I  BORBONI  DI  NAPOLI

 

Di Alexandre Dumas

 

Libro I 

 

 

 

Ferdinado IV° o I°.                                                                                             CAPITOLO VIII.

 

 

Intanto Acton prendeva un'influenza sempre maggiore tanto nel consiglio quanto sullo spirito di Carolina.

Sia ch'egli fosse già il rivale del principe di Caramanico, e ch'egli temesse l'influenza di un uomo più giovine di lui, e possessore del diritto di precedenza, sia che, volendo indovinarlo, egli giudicasse che con la presenza del principe egli non riuscirebbe nel suo intento, trovò mezzo di farlo nominare ambasciatore a Londra, e si sbarazzò così, onorevolmente di lui.

Il primo segno del reale favore fu la sua nomina al ministero della guerra.

I suoi primi atti, come ministro, risposero tutti alla sua intelligenza ed ai bisogni del paese. Egli si dichiarò nemico del regime feudale, introdusse e moltiplicò nel regno le scuole normali, riparò i porti di Miseno, di Brindisi e di Baia, proclamò la libertà religiosa, e temendo i servigi che un intelligente ministro di finanza poteva rendere, ne fece sopprimere il ministero, e nominò tredici consiglieri, non volendo addossarsi in simili momenti la pericolosa responsabilità dei movimenti dei fondi pubblici.

In questo modo incaricato del Ministero della Marina e di quello della guerra, avendo un consiglio delle finanze, pronto a riprendere dalle mani del vecchio Caracciolo il portafoglio degli affari esteri, ebbe sol bisogno di tre segretari : pel culto, l'interno e la giustizia. Carlo di San Marco, Ferdinando Corradini, Saverio Simonetti furono ministri di nome, mentre egli eralo di fatto.

Simonetti e Corradini, dice lo storico Cuoco, erano entrambi due uomini dabbene, ma il primo era pigro ed il secondo pedante, nè erano capaci di aver altra volontà all'infuori di quella di Acton.

Per quel che riguarda San Marco, ecco quel che ne dice un uomo che abitava Napoli, precisamente nel tempo ch'egli era ministro di giustizia.

« Questo ministro è senza dubbio il più imprudente mentitore che esiste nel regno delle due Sicilie: non v'è perfidia o azione criminosa di cui non sia capace ‑ Egli si sostiene al ministero perchè è la creatura e la spia dì Acton ‑ Questo è il suo solo merito. Il generale non è malcontento di avere a capo d'una considerevole amministrazione un uomo nullo, incapace di dargli ombra, e ch'egli fa muovere a suo piacimento. Egli è indifferente alla regina che lo considera come un agente subalterno. Il re è per esso senza affezione e senza malevolenza, ma lo apprezza però quanto vale « Son ben contento, dice egli, quando per caso vado al consiglio, d'incontrarvi San Marco: ciò mi tranquillizza, essendo sicuro che se io sono un asino, egli lo è più di me. »

Sua moglie molto più astuta e più intelligente di lui, godeva d'un gran favore appo la regina. Ella era positivamente per Carolina quel che questa rimproverava al duca d'Altavilla d'essere per suo marito.

A Napoli esiste una tradizione troppo popolare, perchè noi potessimo tacerla, benchè essa appartenga più alla penna d'un satirico che a quella dello storico. Ma a proposito di Messalina Tacito non ha sdegnato di confermar Giovenale.

Del resto io ho inteso raccontar l'aneddoto da uno degli uomini più istruiti e più spiritosi dell'antica corte del duca di Casarano, al quale avealo raccontato la Duchessa di Cinarca, che avealo saputo dalla regina.

Nella strada S. Bartolomeo, a duecento passi quasi dal palazzo reale, sta un viottolo, il quale dopo esser stato per lunga pezza senza nome, come era senza importanza, finì per chiamarsi ‑ Vicolo San Camillo.

Al disopra della porta d'una delle case di questo vicolo, ove arde una lampada che non è, quella di Vesta leggesi in due versi:

Qui San Camillo diè sua camicia al Gioco Ed or si adora nel medesmo loco.

Questi due versi alludono alle avventure d'un gentiluomo di Napoli, nuovo figliuol prodigo, Camillo de Lellis il quale dopo aver perduto al giuoco, e con le cortigiane fino la camicia, fu tocco dalla grazia, visse piamente, e morì in odore di santità.

Ma la grazia fu per Camillo de Lellis solo, e la casa restò quel che era; una bisca ed anche qualche cosa di peggio.

 

 

Una sera due donne velate si presentarono in quella casa, raccontarono alla donna che ne era la direttrice ch'esse avevano fatto una scommessa circa la potenza proporzionale che la loro bellezza poteva esercitare sopra i visitatori notturni ch'ella riceveva. In conseguenza le due dame velate desideravano che le donne che v'erano abitualmente, e la direttrice le lasciassero tranquillamente e senza concorrenza compiere la loro scommessa, cedendo loro per quella notte la casa.

