I  BORBONI  DI  NAPOLI

 

Di Alexandre Dumas

 

Libro II 

 

 

 

CAPITOLO X.

 

 

Verso il tempo medesimo un secondo omicidio insanguinò Roma e fece riscontro a quello di Basseville. Dio ci guardi dall'attribuire a Pio VI la menoma parte di complicità nel doppio assassinio ‑ Ma il sangue versato due volte non macchiò meno la sua bianca veste pontificale, e diede al suo martirio l'apparenza di una espiazione.

E' inutile di dire che, dopo il trattato di Tolentino, il quale avea autorizzato le Romagne a reggersi in repubblica, un partito repubblicano erasi formato a Roma, formato sopratutto dagli artisti francesi, i quali credevano debito loro di far proseliti al governo dal quale dipendevano.

Giuseppe Bonaparte allora ambasciatore a Roma tentava invano di contenerli dicendo loro che il momento non era ancor venuto.

Il 26 dicembre 1797 essi avvertirono l'ambasciatore che un movimento preparavasi. Egli li congedò, supplicandoli, come d'abitudine, d'opporsi per quanto potevano a quel moto.

Essi si ritirarono e promisero di far quanto potevano.

L'indomani sera il cavaliere Azara ministro di Spagna, quello stesso che abbiamo già onorevolmente nominato in molte occasioni, il quale parea sinceramente affezionato alla Francia, dava il medesimo avviso a Giuseppe Bonaparte.

In fatti il 28 dicembre il movimento annunziato si effettuò. Caricati dai dragoni, presi a colpi di fucile da una compagnia di fanti, i repubblicani si rifuggirono sotto i portici del palazzo Corsini, ove era l'ambasciatore, Giuseppe usciva da casa in quel momento; slanciossi immediatamente nella strada e si diresse difilato verso i soldati, chiedendo di parlare al capitano, il quale si nascose nei ranghi e rifiutò di uscirne ‑ In quel mentre la compagnia indietreggiava di alquanti passi, ma nell'eseguire quel movimento esso ricaricava le sue armi. Il generale Duphot che dovea sposare una cognata di Giuseppe Bonaparte slanciossi verso i soldati pontificali per impedir loro di fare una seconda carica, mentre che Beauharnais e Arrighi trattenevano i repubblicani. Ma improvvisamente senza nessuna provocazione, un colpo di fucile partì, e Duphot cadde col petto traversato da una palla. Egli rialzossi immediatamente, s'appoggiò sulla spada e fece alcuni passi indietro; un colpo di spada lo rovesciò nuovamente e tosto trenta o quaranta colpi di fucile partiti dalle fila traversarono il suo corpo forandolo come un crivello.

Giuseppe Bonaparte, minacciato egli medesimo, ebbe appena il tempo di rientrare nella casa dal giardino. Le scale del palagio erano coperte di morti e di feriti

‑ A grande stento le tre porte della facciata, che davano sulla strada, vennero chiuse.

Giuseppe ritrovò sua moglie e la sorella di lei, che doveva l'indomani sposare il disgraziato Duphot, in preda alla più violenta disperazione. La madre ed il giovane fratello delle due dame erano assenti, e potevano essere assassinati nel tornare a casa; la fucilata facevasi sentire nella strada mandando in frantumi i vetri della camera, ove trovavasi l'ambasciatore e la sua famiglia, tre dei domestici erano assenti, ed uno ferito. Armi vennero distribuite agli altri; e, per un sentimento di orgoglio nazionale, appena si trovarono riuniti otto uomini, fra i quali Eugenio Beauharnais. L'aiutante generale Sherloch ed Arrighi, che fu poi duca di Padova, si risolvette di fare una sortita per andare a togliere agli assassini il corpo di Duphot.

