare, perchè dalla nascita ben educati da' loro Genitori; istruiti in appresso nelle Scuole normali, già da qualche tempo con profitto introdotte; ed in ultimo animati al travaglio dall'esempio de' loro compagni e fratelli, e dal lecco del lucro, che quelli ne percepiscono, si ci avvezzeranno, e talmente si ci affezioneranno, che fuggiranno l'ozio padre di tutti i vizj, da' quali infallibilmente ne sarebbero nati mille sconcerti, lasciando inoperosa tanta gioventù, che ora siam sicuri di evitare, perchè giunti di mano in mano questi bravi., e belli giovinetti, e fanciulle all'età adulta e propria, venendosi ad accoppiare, aumenterà sempre più questa sana, e robusta Popolazione, composta al giorno di oggi di 214 individui. »

« Oltre i Padri, e le Madri di famiglia, che travagliano, sono già impiegati nelle manifatture molti figliuoli dell'uno, e dell'altro sesso, ed in una famiglia, che ne ha alcuni grandi, bastantemente buoni artefici, il loro lucro giornale va da 10 a 12 carlini. »

« Ora si è ingrandita la Casa di Belvedere per riunirvi tutto il lavorio, e le manifatture, ch'erano disperse nelle diverse abitazioni, e per fare, che tutta quella Gioventù sia riunita sotto gli occhi di quel degnissimo Parroco, e degli altri non men degni Sacerdoti, che c'invigilano. Si stanno anch'edificando delle nuove Case per comodo di que' giovani, che vadano giungendo all'età di potersi unire in matrimonio, e per quegli Artefici forestieri, che si fissino nel luogo. Di questi ve ne sono alcuni fissati, ed altri, che fanno il noviziato, non essendo che poco tempo, che son venuti. »

« Lo stato presente delle cose giunto essendo ad un tal termine, ed avendosi riguardo all'avvenire, sembrami richiedere, che questa nascente Popolazione, che in pochi anni può divenir ben numerosa, riceva una norma, per sapere i retti sentieri, su de' quali possa dirigere i suoi passi con sicurezza ; e nel tempo stesso sia in istato di conoscere la sua felice situazione ; e questa da qua] fonte derivi. »

« Questa norma, e queste leggi da osservarsi dagli Abitanti di S. Leucio, che da ora innanzi considerar si debbono, come una medesima famiglia, son quelle, che lo qui propongo, e distendo, più in forma d'istruzione di un Padre a' suoi Figli, che come comandi di un Legislatore a' suoi Sudditi. Procurerò, che siano ristrette, ed adattate, per quanto più si può, allo stato presente, ed alle attuali circostanze di questa piccola nascente Popolazione, per cui son fatte. Se questa, crescendo, avrà bisogno di nuovi regolamenti, o se l'esperienza ne indicherà degli altri non preveduti, e necessarj, mi riserbo di darli; cercando per altro di non allontanarmi da' principj fondamentali della presente istruzione. »

 

L E G G I

Pel buon governo della Popolazione di S. Leucio.

« Nessun uomo, nessuna famiglia, nessuna Città, nes. sun Regno può sussistere, e prosperare senza il timor santo di Dio. Dunque la principal cosa, ch'io impongo a Voi, è l'esatta osservanza della sua santissima Legge. »

« Due sono i principali precetti della medesima. 1. Amar Dio sopra ogni cosa. 2. Amar il Prossimo suo, come se medesimo. »

« Amar Dio sopra ogni cosa è amarlo con tutt' il cuore, con tutta la mente, con tutta l'anima, con tutte le forze : è anteporlo a tutte le creature ; ed amarlo più di tutte le cose a noi più care. »

« Nasce in Noi quest'obbligo dal gran bene, che ci ha fatto, e che ci fa in ogni istante. Egli ci ha creati dal nulla. »

« Egli ci ha redenti col suo preziosissimo Sangue. Egli ci mantiene. Egli ci dà quanto ci occorre. L'aria, il cibo, la luce, la salute, i figli, tutto ci vien da Lui. Obbligo dunque di tutti è adorarlo, e venerarlo, com'Ente supremo, ed autor di tutte le cose: di ubbidirlo, come Sovrano Signore. e Padrone: di temerlo, come Giudice giusto, a cui nulla è nascosto : di ricorrere a lui ne' bisogni, e di esercitar verso di Lui gli atti di vero culto, e vera devozione. Tutte le mattine perciò al far del giorno corra ciascuno al Tempio ad adorarlo: Reciti in Coro la preghiera , ed ogn' uno in particolare gli offra in olocausto nel santo Sacrifizio della Messa, che ivi si celebrerà, tutti gli alti del suo cuore, e della sua mente.

Pass'indi alla fabbrica, od in casa; ed attenda nel suo santo nome al proprio dovere. Le sere, al tramontar del Sole, quando tutti saran sciolti dal lavoro, si torni nuovamente in Chiesa alla visita del SS. Sacramento, ed a Lui si rendan tributi di onore. e di gloria pe' benefizj ricevuti, recitandosi anche in coro l'altra preghiera. Osservi ciascuno i precetti della Chiesa ; e frequenti i Santissimi Sacramenti : ed a quest'effetto il Parroco, e gli altri Sacerdoti assistono con assiduità in Chiesa per comodo di tutti, particolarmente ne' dì festivi. »

« Amar il Prossimo suo, come se medesimo, è. non fare agli altri quello, che non vorremmo, che fosse a Noi fatto : ed è fare agli altri. quello che vorremmo, che a Noi si facesse. »

« Da questo dettato della Divina Sapienza nascon varj doveri, de' quali alcuni diconsi negativi. altri positivi. »

CAPITOLO I  --- DOVERI NEGATIVI

« I doveri negativi son quelli, che impongono l'obbligo di astenersi dall'offender alcuno in qualunque maniera. »

« Or in tre maniere si può offendere alcuno. Si può offendere nella persona., nella roba. e nell'onore. »

 

§. I. ‑ Non si può offendere alcuno nella persona.

 

« Si offende alcuno nella persona o coll'ammazzarlo. o col ferirlo, o col batterlo, o col fargli scherni, dispetti, insolenze, ovvero col molestarlo, ed inquietarlo in qualunque modo. Nessuno di questi atti ardirà mai alcun di voi di commettere contra il suo simile: siccome non ardirà mai neppur l'offeso di prender da se la privata vendetta ma ricorrerà a' suoi superiori per la dovuta giustizia e credendo non averla da quelli ottenuta, potrà anche di poi venire da me. Vegliano contro tutti questi delitti attentamente le leggi : Ma tanto più veglieranno esse contro quelli, che mai si commettessero in questa Società, che ha per suo principal fine l'amore, e la carità, e che l'esempio dev'essere della pubblica educazione. »

 

§. II. ‑ Non si può offendere alcuno nella roba.