Questa domanda era accompagnata da una borsa ben gonfia, che, superando dì molto non solo l'incasso sperato nella sera, ma anche quello d'una intiera settimana, tolse di mezzo ogni ostacolo.

Le due donne velate rimasero sole padrone dello stabilimento.

Esse vi rimasero dalle nove di sera fino alle due del mattino, ricevendo tutto e ricevendo senza discuterla la retribuzione ordinaria, cioè un ducato.

In sulle tre ore, esse rientrano, sempre velate, donde erano uscite cioè nel palazzo reale.

Colà tolsero i loro veli e fecero i loro conti.

Una di quelle due donne era bionda, l'altra bruna.

La bionda avea ricevuto quattordici ducati ‑ La bruna diciassette.

La scommessa era guadagnata da quest'ultima.

E’ mestieri dire che la donna bionda era la regina, la quale non aveva avuto bisogno come Messalina di comprar la chioma bionda d'una donna delle Gallie, e che non aveva nemmeno creduto necessario di travestirsi.

L'altra era, a quanto assicurasi, la marchesa di San Marco la quale oltre i 17 ducati, s'ebbe, per quella notte claudiana, un magnifico anello di diamanti, oggetto della scommessa.

Siam lungi d'affermare quanto raccontiamo, ma guai alle famiglie reali, di cui simili cose si raccontano anche senza affermarle.

Non era la mano di Dio, che avea segnato la fine del regno dei Borboni, sulla metà dell'Europa, che colpiva dalla piaga medesima i Borboni di Spagna, quei di Francia, e quei di Napoli?

Carlo IV con Maria Luigia, Luigi XVI con Maria Antonietta, e Ferdinando con Maria Carolina.

Ritorniamo al nuovo ministero ed al suo direttore Giovanni Acton.

 

Il nuovo ministro della guerra e della marina dopo essersi occupato delle strade e dei porti si occupò di far costruire una flotta, e di organizzare una armata.

Diciotto legni d'ogni grandezza furono messi sui cantieri nel medesimo tempo. Una legge venne emanata, la quale imponeva alle comuni l'obbligo di dare un certo numero di soldati di fanteria, ed ai baroni quello di dare cavalieri e cavalli. Il contingente fu completato, come praticasi nella Gran Bretagna, vale a dire mercè l'ingaggio volontario, la reclutazione forzata nelle strade, ed il reclutamento nei bagni.

Tre ufficiali ed un sergente furono chiamati per istruire e per disciplinare i coscritti.

Il maresciallo di campo Barone de Solis svizzero, del canton dei Grigioni.

Il colonnello Pommereul.

Il luogotenente Eble.

Ed il sergente Augereau.

Tutti e tre francesi. Il minimo fra loro, il sergente Augereau era quello al quale la sorte riserbava la più alta fortuna. Venti anni dopo egli era il Maresciallo Augereau duca di Castiglione.

Il generale Eble diventò generale in capo dell'Artiglieria.

Fermiamoci un momento sul barone di Solis, poichè egli ci servirà a far vedere come trattavansi gli affari alla corte di Napoli.

Il progetto della regina e del ministro della guerra, era di porre l'armata napolitana sul piede medesimo della austriaca, onde in caso di guerra contro la Francia, li due eserciti potessero combattere sotto la medesima bandiera.

Un ufficiale Austriaco, chiamato Campitelli, nipote del generale di quel nome, era venuto a Napoli verso il 1782 ed era stato ricevuto in corte.

La regina prevenuta in favor di lui, come in favore di tutto ciò che avea il benchè minimo rapporto con la casa d'Austria, fecesi informare, del pari che il suo ministro Acton, di tutti i cangiamenti che suo fratello l'imperatore Giuseppe Il aveva fatto nell'armata, e dopo queste conversazioni venne deciso che i soldati napolitani sarebbero posti sotto l'istesso ordine, sotto la disciplina medesima, ed avrebbero la tattica istessa di quello dell'imperatore.

La prima decisione presa fu l'abolizione dei corpi privilegiati ‑‑ La regina avea sempre detestato il battaglione dei cadetti ed il reggimento dei Liparotti, ch'erano i soldati favoriti del re: i consigli che gli ufficiali appartenenti a quei corpi, davano al re, alla di cui familiarità erano ammessi, le spiacevano enormemente, e più che dalle riforme da introdursi nell'armata la decisione che li sopprimeva e che dovea sopprimerli, fu dettata da quella antipatia.

Inviaronsí allora generali ed ufficiali napolitani al campo dell'imperatore onde s'istruissero nella manovra, per divenir poscia istruttori. Essi partirono, rimasero tre anni a Vienna, e ritornarono ignoranti quanto erano partiti.