Questa intrapresa riuscì a causa della sua temerità, ma in mezzo d'una fucilata che felicemente non uccise alcuno, e ferì un domestico; gli assediati giunsero fino al corpo di Duphot che trovarono nudo, crivellato di ferite, e quasi sepolto sotto le pietre che avevangli gittato sopra.

Il capitano degli assassini, chiamato Amadeo, erasi impadroníto della spada e del centurino, il curato d'una vicina parrocchia erasi appropriato l'oriuolo; gli altri s'eran diviso il denaro e gli abiti.

Non eravi dubbio che il governo romano non avesse gran parte nell'assassinio ch'era stato commesso, poichè per sei ore, ch'era durato il fuoco, nessun tentativo era stato fatto dal Vaticano per soccorrere l'ambasciatore.

Ed eravi anche dippiù, durante le prime 6 ore che seguirono il fatto, molti ministri ed ambasciatori stranierí accorsero in casa di Giuseppe per domandar sue nuove, ed onde protestare contro l'attentato.

Solo il Governo romano non pensò dare niun segno di interesse e tacque.

Giuseppe chiese i suoi passaporti l'indomani ‑ Gli furono dati, ed egli lasciò Roma il giorno medesimo, incamminandosi verso la Toscana.

Sul rapporto di Giuseppe Bonaparte il Direttorio ordinò al generale Berthier, il quale in assenza di Napoleone Bonaparte comandava in Italia, di marciare sopra Roma.

Le istruzioni del Direttorio a Berthier erano di entrare sul territorio pontificio, d'occupar militarmente le città di Roma, e di servirsi della sua influenza per far che gli abitanti proclamassero la repubblica.

Berthier trovavasi a Milano quando ricevette il dispaccio del Direttorío : egli riunì immediatamente tutte le forze di cui poteva disporre, vi aggiunse le leve fatte nella repubblica Cisalpina, e si mise in movimento per eseguire l'ordine ricevuto.

Il 29 gennaio l'avanguardia era a Macerata, il 10 febbraio tutte le truppe erano riunite sotto le mura della città santa, e l'avanguardia prendeva possesso di Castel S. Angelo, che i soldati pontifici non tentarono nemmen di difendere. Ma giunto colà il generale Berthier si fermò, proibì alle sue genti l'entrata della città, ed attese fuor delle mura l'esito del movimento, ch'erasigli detto dover aver luogo all'avvicinarsi delle armi francesi, contentandosi di prevenire i principali agitatori che potevano contare sul suo appoggio.

Il 16 febbraio 23° anniversario dell'ascensione al trono di Pio VI una riunione numerosa di gente ebbe luogo al campo vaccino l'antico Forum Romanum. Questo riunirsi di persone era stato istantaneo tanto che il Papa, il quale ignorava quanto operavasi, riceveva gli omaggi di coloro ch'eran rimasti fedeli alla sua fortuna, quando d'un subito, sotto le finestre del Vaticano s'intesero le grida di « Viva la repubblica, abbasso il Papa ».

Però per rispetto, non pel pontefice, ma pel vecchio gl'insorti non invasero il Vaticano, ma essendosi impadroniti di tutta la città, venne redatto uno scritto il quale constatava la ripresa del diritto di sovranità per parte del popolo, il quale ripudiava ogni partecipazione alla uccisione di Basville e di Duphot, e che aboliva l'autorità papale per quanto riguardava le cose politiche, economiche e civili, costituendosi in sovrano libero ed indipendente.

I fondatori della nuova repubblica si affrettarono di mandar una deputazione di otto fra loro per rimettere quell'atto al generale Berthier.

Questi fece tosto il suo ingresso per la porta del popolo, e condottosi al Campidoglio come gli antichi trionfatori romani, salutò in nome del popolo francese la nuova repubblica riconosciuta libera ed indipendente dalla Francia, e che componevasi di tutto il territorio lasciato al Papa col trattato di Tolentino.

La domane 14 cardinali che avevano firmato l'atto di affrancamento ed una rinunzia a tutti i loro diritti politici, cantarono il Te Deum nella basilica di San Pietro.