 

« Si offende alcuno nella roba, ogni qual volta o con violenze, e con inganno si usurpa, o si ritiene ingiusta. niente quello, ch'è d'altrui. Il titolo di ladro è il titol più infame e vergognoso, che poss' aver l'uomo. Ciascuno dunque si guardi bene di meritarlo per alcun modo. In ogni Società i ladri sono condannati ad atrocissime pene. In questa dove l'onore, la virtù sono i principali cardini della medesima, se mai ve ne fossero (che non è neppur da dubitarsi saranno più rigorosamente puniti. Nelle compre perciò, nelle vendite, nelle permutazioni, ed in ogni altra specie di contratti ogn'uno si guardi di usar soperchieria, ed inganno. Nessun venditore abusi dell'imperizia del compratore col chiedere un prezzo maggiore del dovere: e nessun compratore si valga mai dell'ignoranza, o della necessità, in cui è tal volta il venditore, per levargli quel giusto prezzo, che gli spetta. Vadan bandite la menzogna, le frodi, e le fallacie nelle misure, ne' pesi, nella qualità delle robe, che si venderanno, o compreranno, nella qualità del danaro, ed in tutt'altro, in cui la versuzia, e l'inganno possa usarsi; e si proceda in tutto con candore, onestà, e buona fede. Sia la parola il vincolo più sacro della Società, e tutti sian fedelissimi, e sinceri ne' detti, e ne' fatti. Chi ha fedelmente servito, sia prontamente pagato ; nè alcuno gli nieghi, o ritardi la mercede dovuta, acciò non sia causa della sua ruina. In somma erigga ogn' uno nel suo cuore l'altare della giustizia ; e tratti col suo simile, come vorrebbe, che questi trattasse con se ».

 

§. ‑ III. ‑‑‑‑ Non si può offendere alcuno nella riputazione.

 

« La riputazione è la cosa più importante, e più preziosa, che possa aver l'uomo d'onore; e talvolta togliere altrui la riputazione è peggior delitto, che offenderlo nella roba, e nella persona. Nessun quindi dirà mai cose false contro di alcuno, e chi caderà in questo delitto, vada immediatamente bandito da questa Società. Nessuno dirà ingiurie, e villanie ad altri. Nessuno metterà in ridicolo, ed in beffa il suo fratello : essendo tutte queste cose contrarie a quello spirito di carità, e di amore, che Dio comanda, e che lo voglio, per ben della pace. del buon ordine, e della tranquillità delle vostre famiglie, da voi esattamente praticato »

 

CAP. II. ‑‑ DOVERI POSITIVI.

 

« I doveri positivi impongono di fare a tutti il maggior bene che si possa. Questi sono o generali o particolari. I generali riflettono sopra tutti i nostri simili. I particolari riguardano un ceto particolare di persone, come sarebbe il Sovrano. i suoi Ministri, i Superiori, gli Ecclesiastici, gli sposi, i genitori, i figli, i fratelli, i benefattori, i maggiori di età, i giovini, e la Patria. »

 

DOVERI GENERALI

 

§. ‑ I. ‑ Ogn'uno deve far bene al suo simile, ancorchè sia suo nemico.

 

« A ciascuno de' nostri simili noi dobbiam fare sempre il maggior bene. che si possa. Dio comanda. che si faccia per amor suo finanche a' nemici. La più bella vendetta è quella di far bene a colui, che ci offese ; ed il più bel piacere è quello d'imperare per mezzo delle beneficenze sopra colui, che ci disprezzò. Soccorrerlo nelle avversità, ed aiutarlo ne' bisogni è mostrare a tutti gli uomini la più sublime grandezza di cuore e di generosità. Ogni uomo in tutti gli stati può far del bene al suo simile. Il savio, il ricco, l'agricoltore, l'artista, quando impiegano i loro talenti. le loro ricchezze, le loro fatiche a pro de' cittadini, posson ben vantarsi di essere i benefattori dell'umanità. Ogni volta adunque, che si presenti a voi l'occasion di giovare ad altri, ciascuno l'abbracci; nè mai sì spaventi di qualche incomodo, che seco porti questa generosa azione ; poichè sarà sempre ben compensato da quel dolce e puro piacere, che l'accompagna. »

« Questo sovrano precetto di Dio è fondato sopra quella perfetta uguaglianza, che gli piacque stabilire tra gli uomini. Egli li costituì in natura tutti fratelli, e dispose, che nessuno imperasse sopra di loro, fuor di lui, o di coloro, a' quali egli affidasse il governo dei popoli. Per sua mercè egli ha dato a me il grave peso di governare questi regni: ed io nel dar a voi questa legge non intendo far altro, che seguire i suoi eterni consigli. »

« Sin da prima, che io concepii il bel disegno di unirvi in società in questo luogo, pensai ancora, di  crearvi tutti

artieri, e darvi la maniera di divenirne famosi. La felicità di questi Reami mi fece concepir quest'idea. Vedendo, che i tre regni della natura, cioè il vegetabile, l'animale, ed il minerale quì per singolar dono della Provvidenza tengono la propria lor sede, e che solo manca in essi chi a' naturali prodottì de' luoghi dia le nuove forme, mi risolsi nell'animo di porne ad effetto l'intrapresa. Già son pronte in buona parte le macchine, e gli ordigni corrispondenti al disegno. Solo resta, che per voi ci sia una fissa legislazione, che suggerisca la norma della condotta della vita, e che prescriva gli stabilimenti necessari all'arti introdotti e da introdursi. »

 

§. ‑ III . ‑ Il solo merito forma distinzione tra gl'individui di S. Leucio. Perfett'uguaglianza nel vestire. Assoluto divieto contro del lusso.

Essendo voi dunque tutti artisti, la legge che io v'impongo, è quella di una perfetta uguaglianza. So, che ogni uomo è portato a distinguersi dagli altri ; e che questa uguaglianza sembra non potersi sperare in tempi così contrarii alla semplicità, ed alla natura. Ma so pure, che vana e dannevol'è quella distinzione, che procede dal lusso, e dal fasto e che la vera distinzione, che procede dal lusso, e dal fasto e che la vera distinzione sia quella, che deriva dal merito. La virtù, e l'eccellenza nell'arte, che si esercita, debbono essere la caratteristica dell'onore, e della singolarità ; e questa, qual debba esser tra voi, sarà qui sotto prescritta. »

« Nessun di voi pertanto, sia uomo, sia donna, presuma mai pretendere a contrasegni di distinzione, se non ha esemplarità di costume, ed eccellenza di mestiere. A questo oggetto per evitar la gara del lusso, e il dispendio in questo ramo quanto inutile, altrettanto dannoso, comando, che il vestire sia eguale in tutti : che estrema sia la nettezza, e la polizia sopra le vostre persone, acciò possa aversi quella decenza, che si richiede per rispetto, e venerazione dovuta a chi si degna portarsi a vedere i vostri lavori ; che questa polizia sia anche esattamente osservata nelle vostre case, acciò possa godersi di quella perfetta sanità, ch'è tanto necessaria nelle persone. che vivono coll'industria delle braccia. Di voi nessuno ancora ardirà mai chiamarsi col Don, essendo questo un distintivo dovuto soltanto a' Ministri del Santuario in segno di rispetto, e di venerazione. »

 

DOVERI PARTICOLARI

 

§. ‑ I. ‑ Doveri verso il Sovrano.