La regina scrisse allora a suo fratello per domandargli due generali e cinque o sei ufficiali che potessero introdurre a Napoli l'esercizio e la disciplina austriaca, ma ricordandosi tosto l'antipatia nata fra le due nazioni, e di cui abbiamo già fatto parola, ella pensò che la loro presenza farebbe aumentare il malcontento esistente fra il re Carlo III, e suo marito, e non sapea cosa risolvere, quando il barone di Solis. che viaggiava in Italia quasi per toglier d'impiccio la regina, comparve alla corte.

Il Barone di Solis era latore d'una lettera del fratello di Acton, maresciallo di campo nell'armata francese: quella lettera nel raccomandare il Barone faceva il maggiore elogio dei suoi talenti militari.

Era egli uno dei confidenti del riformatore S. Germain, che non avea nemmeno egli mantenuto, alla corte di Francia, quanto avea promesso; ma cìò poca importa, quel che volevasi si era un riformatore qualunque: il Barone di Solis fu dunque accolto a braccia aperte, gli si confidò il progetto, egli lo approvò, come pure la riforma dei corpi privilegiati, e si volle immediatamente incaricarlo della riorganizzazione dell'armata; ma quantunque accettasse egli rispose che pria di tutto facevagli bisogno del consenso del re di Francia, al servizio del quale egli era. Questa era la menoma cosa, Solis tornò in Francia portatore d'una lettera di Maria Carolina per sua sorella Maria Antonietta ‑Questa presentò la domanda di Maria Carolina a Luigi XVI, il quale dietro le premure di sua moglie nominò il barone di Solis istruttore delle truppe napolitane con facoltà dì scegliere gli ufficiali di cui crederebbe poter aver bisogno per compiere la progettata riforma.

L'inconveniente era meno grande; i novatori venivano dalla Francia e non da Vienna, ed in quel momento la Francia era alla moda in Napoli.

Questa Francomania fa dare un grido d'indignazione allo storico Cuoco.

« La nazione Napolitana sviluppò prima una frivola mania per le mode degli esteri, questo produceva un male al nostro commercio, ed alle nostre manifatture:  in Napoli un sartore non sapeva cucire un abito, se il  disegno non fosse venuto da Londra o da Parigi. Dal l'imitazione delle vesti si passò a quella del costume, e delle maniere, indi all'imitazione delle lingue, si apprendeva il Francese, l'Inglese, mentre era più vergognoso il non sapere l'Italiano ; l'imitazione delle lingue portò seco finalmente quella delle opinioni. La mania per le nazioni estere prima avvilisce, indi ammiserisce, finalmente ruina una nazione, spegnendo in lei ogni amore per le cose sue. La regina fu la prima ad aprir la porta a quelle novità, che ella stessa poi con tanto furore ha perseguitato. »

Il Barone di Solis ritornò adunque a Napoli verso la fine del 1787 col colonnello Pomereul, il luogotenente Eble ed il sergente Pietro Angereau.

Ma prima di riformare i cadetti ed i Liparotti bisognava ottenere venia dal re, cosa che non era facile. Alla prima parola intorno a ciò che si disse a Ferdinando, questi fu preso d'una collera furiosa, e caricò d'ingiurie Carolina ed il generale Acton, ma la regina conosceva le maniere del re e non si scoraggiò.

Un giorno ch'egli ritiravasi contentissimo dalla sua caccia, perchè aveva fatto una strage spaventevole di cinghiali, gli si parlò nuovamente della soppressione che volevasi ed egli vi acconsentì senza difficoltà. La riforma delle guardie napolitane e delle guardie svizzere tenne dietro a quella dei Cadetti e dei Liparotti.

Ma queste riforme non si eseguirono senza destare un gran malcontento negli uffiziali dei reggimenti riformati.

Essi si decisero di muoverne lagnanza alla regina al prossimo ballo della corte che doveva aver luogo il 4 Gennaio 1787.

Questa data indica che il ballo era di apparato, al quale tutti i dignitari dello stato, tutti gli ufficiali superiori dell'armata assistevano.

Il re eravi comparso un momento ; ma stanco da una caccia alla pernice ed al fagiano che egli aveva fatto durante il giorno, e che desiderava ricominciare la dimane, egli si ritirò di buon'ora, e lasciò che la regina facesse gli onori della festa.

Questa assenza serviva a meraviglia i progetti di Carolina. Sapendo che il signor di Solis era uomo di mondo e che era stato educato alla corte più gentile d'Europa, ella credette poter mettere a prova quella cortesia, e vedendosi circondata dagl'ufficiali riformati che le si avvicinavano nel disegno evidente di lagnarsi, ella andò incontro ai loro reclami.