Mentre questi avvenimenti compievansi, e che l'edificio infracidito del suo potere temporale crollava, Pio VI, incapace di dominare questa grande crisi, serbava un silenzio, che i fedeli consideravano come quello della serenità e della rassegnazione, e che in realtà era solo quello dell'impotenza e dello scoraggiamento.

Il generale Cervoní penetrò fino ad esso e lo trovò pregando in ginocchio.

Pio VI ricevette da lui la notifica della sua decadenza temporale, e fu invitato come sovrano pontefice a riconoscere il nuovo governo.

Ma il pio vegliardo contentossi di rispondere:

‑ La sovranità mi viene da Dio, e non mi è permesso di rinunciarvi, io ho ottanta anni, la vita è dunque per me poca cosa, e non temo nè gli oltraggi, nè le sofferenze.

Siccome la sua presenza a Roma era incompatibile col nuovo stato di cose, il Vaticano fu occupato, i suggelli vennero messi sugli appartamenti, e Pio VI ricevette l'invito di lasciar Roma fra due giorni.

Il 20 febbraio egli partì per la Toscana.

Finiamola d'un tratto con questa trista storia. Pio VI fermossi a Siena spaventato da un terremoto, e quando questo passò, egli ritirossi nella Certosa di Firenze ma siccome fu sorpreso in comunicazione con Roma, si temette ch'egli vi fomentasse nuovi torbidi, e ricevette l'ordine di continuare il suo cammino verso l'occidente.

Senza sapere ove lo si conduceva, egli traversò successivamente Parma, Tortona, Torino, passò la frontiera della Francia, venne a Briancon, d'onde fu trasferito alla cittadella di Valenza.

Il 29 agosto 1799 egli vi morì.

Bonaparte I° Console fece un'ordinanza, merce la quale, il suo cadavere rimasto in un angolo della fortezza, doveva essere onorevolmente sepolto.

Quel decreto diceva che sulla sepoltura verrebbe innalzato un mausoleo il quale farebbe conoscere l'alta dignità di cui era stato rivestito quel povero cadavere proscritto.

Qualche cosa di simile era successo settecento anni prima al cadavere di Arrigo IV scomunicato da Gregorio VII.

 

Noi abbiamo promesso di ritornare a Vanni. Dopo decorsi quattro anni, il delitto dei prigionieri, di cui egli istruiva il processo, non era ancora scoperto ; il popolo cominciava a raffreddarsi per Vanni, e questo raffreddamento minacciava di estendersi al re ed alla regina. Vanni pensò che bisognava trovare ad ogni costo il colpevole. Egli si presentò un giorno al tribunale dicendo che tutte le procedure erano ultimate, ma che onde il lavoro fosse completo, era mestieri aggiungere nuove prove a quelle già acquistate: ora non si potevano queste ottenere senza la tortura, secondo lui, e non trattavasi d'applicar la tortura ordinaria, perchè, diceva Vanni, aveasi da fare con uomini perversi tanto, che la tortura ordinaria non sarebbe sufficiente, ma era d'uopo far uso della tortura straordinaria. Egli domandava adunque che i principali colpevoli, come il Cavalier Luigi de Medici, il Duca di Cansano, l'abbate Teodoro Monticelli, fossero sottomessi alla prova di questa tortura indicata colla formola Torqueri acriter adhibítis quatuor funiculis.

A questa proposta un grido di disgusto sfuggì dal petto dei giudici. Il solo principe di Castelcicala appoggiò la domanda del procuratore fiscale, si andò alla votazione, e tranne quello di Castelcicala tutti i voti furono contrari a Vanni.