 

« Dopo D io devesi ai Sovrani, come dati agli uomini da Dio, la riverenza, la fedeltà, l'ossequio. Le funzioni sublimi, ch'essi esercitano, gli fan dividere colla Divinità questa venerazione. La loro persona dee rispettarsi, come sacra; e tutti gli ordini, che vengon da loro. debbon ciecamente eseguirsi, e prontamente osservarsi, »

 

§. – II. ‑ Doveri verso i Ministri.

 

« Sono i Ministri tutt'imagini de' Sovrani. Ogni posto, che da essi si occupa, si occupa per loro. Per loro essi comandano; per loro vegliano alla custodia, ed all'osservanza delle leggi. Per amor di loro voi dunque dovete ad essi tutti quegli atti di rispetto, e di ubbidienza, che l'autorità pubblica esige. »

 

§. III. ‑ Dei matrimoni.

 

« La donna fu concessa da Dio all'uomo per sua ragionevol compagna. Dall'unione di entrambi nacque la propagazione e conservazione dell'uman genere; e dalla moltiplicazione de' matrimoni ebbero origine, e tuttavia fioriscono le Società, e gl'imperii. Perchè dunque anche questa popolazione prosperi, ed aumenti sotto la benedizione dell'Altissimo, vi voglion de' matrimoni, la celebrazione de' quali per voi io sottopongo alle seguenti leggi ».

« I. L'età del giovine non dovrà esser meno di 20 anni; e quella della fanciulla di 16. Ed in queste circostanze neanche sia loro permesso di contrarre gli sponsali, fino che dal Direttore dei mestieri per lo giovane, e dalla Direttrice per la fanciulla non vengano con attestato dichiarati provetti nell'arte, a segno di potersi lucrar con sicurezza il mantenimento; ed allora in premio della lor buona riuscita si concederà da me ad esse una delle nuove case, che ho espressamente fatto costruire con tutto ciò, che è necessario pe' comodi della vita, e ì due mestieri, co' quali lucrar si possano il cotidiano mantenimento. »

« II. Quando un giovine giunto all'età stabilita, avrà inclinazione per una giovane, che sia anche dell'età prescritta, ed abbiano ambedue appreso le rispettive arti, dovrà subito darne parte a' suoi genitori, i quali n'avvertiranno quelli dell'altra parte per loro intelligenza, e perchè di comun consenso badino sulla condotta de' figliuoli, acciò tutto vada con decenza, ed acciocchè non accada inconveniente alcuno; potendo ben dars'il caso, che su di una medesima persona più di uno pretenda. »

« III. Nella scelta non si mischino punto i genitori, ma sia libera de' giovani, da confermarsi nella seguente maniera. Nel giorno di Pentecoste nella Messa solenne, in cui interverranno tutti gli abitanti del luogo, e le fanciulle, ed i giovani esteri, che travagliano nelle manifatture, da due fanciulli dell'uno. e dell'altro sesso si porteranno all'Altare per benedirsi da chi celebra, due canestri pieni di mazzetti di rose, bianche per gli uomini, e di color naturale per le donne; e nel terminar questa funzione da ciascun individuo se ne prenderà una, come le palme. Nell'uscir poi dalla Chiesa, i pretendenti nell'atrio di essa, dov'è il Battisterio presenteranno il lor mazzetto alla ragazza pretesa : e questa accettandolo, lo contracambierà col suo; ma escludendolo, con poli. zia, e buona maniera glielo restituirà; e nè all'uno, nè all'altra sarà permesso contestazione alcuna; e perciò i primi ad uscir di Chiesa, e situarsi nel sopradetto atrio saranno i Seniori del Popolo per imporre loro la dovuta soggezione. Coloro, che contracambiato si saranno il mazzetto lo porteranno in petto sino alla sera: quando dopo della santa benedizione accompagnati da' respettivi genitori si porteranno dal Parroco, che registrerà i nomi, e la parola. Dopo questa funzione sarà permesso farsi quant'altro incumbe a norma del Concilio di Trento, e di ogni altro requisito della legge, in Chiesa, in cui interverranno i Seniori del Popolo, e i Direttori, e le direttrici dell'arti, non solo per sollennizzare con quella pompa, che si richiede, questo gran Sacramento, ma per contestare agli abitanti, che gli Sposi meritano la stima di tutti per la bontà del lor costume, e per essersi resi coll'arte, che già hann'appresa, utili a loro, alle fami. glie, allo Stato, e che per tutt'il tempo della lor vita non vivranno mai a peso di alcuno. »

« IV. Essendo lo scopo di questa società che tutti rimangan nel luogo; quindi per impegnarli a restare, alle figliuole, ch'abbian imparata l'arte, e voglion maritarsi fuori, non sarà dato altro, che soli ducati 50 per una volta tantum, e dal momento saran considerate com'estere, senza speranza di mai più potervi tornare. »

« V. Quando un giovine abitante, o artefice vorrà prender in moglie una estera, non potrà farlo, se prima quella tal giovane, ch'egli vuol sposare, non abbia appreso il mestiere in questa, o in altra manifatturia. »

« VI. E se assolutamente voglia prender in moglie una estera, che non abbia arte in mano, dal momento uscir debba dal luogo, di dove non sarà più considerato come individuo, e senza speranza di potervi mai più ritornare.»

« VII. Que' tali giovini dell'uno, e dell'altro sesso, che giunti sieno all'età di 15 anni senz'essersi impiegati nelle manifatture per mancanza di volontà, saranno mandati in casa di correzione, col divieto di non poter mai più tornare nel luogo. E coloro, che impiegaticisi non abbian nulla appreso per mancanza di applicazione, saran mandati in casa di educazione, col divieto di non poter tornare nelle di loro case, se non istrutti. »

« VIII. Essendo lo spirito, e l'anima di questa società l'eguaglianza tra gl'individui, che la compongono, abolisco tra' medesimi le Doti, e dichiaro, che ciocchè da me sarà per beneficenza somministrato, come di sopra si è detto, in occasione di matrimoni, sarà solo per premio della buona riuscita, che gli sposi avran fatta nell'arte, e nel buon costume : beneficenza, che a loro accorderò col divino aiuto sino alla quarta generazione, dopo di che la donna porterà il solo necessario corredo; dovendo aver dopo la morte dei genitori, la parte eguale co' maschi, com' in appresso sarà prescritto. »

 

§. IV. ‑ Degli Sposi.

 

« Capo di questa società coniugale è l'uomo. Natura gli conferì questo dritto : ma gli proibì nel tempo stesso di opprimere, e di maltrattare la sua moglie. Con tuono di maestà in ogni occasione gl'intimo l'obbligo di amar. la, di difenderla, e di garantirla da' pericoli, a' quali la sua debolezza la porterebbe. Il marito deve alla moglie la protezione, la vigilanza, la prevedenza, gli alimenti, e le fatiche più penose della vita. La moglie deve al marito la giusta deferenza, la tenera amicizia, e la cura sollecita per cimentare da più in più la cara unione. Impone ad essi natura questi sacri precetti non solo per ispirare sul di loro esempio ad ogni altro individuo i sentimenti della società, ma perchè divenendo genitori, non sien i figli infelici e negletti tra le dissenzioni, e le discordie domestiche; ed in luogo di presentar cittadini buoni, ed utili alla Patria, gli dian discoli e perversi. Or per seguire questo gran disegno della natura, sempre savia nelle sue operazioni, io prescrivo, e comando ad ogni marito di questa società di non tiranneggiar mai la sua moglie, nè di esserle ingiusto, togliendole quella ricompensa, che sia dovuta alla di lei virtù: ad ogni moglie che rendasi cara al suo marito; che nelle cure, e ne' travagli sia la sua fedele compagna; e che l'onore richiami sul comun letto maritale le celesti benedizioni ».