‑ Signori, diss'ella, io so cosa voi volete, e vi proverò ch'io non entro per nulla nella riforma di cui mi si accusa.

Quindi volgendosi verso uno dei cortigiani che l'accompagnavano

Abbiate la bontà, diss'ella, di prevenire il signor barone di Solis ch'io desidero parlargli, e conducetemelo.

Il signor di Solis giuocava al Wistk in una delle camere destinate al giuoco, lo si prevenne dei desideri della regina; egli lasciò le carte sulla tavola, alzossi e seguì il messo.

Non è egli vero, signor Barone, diss'ella, che voi avete proposta la soppressione di tutti i corpi privilegiati dell'armata?

Il signor Solis guardò fissamente la regina, e probabilmente lesse negli occhi di lei il bisogno ch'ella aveva della sua obbedienza, perchè egli contentossi di fare una rispettosa riverenza.

Allora, continuò la regina, sicura da quel punto dell'ufficiale cortigiano, perchè avete voi detto, (il generale di Solis non avea profferito una sola parola al riguardo) perchè avete detto che tutte queste riforme, tutte queste soppressioni partivano da me?

Il generale fece un inchino, ancor più rispettoso del primo e si allontanò.

La regina lo seguì con lo sguardo, e quando giudicollo lontano abbastanza da non udire quanto elle diceva:

‑ Ecco, continuò volgendosi verso gli ufficiali, come si confondono i calunniatori.

Si comprende quale effetto produsse una simile scena nel mezzo d'un ballo. Gli ufficiali incapaci, per conto foro, della cortesia di cui avea fatto prova il Barone di Solis, fecero cadere sullo straniero tutto l'odio di quelle riforme. Il ballo non venne interrotto, ma finì di buon ora fra un sentimento di fastidio e di tristezze generali.

Il Barone di Solis era andato a riprendere il suo posto alla tavola da gioco, avea continuato la sua partita ed era rimasto fino al termine della serata, come se nulla fosse avvenuto.

L'indomani soltanto egli chiese alla regina un'udienza che gli fu ricusata.

Allora egli mandò direttamente al re la dimissione di tutti i suoi impieghi.

Questo atto diè luogo a due lunghe conferenze col re, ed un colloquio con Acton.

Il re mostrossi in quell'occorrenza più fermo del solito, fece chiamare Acton, ordinandogli di scrivere al Barone di Solis, e di badar bene soprattutto di non cangiar nulla alla forma della lettera ch'egli gli dettò.

Eccellenza.

« Ho presentato al re le due domande che Vostra Eccellenza mi ha rimesso il 5 ed il 10 del corrente, ed ho aggiunto verbalmente quanto conveniva alle circostanze, onde S. Maestà fosse esattamente informata di quanto eravi accaduto. Ho anche fatto osservare alla regina, quanto vostra eccellenza ha creduto dovermi dire, onde disingannarla relativamente a quel ch'erale stato riferito, come intieramente opposto al vero. Il re mi ha ordinato d'assicurare vostra eccellenza, mercè questo scritto, servendo di risposta alle due memorie presentate in vostro nome a Sua Maestà, ch'ella è stata singolarmente maravigliata, sapendo i discorsi, tanto lontani dalla verità che sono stati fatti, ed il dispiacere che vi hanno arrecato. Il re vuole che io rinnovelli a vostra eccellenza la testimonianza più marcata della sua stima più sentita, che nulla fin qui ha potuto alterare nel suo cuore, come pure la soddisfazione che egli prova pei servigi che avete cominciato a rendere con tanto zelo ed attività, e di cui Sua Maestà attende la continuazione. »

« D'ordine del re, io unisco i sentimenti particolari di sua Maestà la regina, con la sua espressa dichiarazione ch'ella è completamente disingannata delle false impressioni ch'erangli state date sul conto di vostra eccellenza. La mia augusta sovrana desidera che vostra Eccellenza dimentichi il passato, che voglia esser ben, persuaso ch'ella prova pel Generale i sentimenti medesimi che animano il re.

« Il mio sovrano mi ordina di prevenire vostra eccellenza che gli autori delle calunniose imputazioni, di cui si è lagnato giustamente saranno puniti, poichè i più precisi ordini sono dati a questo riguardo ».

« Io sono con molto rispetto, di vostra eccellenza « Caserta 14 febbraio 1788. »

Umilissimo ec. ec.

 

GIOVANNI ACTON.

 

Questa lettera fu inserita in tutti i giornali, e siccome eravi bisogno di un emissario, si scelse un francese chiamato il cavaliere di Brissac, il quale era protetto dal sig. di Bretevil allora ambasciatore di Francia a Napoli.

Il cavaliere di Brissac, fu arrestato, fu chiuso nel castello dell'Uovo e poscia mandato fuori del regno.