Questi comprese ch'era una lotta disperata nella quale bisognava vincere, attesocchè la disfatta era la morte. Egli portò al re un'accusa contro tre dei giudici suoi colleghi, Mazzocchi, Ferrari, e Chinigo, cioè contro tre degli uomini più rispettabili del Tribunale, eppure la sua influenza sulla regina era grande tanto, che Napoli intero rimase alcuni giorni in aspettativa non sapendo chi cadrebbe se Vanni o quei giusti.

Questa volta per caso, la giustizia quasi imposta dal grido pubblico, la vinse e Vanni fu destituito ed esiliato dalla capitale.

I prigionieri proclamati innocenti furono resi alla libertà.

Ma Castelcicala venne nominato Ministro di Giustizia, e Vanni s'ebbe nel suo esiglio gratificazioni e la promessa di un pronto ritorno.

Per fortuna la divina equità aveva altrimenti disposto.

 

Fu allora che il governo seppe che una flotta partita da Tolone erasi riunita ai sei vascelli di linea ed alle sei fregate ch'erano venute alla Francia, nella divisione fatta con l'Austria delle spoglie di Venezia.

Alcuni giorni dopo si seppe che quella flotta avea preso l'Isola di Malta passando, ed aveva continuato la sua via.

Solamente ove andava essa? Quale era lo scopo di questa nuova spedizione comandata da Bonaparte in persona?

Nessun sapevalo.

Non bisognò altro, per far mancare il Governo Napoletano, sempre pronto a spergiurare, al suo trattato con la Francia.

Sotto pretesto che quella spedizione poteva minacciare la Sicilia o i suoi stati di terra ferma, egli fece riparare le sue fortezze non solo, e fece innalzare nuove batterie sulle coste, fece rinforzare i presidii, portò a 60,000 uomini l'effettivo della sua armata, ma conchiuse segreti trattati di alleanza con l'Inghilterra, l'Austria, la Russia e la Porta.

Il trattato tra l'imperatore e Ferdinando I portava che Francesco II terrebbe accantonati nel Tirolo e nelle provincie Italiane sessantamila soldati e trantamila sui confini di Napoli. ‑ Ebbe esso la data del 19 maggio 1798, e fu firmato a Vienna da Thugut per l'Austria e da Campochiaro per Napoli.

Il trattato con l'Inghilterra in data del 1° dicembre portava che la Gran Bretagna manterrebbe nel Mediterraneo forze superiori a quelle della Francia, che il re di Napoli vi unirebbe quattro vascelli di linea, quattro fregate, quattro bastimenti d'un ordine inferiore, ed al bisogno trecento uomini di equipaggio. Esso venne sottoscritto dal cavalier del Gallo e da sir Guglielmo Hamilton.

Il trattato con Paolo I in data del 29 novembre 1798 firmato a Pietroburgo in quello stesso giorno dal marchese di Serra Capriola in nome di Napoli e da Besborodko Koutchoubeg e Rosthopschine nel nome della Russia, era a carico tutto di Paolo I il quale come si sa, faceva di tratto in tratto il cavalleresco. Egli dava gratuitamente una squadra per la difesa delle coste di Sicilia, truppe da sbarco, reggimenti di cosacchi ed una conveniente artiglieria, il tutto destinato ad agire sotto gli ordini del generale in capo napolitano.

Finalmente il trattato con la Porta, che altro non era se non la rinnovazione dell'accertanza della buona intelligenza sempre esistita fra i due sovrani, obbligava il gran Signore a porre, alla prima richiesta del re di Napoli, dieci mila Albanesi a sua disposizione.

Bentosto i dubbi sullo scopo della spedizione francese furono fissati, e seppesi che la flotta destinata alla conquista dell'Egitto aveva preso terra ad Alessandria.

Qualche cosa mancava a Bonaparte, che avea già combattuto sui campi di battaglia di Annibale, finchè egli non avesse vinto su quelli di Alessandro e di Cesare.

 

Il 16 Giugno 1798 una flotta apparve nel golfo di Napoli, e fuvvi grande terrore per un momento, perchè la si credette francese. Ma essendo state alzate le bandiere si riconobbe esser la flotta inglese comandata da sir Orazio Nelson.