 

§. V. ‑ De' Padri di Famiglia.

 

« E' il principal fine del matrimonio la procreazione della Prole. Divenuti gli sposi genitori de' figli, eccoli sottoposti ad altri più pesanti doveri, ed a più precise obbligazioni ».

« E' il principal fine del matrimonio la procreazione della Prole. Divenuti gli sposi genitori de' figli, eccoli sottoposti ad altri più pesanti doveri, ed a più precise obbligazioni ».

« Il Padre è nell'obbligo di sovvenire, di assistere, di sostenere insiem colla madre i propri figli. Entrambi son tenuti di educarli, e di procurar loro uno stato di felicità in questo mondo. Per le loro o sollecite o trascurate cure diverrann'essi l'oggetto o della loro compiacenza e contentezza, o del loro continuo rammarico. Per loro saran membri utili, o disutili nella società; buoni, o viziosi; onorati, o infami; comodi, o bisognosi. A voi dunque che già padri siete o a cui toccherà in sorte di esserlo, a voi comando di educar bene i vostri figliuoli. Se voi loro ispirerete a tempo l'amor della fatica, essi sarann'utili a se, a voi, alla Patria. Se l'ubbidienza, essi vi benediranno. Se la modestia e la sobrietà, non avranno occasione di vergognarsi. Se la gratitudine, e la carità, otterranno benefizi, e si guadagneranno l'amore di tutti. Se la temperanza, e la prudenza, saranno sani, e fortunati. Se la giustizia, e la sincerità, saranno onorati, e non sentiran rimorsi nel cuore. Se finalmente la religione, essi vivranno e moriranno contenti. Questo è di tutti i doveri l'articolo più importante; e perchè scorgo, che da esso deriva non solo la pace, e 'l benessere delle famiglie, ma benanche la prosperità, e la felicità dello stato, io sono entrato a prendervi la principal parte ».

 

§. VI. ‑ Leggi della buona educazione dei Figli.

 

« Già è situata in Belvedere la scuola normale, in cui s'insegna a' fanciulli, ed alle fanciulle sin dall'età di anni 6 il leggere, lo scrivere, l'abbaco; il catechismo della religione; i doveri verso Dio, verso se, verso gli altri, verso il Principe, verso lo Stato; le regole della civiltà, della decenza, e della polizia; i catechismi di tutte le arti; l'economia domestica; il buon uso del tempo, e quant'altro si richiede per divenir uomo dabbene, ed ottimo cittadino. Obbligo vostro sarà, che tutti i vostri figli dell'età prescritta vadan nelle date ore del giorno alla scuola. Per renderli ancora utili a voi, allo stato e ad essoloro, per non farli andare altrove a cercar la maniera d'impiegarsi, ho provveduto questo luogo di macchine di strumenti, e di artisti abili ad insegnar loro le più perfette manifatture, e vi s'introdurranno ancora tutte quelle altre arti, che hanno immediato rapporto coll'introdotte, ad oggetto di aversi quell'insieme, che indispensabilmente vi si richiede per l'economia, e per la perfezione ».

« Vi saranno stabilimenti particolari pel buon ordine, e sistema delle manifatture, ne' quali sarà fissato l'orario del lavoro secondo i dati mesi dell'anno ».

« I prezzi del lavoro d'ogni manifattura saranno fissi; ma il giovine, o la fanciulla apprendente salirà per gradi, e come anderà perfezionandosi nell'arte, sino al prezzo, che godesi da' migliori artisti, nazionali e forestieri. Pervenuti a questo stato, se avran talento da portare la di loro opera ad un altro grado di maggior bellezza, e perfezione, si terran de' corsi; e quello, o quella, di cui il lavoro sarà più bello, più esatto, e più perfetto, avrà per premio il distintivo di una Medaglia d'argento, ed in qualche caso anche d'oro, che potrà portare in petto; ed in Chiesa avrà la privativa di sedere por ordine di anzianità nel Banco, che sarà chiamato del Merito, che sarà situato unicamente per i giovani di tal fatta alla parte sinistra dell'altare ».

« Le cognizioni perfette della Divinità, la scienza di tutte le sociali virtù, l'amore, e la continua applicazione al lavoro, il desiderio di distinguersi per via di merito, il giusto compenso, che troveranno nella fatica, mi fanno sperare, che un giorno possan divenire gli oggetti della mia compiacenza, come della vostra tenerezza; e possan giustamente ereditare da voi tutto quello, che voi colli vostri sudori vi avrete onoratamente procacciato. Ed in questo ancor voglio, che siate distinti da tutto il resto de' miei popoli. »

 

§. VII. ‑ Leggi di successione.

 

« Voglio, e comando, che tra voi non vi sian testamenti, nè veruna di quelle legali conseguenze, che da essi provengono. La sola giustizia naturale, e la natural equità sia la face, e la guida di tutte le vostre operazioni. I figli succedano a' genitori, e i genitori a' figli. Abbian luogo i collaterali, ma nel solo primo grado. In mancanza di questi succeda la moglie, ma nel solo usufrutto, e fino a che manterrà la vedovanza. Dopo la di lei morte, e sempre nel caso di mancanza di tutti lì sopradetti eredi, sian i beni del defunto del Monte degli Orfani, delle cui rendite si forma una Cassa, che chiamerassi degli Orfani, da amministrarsi per ora dal parroco, che sarà obbligato di darne a Me conto. »

« Se poi rimangan degli orfani di padre, e di madre, i quali non sieno ancora in istato di lucrarsi colle proprie fatiche il cotidiano alimento, mia sarà la cura di mantenerli, e farli educare col prodotto della sopradetta Cassa, e col dippiù, che vi necessiti. »

« Abbian i figli porzion eguale nella successione degli ascendenti ; nè mai resti esclusa la femina dalla paterna eredità, ancorchè vi sian de' maschi. »

 

§. VIII. ‑ De' figli di famiglia.

 

« Impressi dall'Altissimo fin da' primi momenti della creazione ne' cuori de' genitori i sentimenti di si sviscerato amore verso de' figli, era senz'altro della sua Divina giustizia prescriverne a' medesimi il gran precetto di onorarli. Tante pene, tanti sudori, tanti affanni meritavano certamente un onorato compenso. Io che le veci di Dio sopra di voi sostengo, sull'esempio del suo tremendo comando, l'istesso precetto a voi rinnovo. Rispettate, o figli, i vostri genitori: ricevete con umiltà i loro avvisi, e le loro correzioni: soffrite volentieri anche i castighi ad emendazione de' vostri vizi, e de' vostri difetti : serviteli soccorreteli : compiacetegli in ogni cosa: siate loro grati, e non dimenticate neppur un momento i benefizi ricevuti: e sopra tutto astenetevi da ogni atto, che possa offenderli. Questo il gran Dio vi precetta, e questo anch'Io vi comando. E se Dio maledice que' figli, che sono irrispettosi a' padri, lo li bandisco per sempre da questa Società, come mostri indegni di più stare nella medesima. Anzi perchè in essa non alligni razza di gente così inumana, condanno all'istessa pena colui, che essendo stato presente all'ingiuria, non sia corso immediatamente a darne parte a' Seniori del popolo, per passarne a Me prontamente l'avviso. »

 

§. IX. ‑ De' Fratelli.