Dirò come il cavalier di Brissac ammesso alle riunioni serali intime di Carolina, era il nemico del Barone di Solis e come il sacrificio che gli si faceva di quel rivale dovea disarmarlo, ci farebbe fare un'escursione troppo lunga nel campo dello scandalo.

Contentiamoci di dire ' che niente poteva spiacer maggiormente a Carolina di questo allontanamento del cavalier di Brissac che durante la sua detenzione al castello dell'Uovo ella scrivevagli ogni giorno, ch'egli teneva tavola aperta nelle sue prigioni, e che era Carolina che ne faceva le spese.

Ferdinando seppe questi particolari; mandò a chiamare l'ambasciadore d'Austria e lo incaricò di veder la regina non solamente in suo nome, ma anche in quello del re che rappresentava, e di farle comprendere che una tale condotta era il pubblico disonore della sua casa, ma la regina furiosa per la lettera che il re avea obbligato Acton di scrivere al barone di Solis, trattò malissimo l'ambasciadore di Vienna, si chiuse nelle sue camere, e quando il re irritato oltremodo vi si presentò, rifiutossi a riceverlo.

Allora la pazienza venne meno a Ferdinando e diede ordine di buttar giù la porta.

Coloro che lo circondavano lo supplicarono di desistere da quel proposito. Egli si ritirò, gettando, a traverso della porta, le ingiurie più grossolane alla regina, la quale diceva egli, avea uno scopo solo, quello d'inimicarlo con la Spagna e con la Francia, le sue due alleate naturali, mentre ch'ella sagrificavalo all'Austria loro vecchia nemica.

Ed infatti una doppia ingiuria era stata fatta alla Spagna ed alla Francia.

Alla Spagna col lasciar senza risposta la lettera di Carlo III che ingiungeva a suo figlio di allontanare Acton, non solamente come ministro venduto all'Austria, ma ancora come amante pubblico della regina.

Alla Francia col ricusarle i legnami da costruzioni che essa avea il costume prendere nelle Calabrie per la sua marina.

Come parlavasi di questo rifiuto in una casa terza, ove trovavasi il vice console di Francia signor Augustin ed il dottor Gatti, questi intieramente venduto alle camerille della regina disse che approvava, per parte sua, perfettamente il governo, che questo aveva ben fatto di ricusare la vendita dei suoi legnami alla Francia.

Il console di Francia contentossi di rispondere alzando le spalle.

‑ Ecco cosa accade quando si prendono i propri ministri nei caffè di Livorno.

Questa risposta del console di Francia fu riferita al ministro ed alla regina la quale lagnossene col re. Questi rispose :

‑ Sono perfettamente dell'opinione dell'ambasciadore di Francia, e s'io mimbarazzassi di queste cose, il signor Giovanni Acton non sarebbe mio ministro per ventiquattro ore [*1] .

Ma siccome il re Ferdinando non s'impicciava di queste cose Acton rimase ministro.

 

Verso quell'epoca un terzo personaggio, destinato a sostenere una grande parte nell'avvenire, venne a mischiarsi a quella estremità diggià tanto scandalosa e tanto fatale di Acton e della regina per renderla più scandalosa e più fatale ancora.

Vogliamo parlare di Lady Hamilton, più conosciuta storicamente parlando, sotto il nome di Emma Lyonna.

L'Inghilterra, verso la quale Acton voleva conservarsi suddito fedele, mentre la regina voleva conservarsi fedele alleata dell'Austria, l'Inghilterra era rappresentata a Napoli dal cavaliere Hamilton fratello di latte di Giorgio III, e nominato da lui Cavaliere e suo scudiere.

Tutti coloro che conobbero questo degno sapiente, sono d'accordo per dire che il suo nome solo, come uomo dotto era un elogio.

Sir Hamilton aveva a Londra un nipote, figlio di sua sorella affine della illustre famiglia dei Warwich

Chiamavasi Lord Greeville.

Questo nipote, benchè occupasse un posto eminente al ministero vivea con una donna, dalla quale aveva avuto tre figli, e che a causa della pubblicità delle sue avventure passate gittava su lui un grande sfavore.

Questa donna era Emma Lyonna, la quale avea cangiato nome e facevasi chiamare allora Miss Harte.

Il suo nome vero, il solo suo nome, lo abbiam detto era Emma, perchè ella non conobbe mai suo padre, figlia dell'amore, del vizio e del mistero, questi tre possenti numi della società moderna, che aveanla colmata dei loro doni, la si vide arrivare un giorno, ancor fanciullina, con sua madre, povera fantesca di fattoria del cantone di Chester, nel villaggio di Hawarden nel Dambing‑Shire.

Sua madre sovvenne ai bisogni della figlia ed ai propri mercè il suo lavoro.