Cerchiamo dare un'idea di quel ch'era quest'uomo, di cui già abbiamo parlato a proposito dell'assedio di Tolone, che fu tanto fatale a Napoli, ed al quale Napoli fu tanto fatale.

Era egli nato il 29 Settembre 1758 in un piccolo villaggio della contea di Norfolk, di cui suo padre era pastore ‑ All'epoca nella quale siamo giunti egli non aveva ancora quarant'anni ‑ Quel casale chiamavasi Barnham Thorpes.

Sua madre mori ancor giovine lasciando undici figli a carico del povero ministro di villaggio.

Il padre li allevò economicamente, in quella dolce affezione che lega quasi sempre tra loro i numerosi membri di una famiglia indigente. Egli fece l'educazione di tutti, figli e figlie ; vi perdè la salute e fu obbligato per ristabilirsi di andare alle acque di Bath.

Il primogenito della famiglia, Guglielmo Nelson, prese nell'assenza del padre la direzione della piccola colonia.

La povera famiglia aveva un parente, il fratello della madre, imparentato ai Valpole, con un legame lontano si, ma riconosciuto ‑ Questo zio era capitano di vascello.

Un giorno il caso fece che il giovane Orazio Nelson (era durante le feste di Pasqua) leggesse sopra un giornale che suo zio aveva ottenuto il comando del Raisonnable vascello di 64 cannoni.

_ Fratello mio, esclamò egli, scrivete, ve ne prego, senza perdere un momento a nostro padre, e pregatelo di chiedere a mio zio Maurizio d'imbarcarmi con esso.

La lettera partì il giorno medesimo.

Leggendola, il padre disse:

‑ Era questa la sua vocazione, sarei ben meravigliato s'egli non giunge in cima all'albero.

Nelson effettivamente vi giunse.

La proposizione fu accettata da Maurizio Suckling ed il piccolo Orazio, debole come una bacchetta di salice, venne imbarcato a bordo del Raisonnable.

Orazio fece due campagne: una su questo vascello, l'altra sul Triumph, e, quando questo venne disarmato, egli imbarcossi sopra una nave mercantile. Al suo ritorno trovò suo zio, direttore sul Tamigi di una scuola pratica di aspiranti, fondata su quel medesimo Triumph sul quale aveva egli navigato ‑ Vi entrò ma quella specie di pratica essendogli insopportabile, si arruolò volontariamente in una spedizione di scoperte al Polo Nord.

Egli era sul Race‑Horse ‑ Giunto agli estremi limiti dell'Oceano il bastimento fu preso fra i ghiacci. Orazio attaccò un orso, lottò corpo a corpo con esso, e sarebbe morto probabilmente nella lotta, se uno dei suoi compagni non avesse ucciso il suo terribile avversario con un colpo di fuoco a brucia pelo.

Egli aveva allora sedici anni ed era debolissimo di corpo.

Come, non essendo più vigoroso di quel che sie­te, domandò il comandante, avete voi attaccato un simile animale ?

‑ Io voleva portarne la pelle a mio padre ed alle mie sorelle ‑ rispose il fanciullo.

Le dure prove alle quali il mare sottopone i suoi amanti svilupparono più tardi la forza e fortificarono la salute di Nelson.

Liberata dai ghiacci la spedizione trovò un mare libero. Nelson passò allora sul Sea‑Horse leggero bastimento di venti cannoni, ed entrò nel mare delle Indie. Dopo due anni di stazione su quelle coste di cui l'atmosfera è avvelenata, egli tornò in Inghilterra in preda ad un deperimento che parea mortale.