 

« L'amore è l'anima di questa società. Dunque, voi, o fratelli, figli di un istesso padre, e che il latte succhiaste di una madre istessa, amatevi con vero amore; aiutatevi scambievolmente con vera premura : vivete fra di voi in perfetta concordia; nessuno abbia invidia dell'altro, e soffochi all'istante nel suo cuore que' sentimenti di odio, e di vendetta, che mai concepito abbia per qualche torto dall'altro ricevuto. L'offeso reclami l'autorità del padre, se vive, ed alle determinazioni di questi placidamente si sottometta, e si accheti. In mancanza poi del padre corra a' Seniori del popolo, e la pace da loro implori. L'odio tra' fratelli è la più brutta, la più perfida, la più indegna, e scandalosa cosa, che possa vedersi sulla Terra. »

 

§. X. ‑ De' discepoli.

 

« I maestri equivalgono a' genitori. Se i genitori danno la vita, i maestri danno la maniera di sostenerla. Quegli obblighi dunque, che i figli hanno a' genitori, quelli stessi i discepoli hanno a' maestri. Ad essi debbono l'amore, e la gratitudine: ad essi l'ubbidienza, ed il rispetto. La pratica per tanto di tutti questi doveri alla grata riconoscenza di tutte le loro cure lo anche a voi costantemente impongo. »

 

§. XI. ‑ De' beneficati.

 

« Se v'ha sulla terra creatura, che possa in un certo modo gareggiare colla Divinità, egli è senz'altro il bene. fattore. Deve a questi il beneficato il prezzo del beneficio in tutta la sua estensione. Se, per esempio, un infelice vicino a perder la vita per la fame, trovi un'anima benefica, che lo ristori, egli deve al benefattore la vita: se lo soccorre ad uscir dalle miserie, a lui deve tutto quel comodo, che acquista : se lo porta ad esser felice, a lui deve tutta la sua felicità. Gli obblighi dunque de' beneficati sono sempre assoluti: a niuno di essi è lecito sco­noscerlo senza la taccia d'ingrato. L'ingratitudine è un vizio così odioso e detestabile, che rivolta tutta l'umanità. Ogni uomo ha interesse ad odiare l'ingrato, perchè riconosce in lui uno, che tende a scoraggiar l'anime benefiche, a bandir dal commercio della vita la compassione, la bontà, la libertà, e quel santo desiderio di giovare, che forma il nodo più sacro della società.

Voi dunque, quanti siete in questa società, rispettate chi vi benefica: contestategli in ogni occasione i sentimenti della più sincera riconoscenza: soddisfare a tutt'i suoi desideri : non l'inducete mai a pentirsi di tutto quello, che vi fa: ma dategli continui motivi di spandere sempre più sopra di voi le sue benefleenza, e di estenderle sul vostro esempio sopra degli altri. »

 

§. XII. ‑ De' giovani.

 

« I vecchi, e tutt'i maggiori di età avendo meritato da Dio il dono di essere in questo Mondo prima de' giovani, è quindi un dovere di questi di venerarli, ed ubbidirl' in tutte le cose lecite, ed oneste. Nessuno per conseguenza può oltraggiarli: che anzi debbon tutti rispettare la loro veneranda età, ed ascoltare, e seguire i loro prudenti consigli. E se mai alcuno vi sarà tra voi, che abbia il temerario ardire di usar loro poco rispetto, e poca venerazione, il padre ' o se questi manca, i Seniori del popolo per la prima volta l'ammoniranno seriamente: per la seconda volta faranno dal figlio chieder perdono in pub. blica Chiesa al vecchio offeso; e per la terza volta se ne passerà a Me l'avviso per espellerlo dalla società. »

 

§. XIII. ‑ De' Vecchi.

 

« Dovere però de' vecchi, e de' padri dì famiglia sarà sempre dar a' giovani, ed a' figli il buon esempio non solo nell'esemplarità della vita, ma anche nell'amor della fatica, poichè se essi saranno sobri, religiosi, prudenti, laboriosi, modesti, tali saranno i giovani, ed i figli; e così si avrà nella società quel fondo di virtù, che ardentemente desidero ».

 

XIV. ‑ De' Seniori del popolo. Tempo di eleggerli e loro doveri.

 

« Tra questi, comando, che in ogni anno nel giorno di S. Leucio se ne scelgan cinque de' più savi, giusti, intesi, e prudenti, i quali senza strepito giudiziario col dolce nome di Pacieri e di Seniori del popolo, di unita col parroco, decidano tutte le controversie civili, e d'arti senza appello provvedano, e procurino, che nella società non manchi nessuna delle cose di prima necessità; mentre liberamente si permette a chiunque voglia, di aprir forni, macelli, cantine, ed ogni altra bottega di commestibili, ma coll'obbligo di tener le proviste per comodo della società, dal principio fino alla fine dall'anno, e di vendere a giusto prezzo i generi, e non maggiore dell'assisa di Caserta, senza frode, e senza inganno; e coll'obbligo speciale a' venditori di vino di non far mai nelle loro botteghe, o cantine giocare a veruna sorta di giuoco, ancorchè lecito, o per ischerzo, sotto pena di essere immediatamente sfrattati dalla società. Si assicureranno dì tutti questi articoli i Seniori suddetti colle debite sicurtà; ed invigileranno sulla bontà de' generi, e su tutt'altro, che convenga, col massimo rigore, e colla più religiosa esattezza ».

« Sarà cura de' sopradetti Seniori ancora d'invigilare rigidamente sul costume degl'individui della società, sull'assidua applicazione al lavoro, e sull'esatto adempimento del proprio dovere di ciascuno. E trovando, che in ess'alligni qualche scostumato, qualche ozioso, o sfaticato, dopo averlo due volte seriamente ammonito, ne passeranno a me l'avviso, acciò possa mandarsi o in casa di correzione, o espellersi dalla società secondo le circostanze ».

Della proprietà, e nettezza delle abitudini sarà anche loro cura, perchè da tutti si osservi ; prendendone specialmente occasione nella visita degl'infermi, che dovranno giornalmente fare, per darmi distinto ragguaglio del numero di essi in unione del medico, della qualità delle malattie, e de' soccorsi straordinarii, di cui necessitassero ».

« Loro cura parimente sarà di dare esatto conto de' forestieri che capitassero nel luogo, e dovessero pernottarci; colla distinzione del motivo perchè sieno venuti: in casa di chi rimangano, e per quanto tempo ».