In età di tredici anni, Emma la quale voleva rendere meno pesante il carico portato dalla sua povera madre, entrò, come aja di fanciulli in una casa del vicinato, i cui padroni facevano a Londra frequenti viaggi, durante i quali essi abitavano in casa di un loro parente, celebre incisore dell'epoca chiamato Boydel.

L'impressione che la bellezza della giovine domestica faceva sugli artisti che frequentavano la casa di Boydel diede certamente all'avventuriera un vago sentimento dell'alta posizione che potevano procurarle i suoi vezzi, sicchè a 15 anni, cioè nel primo fiore della sua gioventù, ella fuggì dal villaggio di Hawarden, e recossi a Londra, dove entrò come domestica in una casa commerciale. Nel magazzino di questa casa veniva una donna di mondo, giovane e ricca, che vedendo Emma così bella e così candida, desiderò averla seco, e la chiese al mercante Questi si guardò bene di scontentare per tanto poco una delle sue migliori pratiche, ed Emma passò come cameriera al servizio della signora. Questo nuovo posto lasciavale tempo, ella sapeva leggere, onde impiegò i suoi momenti liberi a legger romanzi ‑ Mercè questa lettura ella creossi un mondo immaginario d'amore e di ambizione, vivificato ancora da alcune serate ch'ella passò al teatro.

Durante queste ella studiò il fare degli attori, e rientrata nella sua piccola camera, si esercitò a riprodurre le affezioni ed i movimenti dell'animo, come se avesse indovinato che quella imitazione, da lei spinta fino al meraviglioso, diverrebbe ben presto la sorgente della sua fortuna.

Ciò che avrebbe dovuto esser solo una ricreazione per Emma, divenne bentosto la sua favorita occupazione: non solamente, come noi lo abbiam detto, era ella in tutto il fiore della gioventù, ma ancora in tutta la perfezione dell'adolescenza. La sua persona, snella, pieghevole, armoniosa prestavasi a tutti gli atteggiamenti, mercè le sue naturali ondulazioni, giungeva agli artifizi delle più abili ballerine.

Il suo volto che malgrado le vicissitudini della sua vita, conservò sempre il colorito verginale dell'infanzia, dotato per la sua impressionabilità d'una suprema delicatezza, era nella sua melanconia, un dolore; nella gioia un abbagliamento. Sarebbesi detto che la purezza dell'animo traspariva sotto la purezza dei lineamenti, onde un grande scrittore esitando a macchiare questo specchio celeste ha detto di lei: La sua prima caduta non fu nel vizio, ma nella imprudenza e nella bontà [*2] .

La guerra che in quel tempo l'Inghilterra sosteneva con le colonie dell'America, era nella sua più grande attività e la coscrizione dei marinai esercitavasi in tutto il suo rigore. Un giovine del villaggio di Howarden era stato vittima di questo arruolamento forzato. La sorella del giovine marinaio corse a Londra per tentare di farlo rendere alla libertà. Ella non conosceva alcuno nell'immensa mensa città tranne Emma Lyonna ‑ andò a trovarla Trattavasi di una seduzione da esercitarsi sull'ammiraglio Sir Giovanni‑Willet‑Payne.

Emma intese rivelarsi la sua vocazione tentatrice, indossò le sue più belle vesti, ed andò con la sua amica presso l'ammiraglio ‑ Ottenne quanto domandava, ma l'ammiraglio anche chiedeva ed Emma pagò la libertà del giovine marinaio, se non in amore almeno in riconoscenza.

Emma amante dell'Ammiraglio Payne ebbe una casa a sè, domestici suoi, cavalli suoi ma tutto ciò ebbe lo splendore e la rapidità della meteora. La squadra partì, ed Emma vide il vascello del comandante rapirle i suoi sogni dorati.

Emma però non era una donna da uccidersi come Didone pel suo volubile Enea. Uno degli amici dell'ammiraglio, Sir Errico Fatherson giovine ricco e bello offrì ad Emma di mantenerla nella posizione nella quale trovavasi ‑ Emma aveva fatto il primo passo sulla brillante via del vizio, onde accettò, divenne la regina delle cacce. delle feste e delle danze durante un'intera estate, poi la stagione estiva finì. Dimenticata dal suo secondo amante, avvilita da questo secondo amore, ella ricadde sul lastricato di Londra, il più infangato di tutti i lastricati, per le povere creature che vi mendicano l'amore di chi passa.

Per fortuna la mediatrice infame alla quale era rivolta per entrare nel commercio della depravazione pubblica, colpita dalla distinzione e dalla modestia della sua nuova pratica, invece di prostituirla come le sue compagne, la condusse in casa di un celebre medico avventore della sua casa.

Era questi il dottore Graham, sorta di ciarlatano mistico e voluttuoso, che professava innanzi alla gioventù di Londra la religione materiale della bellezza.