 

XV. ‑ Dell'inoculazione del Vaiuolo, e degl'infermi.

 

« Vi sarà perciò una Casa separata totalmente dall'altre in luogo di aria buona, e ventilata, chiamata degl'infermi. In questa nei debiti tempi di autunno, e di primavera d'ogni anno si farà a tutti i fanciulli, e le fanciulle della società l'inoculazione del vaiuolo. In ess'ancora si trasporteranno tutti coloro che saranno attaccati da morbi contagiosi, tanto acuti, che cronici. Per questa casa vi saranno i suoi regolamenti particolari, riguardant' il buon governo non solo degl'infermi, ma benanche l'economica amministrazione. Un Prete tra gli altri assisterà sempre in essa per comodo degl'infermi, ed ora l'uno, ora l'altro de' Seniori del popolo tutte le mattine, e tutti i giorni ne faranno la visita, per vedere, se tutt'è in buon ordine, se vi è la massima polizia possibile, e se gl'infermi sono assistiti tanto nello spirituale, che nel temporale colla massima esattezza, e scrupolosità. I medici, i medicamenti, le biancherie, e quant'altro occorre pel mantenimento del luogo, e degl'individui, tutto sarà sempre da me somministrato ».

 

§. XVI. ‑‑ Maniera di eleggere li Seniori del popolo.

 

« L'elezione de' sopradetti Seniori si farà, congregandosi tutti i capi di famiglia, dopo della Messa solenne con tutto il rispetto, e con tutta la decenza nel salone del Belvedere, per la bussola segreta, ed a maggioranza de' voti, sempre presidente il parroco ».

« Dell'elezione se ne farà subito a me rapporto per ottenerne la confirma, ed in virtù di essa potran godere dell'onorifica distinzione di sedere in Chiesa nell'altro banco del merito, situato a fronte di quello de' giovani della parte destra dell'altare ».

 

§. XVII. ‑‑ Degli artisti poveri. Della cassa di carità e suoi regolamenti.

 

« Per effetto di quell'amore, che è l'anima di questa società, e per quello spirito di fratellanza, che a ciascuno di voi deve far riguardare questa popolazione, come una sola famiglia, giusto è ancora, che se tra voi si trovi un artista, privo di moglie e di figli, o con questi, ma non in istato di lucrarsi il pane per loro, e pel povero padre caduto in miseria o per vecchiaia, o per infermità, o per altra fatal disgrazia, ma non mai per pigrizia, ovvero infingardagine; sia da tutti comunemente soccorso acciò non si riducano nello stato di andar mendicando, ch'è lo stato più infame, e detestabile, che sia sulla terra. Perciò siavi tra voi una Cassa, che chiamerassi della Carità, dalla quale sian codest'infelici comodamente soccorsi o per tutto il tempo della vita, o fino a che non sian rimessi in istato di potersi lucrare il pane. Avrà questa Cassa per fondo un rilascio di un tarì al mese, che ogni manifatturiere, che sia in istato di guadagnare più di due carlini al giorno, farà in beneficio della medesima; e di quindici grana al mese, per quelli che guadagnino meno di due carlini al giorno. Sarà ess'amministrata dal parroco, da' Seniori, e da' direttori dell'arti, i quali rilasceranno in beneficio della sopradetta Cassa quello, che più la pietà lor detti. Tutti daranno il voto nel caso di doversi soccorrere qualche infelice. L'esazione si farà nel seguente modo. »

« Tutti gli artisti di qualunque condizione siano, sa­ran descritti in uno Stato. Questo si affiggerà nell'atrio della Chiesa, dove ogni prima Domenica di mese, la mattina, dopo un dato segno di campana, che si chiamerà la Carità, si troverà il parroco, sempre che possa (o chi egli destinerà degli altri sacerdoti) a ricevere da' medesimi la somma prescritta, che farà notare da ciascuno di proprio carattere in un libro, che appostatamente si terrà. Raccolta la Carità, si farà la numerazione degli artisti colla nota, o sia Stato alla mano, e della moneta pagata in presenza de' Seniori, e dai direttori; e si vedrà, se tutti hanno adempito, si noterà in un foglio. che si affiggerà in una tabella chiamata de' Contumaci, che si sospenderà appresso allo stato degli artisti, acciò ogn'uno sappia il contumace. Chi manca per tre volte. e non purgherà la contumacia, pagando nell'ultima volta tutto l'attrasso, sia cassato dallo Stato sopradetto, e non goda più nè questo privilegio personale in caso di disgrazia, nè l'esequie, e gli altri suffragi, come in appresso si dirà, nè l'esequie. e gli altri suffragi, come in appresso si dirà, a spese della Cassa suddetta; su di che invigileranno rigorosamente i Seniori. Questa Cassa sarà chiusa a tre chiavi, delle quali una ne terrà il parroco, un'altra li Seniori, e la terza finalmente li Direttori. A nessun sarà mai lecito di disporre di un grano dì essa per altro uso, in fuori di quello detto di sopra, e di quant'altro in appresso si dirà. Ogni anno fatta l'elezione de' nuovi Seniori del popolo, si farà la numerazione del danaro in essa esistente, e se ne farà la consegn' a nuovi Eletti insiem colle chiavi presso di loro, e solo si renderanno indegni di questa prerogativa coloro, che si mostreranno infedeli verso di essa. Appena entrati in governo i nuovi Eletti prenderanno i conti dell'introito, ed esito da tutte le soprammentovate persone, e subito si rimetteranno a me per poterli far esaminare, e discutere. »

 

§. XVIII. ‑ Dell'esequie, e dei lutti.

 

« L'esequie sian semplici, divote, e senza distinzione. Il Parroco, e li soli Preti del luogo associeranno il cadavere senza esiger' emolumento alcuno. Quando il cadavere sarà in Chiesa (ciocchè non si farà, se non ventiquattro ore dopo morto) si farann'ardere d'intorno al medesimo solo quattro candele. Ciascun Prete celebrerà per l'anima del defunto una messa letta, ed il Parroco la cantata. Il cadavere di un Seniore del Popolo, che muoia in ufficio, sarà associato dal Clero, come sopra, e da tutti i capi di famiglia, portanti avanti del medesimo le candele accese in riconoscenza dei buoni servizii prestati alla società. Nella morte finalmente di un Direttore, o di una Direttrice di arti, oltre il Clero suddetto, vi anderanno ad associarli li giovani, e le giovani discepole colle candele, come sopra. Tanta la spesa per le Messe, che per le candele, sarà fatta dalla Cassa, alla quale torneranno li residui di queste. »

« Non vi sian lutti, e solo nelle morti de' genitori, e degli sposi, per gli ultimi uffizii dovuti ai medesimi sia permesso alla tenerezza de' figli, delle mogli, e dei mariti, un segno di duolo di un velo al braccio per l'uomo. e di un fazzoletto nero al collo per la donna per due mesi soli al più. »

 

§. XIX. ‑ Della Patria.

 

« La Patria è la cosa più cara che siavi sulla terra. Essa ha in custodia la roba, le spose, i padri, i figli, le, madri, la libertà, la vita de' cittadini. Ognuno trova in essa, come in un centro, tutte le sue delizie. Tutti dunque debbono ad essa tutti quegli obblighi, che di sopra si sono a parte a parte descritti. Ognuno deve teneramente amarla. Ognuno deve procurarle tutt'i beni, e allontanarle tutt'i mali. Ognuno deve difenderla a costo del sangue e della vita dagl'insulti e dagli attacchi de' ne. mici. Dalla salute di tutti dipende la salvezza di ogn'uno. Più di tutti però essa esige da voi nelle occasioni la sua difesa. L'agricoltore, che deve co' suoi sudori cacciar dalle viscere della terra il mantenimento per se, e per voi, non può la terra abbandonare. Se per darle soccorso corre all'armi, e gitti il pesante aratro, egli senza pane priva se e gli altri di quella vita, che cerca salvarsi. Voi, voi, che per loro vivete, voi avete più stretti, e più precisi obblighi a difenderla. Se voi dall'arti passate all'armi, l'agricoltore co' suoi sudori sosterrà voi sul campo, e farà vivere i vostri padri, i vostri figli, e le vostre spose tra i loro teneri amplessi. In vece dunque, di menar vita oziosa ne' dì festivi ed esporvi a' pericoli, dove l'ozio strascina, correte, dopo aver santificata la festa coll'adempimento del proprio dovere, e dopo di aver nelle ore determinate presentat'i lavori, per riscuoterne la dovuta mercede, correte, dico, ad esercitarvi nel maneggio dell'armi, che vi sarà insegnato dalle persone a tal oggetto più adatte, e vi saranno anche de' premii proporzionati per coloro, che in esso si distingueranno. A voi ancora spetta onorarla in tempo di pace. Come i fiori fanno colla loro varietà ricco ricamo al verdeggiante prato ; così voi colle vostre produzioni restituir le dovete quel lustro, e quello splendore, che un dì fece invidiarla a tutta Europa. »

 

CAP. III. DEGL'IMPIEGHI.

 

« lo intanto intento sempre a premiarvi, assicuro tutti gli abitanti di S. Leucio, che ad esclusione degli esteri, essi saran sempre impiegat'in tutti gl'impieghi, che vacheranno nel luogo: preferendosi però sempre fra i pretendenti il più abile, capace, e di buona condotta. Al nuovo impiegato non si darà, che la metà del soldo del defunto, quando quello lasci la vedova (con figli che non siano ancora in grado di lucrarsi il proprio sostentamento) alla quale si darà l'altra metà. Rimanendo poi la vedova sola, o con due figli almeno, che guadagnino già due carlini al giorno per ciascheduno, resterà alla vedova il solo terzo, ed il rimanente si darà al nuovo impiegato, per averlo tutto alla morte della vedova. »

 

CAP. IV. DEGLI ARTISTI ESTERI.

 

« Presentandosi artefici esteri per essere ammessi al lavoro dopo di aver esibit'i loro requisiti, o dato le notizie convenienti per farli venire ; e dopo essere stati provati ; e trovati abili, volendosi fissare nel luogo, e godere di tutte le prerogative, e privilegi degli abitanti. dovranno per un'intero anno dar non equivoche ripruove di ottimi costumi, ed assidua applicazione al lavoro per esservi ascritti, nel qual caso avranno l'abitazione, e gli utensili di sopra detti. Non trovandosi poi tali, saranno immediatamente rimandati via. »

 

CAP. V. DELLE PENE GENERALI CONTRO I TRASGRESSORI

 

« Tutte le leggiere mancanze, che si commetteranno dagli abitanti sopradetti, verranno economicamente punite a proporzione del fallo. »

« Minimo accidente contra il buon costume sarà punito con espellers'immediatamente dal luogo il colpevole, o colpevoli, e privars'immediatamente il genitore, o i genitori per un'anno di tutt'i proventi, e regalie. »

« A chiunque, sia uomo, o sia donna, ardisce mutare in menoma parte il metodo e la moda prescritta di vestire, sarà immediatamente proibito vestir l'abito del luogo ; per tre anni sarà considerato com'estraneo ; e sarà privo, come di sopra si è detto, di tutt'i proventi, e regalie, che dagli altri si godono. »

« Qualunque altro fallo, che sia suscettibile di pena di corpo afflittiva, ovvero infamante, verrà punito collo spogliarsi immediatamente, e con il massimo secreto, il colpevole degli abiti del luogo, e sarà consegnato alla giustizia ordinaria. »

« Quest'è legge, ch'io vi dò per la buona condotta di vostra vita. Osservatela, e sarete felici. »

Si comprende quanto, la promulgazione d'un codice socialista in pieno secolo XVIII, meravigliò il mondo intero. I Napolitani ne trassero buon augurio, e credettero essere quella una prova, che stenderebbesi poi in tutto il regno.

 

 Ora chi fu nominato intendente di Caserta e sorvegliante della colonia di S. Leucio?

Il famoso cardinale Ruffo, che s'ebbe poi una sì grande riputazione politica, ma che allora avcane solamente una privata.

E' vero che questa non era nulla di buono.

Eppure noi intraprenderemo uno strano assunto, quello cioè di provare che fin qui il cardinale Ruffo è stato calunniato dalla Storia, o meglio dagli Storici: noi speriamo riuscirvi; e ciò come si comprende per puro amore del vero.

Diciamo cosa fosse in quell'epoca il Cardinal Ruffo, il quale tra non molto diverrà uno degli eroi del nostro racconto, e noi lo ripetiamo, uno degli eroi più coraggiosi e più onesti di quei disgraziati tempi, in cui tutti coloro che parteggiavano per la corte eran ritenuti come completamente privi di senso morale, d'onor nazionale e di dritto della genti.

Non si creda che noi ci lasciamo trascinare dall'amore del paradosso. Chi leggerà vedrà, e soprattutto chi leggerà giudicherà.

Fabrizio Ruffo era nato il 16 settembre 1744 a San Lucido feudo della sua famiglia situato nella Calabria citeriore, dal Duca di Baronello Don Litterio Ruffo, e da Donna Giustiniana dei principi Colonna.

La sua nascita adunque come si scorge era non solo nobile ma illustre. Infatti vi è un proverbio italiano che dice, per accennare i principi della nobiltà nei diversi paesi.

« Gli Apostoli a Venezia, i Borboni in Francia, i Colonna a Roma, i Sanseverino a Napoli ed i Ruffo in Calabria.

Ora si è visto che il cardinale era Ruffo pel padre, Colonna per la madre.

Qualche tempo prima della sua nascita, un tumulto avendo avuto luogo a S. Lucido, nel quale fu ucciso un ufficiale subalterno, D. Litterio Ruffo e sua moglie, implicati in queste faccende vennero arrestati e condotti nella fortezza di Gaeta.

Il fanciullo ve li seguì.

Così questa vita avventurosa avea sulla prima sua pagina una macchia di sangue e cominciava con la sua prigionia.

Fin dalla sua prima gioventù il futuro cardinale manifestò una grande vivacità di spirito, un carattere fermo e risoluto ed una disposizione naturale a rovesciare ogni ostacolo. Egli aveva appena quattro anni, quando fu condotto a Roma per essere educato sotto gli auspici di suo zio, il Cardinale Tommaso Ruffo allora Decano del sacro collegio.