Emma gli apparve. La sua Venere Astartea era trovata, sotto le sembianze della Venere pudica.

Egli la pagò a caro presso alla mezzana, la distese sul letto d'Apollo, la ricoperse d'un velo trasparente quanto le maglie nelle quali Vulcano avea ritenuta captiva sua moglie agli occhi di tutto l'Olimpo, ed annunziò in tutti i giornali ch'egli possedeva, finalmente questo esempio unico e supremo di bellezza, ch'eragli solo mancato fino a quel momento per far prevalere tutte le sue teorie.

A questa chiamata, fatta più alla lussuria che alla scienza, tutti gli adepti della gran religione dell'amore, che stende il suo culto sul mondo, accorsero al gabinetto del dottore Graham.

Il trionfo del dottore fu completo ‑ Nè la pittura, nè la scoltura avevano mai prodotto un simile capo lavoro ‑ Apelle e Fidia erano vinti.

I pittori e gli scultori abbondavano nel Gabinetto del dottore Graham e fra essi Rowmev il più celebre colorista della sua epoca si segnalò per una infaticabile ripetizione del medesimo modello; modello tanto perfetto che poteva servir di tipo alla Venere Afrodita, ed all'Armida del Tasso.

Fu allora che la celebre madama Lebrur pittrice della regina Maria Antonietta fece a Londra e riportò in Francia il ritratto che noi possediamo d'Emma Lyonna.

Inoltre una collezione d'incisioni deposta alla biblioteca riprodusse l'incantatrice in tutti i suoi atteggiamenti.

Fu allora che attirato dalla curiosità il giovine Carlo Grenwille nipote del cavaliere Hamilton, vide Emma Lyonna, e nel suo abbagliamento d'una bellezza così completa, ne divenne perdutamente innamorato. Le più brillanti promesse le vennero fatte dal giovine Lord, ma Emma pretese essere incatenata al dottore dai legami della riconoscenza, ella resistette a tutte le seduzioni, dichiarando che lascerebbe l'amante solo per seguire il suo sposo.

Carlo Grenwille impegnò la sua parola di gentiluomo di diventar il marito di Emma appena lo potrebbe, poichè non avea ancor raggiunto la sua grande maggioranza e dipendeva dai suoi parenti.

Emma consentì ad un ratto ‑ L'atto romanzesco ebbe luogo, Grenwílle, nell'aspettativa del matrimonio, visse da marito con lei e ne ebbe tre figli.

Durante questa coabitazione dei due giovani un cangiamento di ministero fece perdere a Grenwille un impiego che formava la maggior parte delle sue entrate, ma in quel tempo egli avea dato alla sua amante professori i quali mercè le sue disposizioni naturali ne avevano fatto un'allieva perfetta in tutto. Ella aveva imparato non solo la lingua patria, ma ancora il Francese e l'Italiano ‑ Era diventata eccellente suonatrice, disegnava piacevolmente, e recitava i versi come la migliore attrice del Drury Lane e del Covent‑Garden.

Grenwille malgrado la perdita del suo posto al ministero non aveva saputo decidersi a diminuire le spese, di modo che i due giovani, poco curanti dell'avvenire, trovaronsi poco dopo insieme con la loro famiglia in uno stato prossimo alla miseria. La sola speranza del giovine erano allora in suo zio Sir Guglielmo Hamilton, lo stesso che noi abbiam detto essere ambasciadore a Napoli e di cui egli era l'unico erede.

Parecchie lettere erano state scritte da Grenwille a suo zio, nelle quali egli aveagli domandato differenti somme che Sir Guglielmo avea spedito, dicendo a suo nipote, che egli contava far prossimamente un viaggio a Londra e che colà prenderebbe maggior conoscenza delle cose sue.

I giovani desideravano e temevano insieme l'arrivo dell'ambasciadore, quando tutto ad un tratto egli comparve, senza ch'essi fossero prevenuti del suo ritorno -

Egli trovavasi da otto giorni a Londra.

Questo tempo era stato da esso impiegato a prendere informazioni sopra suo nipote, non erasi mancato dirgli che la cagione dei suoi disordini e dei suoi bisogni era una prostituta dalla quale aveva tre figli, aggiungendo che a quanto pareva, egli era sposato segretamente a quella donna.

Carlo Grenwille andò a vedere suo zio, ma fu ricevuto con tale severità, ch'egli tornò disperato presso Emmy Lyonna dicendole che egli sperava in lei sola.

Trattavasi per essa di spiegar tutte le sue seduzioni, e di far perdonare il fallo del suo amante, mostrando quanto era esso perdonabile.