Il prelato Angelo Braschi di Cesena che noi abbiamo visto salire sul trono di S. Pietro, era allora alla corte del cardinal Tommaso in qualità di auditore, abbiamo riferite a proposito del Papa le voci che correvano su questa amicizia ‑ che aveva il Cardinale Tommaso pel giovane Prelato. Un giorno egli prese il piccolo Fabrizio e lo fece sedere sulle sue ginocchia; il fanciullo volle allora giuocare con la bella chioma di Braschi, ma ogni qualvolta il piccolo Ruffo stendeva le mani per pren. dere le bionde anella, il prelato rialzava il capo per impedirgli di giungervi.

Il fanciullo stanco di tanti inutili tentativi, riunì le sue forze e gli diede un manrovescio.

Quella guanciata fu la sorgente della sua fortuna.

Giunto in età dì cominciare i suoi studi, il giovine Fabrizio fu messo al collegio Clementino, ove lasciò fama d'un allievo precoce ed intelligente, ma iracondo e testardo.

Angelo Braschi, salito sul trono pontificale si ricordò di quel fanciullo che aveagli dato uno schiaffo perchè egli non aveva voluto farsi strappare i capelli, ed il Cardinale Tommaso essendo morto, Sua Santità, grata allo Zio ne nominò il nipote primo chierico di Camera, poi poco dopo, tesoriere generale di Roma, carica importantissima perché a Roma sono riunite nelle medesime mani le finanze dell'interno, della guerra, e della marina, che negli altri stati sono divise; e poiché di quel posto si esce col ‑cappello cardinalizio.

Ma bentosto gli scandalosi amori di Fabrizio, le sue depredazioni, il deficit che si trovò nel tesoro fecero pentire Pio VI di avergli dato un incarico tanto importante, mercè la sola raccomandazione d'una guanciata.

Pria d'essere attaccato dalla Storia, il futuro Cardinale lo fu da Pasquino: il quale ne faceva il ritratto con le parole ordine nella mano dritta, contr'ordine nella manca. disordine sulla fronte.

Sia che il tesoriere fosse veramente colpevole delle concussioni che gli si addebitavano, sia che la sua alta e rapida fortuna avessegli fatto molti nemici, tante lagnanze giunsero a Pio VI che eglì fu costretto chiedergli la sua dimissione.

Ruffo la diede e trovossi Cardinale di fatto nella medesima circostanza e per gli stessi malfatti di Braschi suo protettore.

Ma siccome abbiamo la pretenzione d'essere imparziali, pria di tutto, diciamo, che durante la sua gestione, e lasciando da parte l'accusa di peculato, sotto la quale egli soccombeva in quel momento, il nuovo cardinale aveva reso come tesoriere, grandi servizio, ed avea dato prova che la sua intelligenza poteva applicarsi a tutto. Infatti al rumore della rivoluzione che minacciava la Francia, il Papa come Sovrano temporale formò un'armata per la difesa dei suoi Stati, e nel medesimo tempo per reprimere i tumulti interni. Fu il tesoriere che formò le truppe e che fortificò Ancona e Civitavecchia.

Ma non è tutto: egli inventò e fece eseguire fornelli atti ad infuocar le palle, con facilitazione poi a prenderle e ad ìntrometterle nei cannoni.

Questi fornelli ebbero una tale riputazione che Ferdinando IV, il quale cominciava a nutrire progetti bellicosi, e vaghe idee di guerra, mandò a Civitavecchia due ufficiali di artiglieria, ì capitani Roberto e Costanzo, i quali dopo avere assistito alle esperienze colmarono di elogi l'inventore e fecero al re un rapporto vantaggiosissimo.

      Citiamo un altro fatto che al appartiene all'uomo privato. Visitando un giorno i lavori idraulici, che si ese­guivano nelle Maremme Pontine, egli si allontanò per cacciare e trovò steso al suolo ed abbandonato un infe­lice operaio colpito da quelle terribili febbri delle Pa­ludi, cagionate dall'aria pregna di veleno. Siccome le difficoltà del suolo non permettevangli di fare avanzare la carrozza, egli si mise il febbricitante sulle spalle, e lo portò fino alla vettura, cioè a dire per lo spazio di un miglio quasi. Ve lo pose egli medesimo vicino a lui, e locondusse a Roma sostenendolo, ed appoggiandogli il ca­po sulla sua spalla. Colà giunto egli lasciollo raccomandandolo all'ospedale di Santo Spirito, provvide a tutti i suoi bisogni e lo rese alla famiglia completamente risa­nato.

Sul rapporto ch'era stato fatto al re Ferdinando dai suoi ufficiali di artiglieria, trovandosi Ruffo libero per la _perdita del suo impiego di tesoriere, fu dal re invitato di venire a Napoli. Ma Ruffo era calabrese ed era quella ‑una ragione perchè Acton, sentendosi sostenuto da Carolina, rifiutasse di impiegarlo.

Ferdinando lottò un momento : gli si oppose l'abito cardinalizio, che a Roma, ma non a Napoli poteva ricoprire l'uniforme di ingegnere militare. Sì fecero ricomparire le accuse, che avevangli tolto il posto di tesoriere, malgrado il favore manifesto di Pio VI, di sorta che cedendo come sempre, Ferdinando diede al Cardinale, quanto da lui dipendeva, cioè la ricca abbazia di S. Sofia di Benevento; il posto di intendente di Caserta, e l'incarico di sorvegliante di S. Leucio. Non è mestieri dire che il rifiuto di Acton ferì crudelmente Buffo, e che il re trovò nel cardinale un eco ogni qualvolta, e la cosa accadevagli sovente, ch'egli mandava al diavolo Autori, la regina Carolina, e fin la nuova venuta Lady Hamilton. Come lo si vede, dal modo con cui non era riuscito, a proposito del suo favorito Buffo, il re, all'epoca in cui siam giunti, trovavasi nella nullità più assoluta, ed il regno era completamente governato dalla regina Carolina, alla quale Autori serviva di braccio destro, ed Emma Lyonna di manco.

Noi non parliamo delle due confidenti della regina, la S. Marco e la S. Clemente ‑ Queste non sì mischiavano nella politica, e servivano ai piaceri segreti.

Verso quell'epoca comparve il sonetto che riportiamo, sonetto ch'ebbe un gran successo.

 

AL RE FERDINANDO

 

Tu torni o sire al tuo letargo antico,

Già salvo credi il regno tuo, l'impero,

Questo è l'inganno non è il gallo altero,

Qui dentro, o sire, è il tuo fatal nemico.

 

Il merto oppresso il nazional mendico

Carco d'onore e gloria ogni straniero,

La giustizia venal l'erario íntero,

Vittima di capricci, esca d'intrigo.

 

Queste son le falangi e queste sono

Le armate schiere e i bellici strumenti

Che crolleranno un dì lo scettro e il trono.

 

E mostreran tolta la benda indegna

Quel sacro patto, onde sapran le genti

I dritti di chi serve e di chi regna.

 

Questo sonetto venne attribuito al marchese Spirito. Ne era egli l'autore? Lo ignoro ‑ Ma pochi giorni dopo il marchese Spirito fu rinvenuto assassinato sotto il ponte di Chiaja.

 

 

 

 

 

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