Allora Emma invece d'indossare le vesti della sua nuova condizione, riprese l'abbigliamento della sua infanzia ‑ una veste di bigello un cappellino di paglia ed una pezzuola incrociata sul seno componevano la messa in iscena ‑ Le sue lagrime, i suoi sorrisi, le carezze della sua voce, gl'incanti della sua fisonomia farebbero il resto.

Introdotta presso Sir Guglielmo, Emma gettossi ai suoi piedi; per l'effetto di abile caso, i cordoni del suo cappello si sciolsero ed i suoi capelli neri si sparsero sulle sue spalle.

L'ammaliatrice era inimitabile nel dolore.

Il vecchio archeologo innamorato fino allora solo dei marmi d'Atene e delle statue della grande Grecia, vide per la prima volta la bellezza vivente vincerla sulla fredda e pallida bellezza delle fanciulle di Prassitele e di Fidia, l'amore ch'egli non aveva voluto comprendere in suo nipote entrò violentemente nel suo proprio cuore, e quella fulminante beltà s'impadronì di lui, senza ch'egli tentasse nemmeno difendersi.

I debiti di suo nipote, l'oscurità della nascita, le lordure della sua vita, la pubblicità dei suoi trionfi, la venalità delle sue carezze, i figli nati dal loro amore, tutto egli accettò, tutto prese per sè, purchè Emma Lyonna ricompensasse col suo possesso la dimenticanza completa della propria dignità.

Emma avea trionfato al di là di quanto sperava.

Ma questa volta ella fece le sue condizioni complete: una promessa di matrimonio avevala unita al nipote, ella volle, che un imeneo segreto la congiungesse allo zio, ed a questo prezzo soltanto sir Guglielmo Hamilton ottenne dì ritornar con lei a Napoli.

La bellezza di Emma fece in questa città il suo effetto, non solamente ella allettò, ma abbagliò ‑ Antiquario e mineralogista distinto sir Guglielmo Hamilton riuniva in casa sua la prima società della capitale delle Due Sicilie, in nobiltà, in sapienti ed in artisti. Pochi giorni bastarono ad Emma, tanto artista ella stessa, per saper della scienza, quanto avea bisogno di saperne ‑ e bentosto, per tutti coloro che frequentavano le sale di sir Guglielmo Hamilton, i giudizi di Emma Lyonna divennero leggi.Una cosa sola mancava al trionfo di Emma, ed era di esercitare in corte quella superiorità, di cui ella avea la coscienza : molte volte nei giardini di Caserta ella avea riscontrato la regina, e non solamente erasi questa scostata da lei, ma avea richiamato le giovini principesse che potevano incontrarla.

Cosa mancava ad Emma già da tutti trattata da regina, per esser trattata da amica dalla regina? ‑ che il suo matrimonio segreto con sir Guglielmo Hamilton fosse reso pubblico ‑ onde ella volle dal vecchio quella pubblicità ‑‑ Emma Lyonna fu riconosciuta per Lady Hamilton e venne presentata alla corte come la moglie dell'ambasciadore d'Inghilterra.

Da quel punto sia politico, sia attrazione, verso un nuovo vizio che dicevasi in Francia non essere estraneo alla sua famiglia, la regina passò da un estremo all'altro.

Quella Emma Lyonna dalla quale ella si allontanava nei giardini di Caserta, questa cantoniera delle vie di Londra dalla quale teneva lontane le sue figlie, diventò la sua amica intima, la sua inseparabile favorita. Senza aver bisogno di creare per Emma la carica nuova di Dama del letto, che Maria Antonietta avea creata per madama di Polignac, Maria Carolina non solamente mostravasi in pubblico con Emma Lyonna, e percorreva la via di Toledo e la passeggiata di Chiaia, nella carrozza medesima, vestite egualmente, ma dopo serate trascorse a riprodurre gli atteggiamenti più voluttuosi e più ardenti dell'antichità, spesso faceva dire a sir Guglielmo, superbo di questo favore, ch'ella tratteneva sua moglie fino alla dimane.

Una simile intimità non solo sollevava l'invidia, ma l'odio. Carolina sapeva quali dicerie circolavano intorno a questa meravigliosa e subitanea intimità, ma ella era uno di quei cuori assoluti e violenti che affrontano a capo alto, non solo la calunnia ma anche la maldicenza, e chiunque volle esser ben visto da lei, dovette dividere i suoi omaggi fra il suo favorito Acton, e la sua favorita Emma Lyonna.

Alcune dame della corte, come la vedova dell'illustre Filangieri, alcuni gentiluomini di vecchia nobiltà come l'ammiraglio Caracciolo non vollero sagrificare al nuovo idolo.

La signora Filangieri, severa virtù, rimprovero vivente, cadde in disgrazia della regina, e Francesco Caracciolo nell'odio di Emma.

 

 

 

 

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 [*1]         Gorani, istoria secreta delle Corti d’Europa.

 [*2]         Lamartine, vita di Nelson.