Sei mesi bastarono per rendergli la salute. Egli profittò di questa convalescenza per mettersi in istato di subire i suoi esami, dai quali uscì da trionfatore, fu fatto sotto luogotenente di marina, fece la guerra contro gli Americani indipendenti, difese la Giamaica contro l'ammiraglio d'Estaing, passò nell'America Spagnuola, e rinnovò le geste di quei fratelli della costa di cui la storia è giunta fino a noi con tutto il bello del romanzo.

Un giorno in una delle sue escursioni nelle foreste del Perù egli addormentossi a piedi d'un albero avvolto nel suo mantello.

Un serpente vi s'introdusse sotto.

In un movimento che il dormiente fece, offese il rettile che lo morse ‑ era della specie più velenosa ‑ Il contravveleno applicato a tempo dai naturali del paese lo salvò, ma per la seconda volta ritornò moribondo in Inghilterra.

Egli guarì ma non perfettamente, e risentissi per tutta la vita di quell'avvelenamento.

Dopo tre mesi, sulla raccomandazione di Lord Corwalis, egli ebbe il comando di un Brik di 26 cannoni, col quale incrociò nelle acque del mar del Nord, e studiò le coste della Danimarca.

Nella primavera Nelson fu mandato nell'America del Nord; inseguito e circondato da quattro fregate francesi, sfuggì loro facendo traversare al suo Brik alcuni bassi‑fondi, fino a quel momento creduti impraticabili.

Egli giunse al Canadà.

Divenne colà innamorato per la prima volta, e si potè allora comprendere evidentemente, alla violenza del suo amore, quale influenza doveva aver sulla sua vita quella passione. Per non lasciar l'amante egli volle dare la sua dimissione, e rinunziare alla sua carica, e rimandare senza di lui il suo bastimento in Europa. I suoi ufficiali che lo adoravano lo trattarono da matto, s'impadronirono di lui, lo portarono legato a bordo, e gli resero la libertà sol quando il Brik fu in alto mare.

Questa passione cedette tosto il posto ad un'altra. Di ritorno in Inghilterra egli sposò l'undici marzo 1785 Mistress Nisbett giovane vedova di 19 anni.

Condusse sua moglie nella casa di suo padre morente, ed i suoi compagni lo considerarono come perduto per la marina.

In effetti fu mestieri della guerra del 1792 contro la Francia, per strapparlo alle attrattive di quella dolce e tenera oscurità nella quale era entrato. L'ammiraglio andò a cercarlo sotto il tetto coniugale, vicino alla tomba del padre, e gli diede il comando dell'Agamennone, col quale egli raggiunse la squadra dell'ammiraglio Hood nel Mediterraneo. Abbiam veduto la parte che ebbe alla presa di Tolone, come venne a Napoli come fu ricevuto dal re, come conobbe il sig. Hamilton e co­me da lui fu presentato ad Emma Lyonna. L'anno seguente egli perdette un occhio all'assedio di Calvi.

Nel 1797 giunse al grado di Contro Ammiraglio, e fu incaricato di prendere l'isola di Teneriffa, ma la spedizione non ebbe successo alcuno e Nelson vi perdette un braccio.

Nel 1798 Nelson faceva parte dell'armata navale inglese comandata da sir Giovanni lervis, poi Lord conte di S. Vincenzo. Prevenuto degli armamenti che i francesi facevano a Tolone, l'ammiraglio Inglese si ostinò a vedervi un progetto di spedizione nell'Oceano e si limitò a chiudere lo stretto di Gibilterra ed a bloccare la flotta Spagnuola.

Un dispaccio dell'ammiragliato, oltremodo inquieto anch'esso per quella spedizione, lo autorizzò sia a lasciare il blocco della flotta Spagnuola, riguardata come poco importante, sia a distaccare una parte della sua flotta e darne il comando ad Orazio Nelson.

Lord S. Vincenzo si appigliò a quest'ultimo partito, spedì Nelson con tre vascelli di linea, quattro fregate, ed una corvetta per osservare il porto di Tolone, e restando egli stesso innanzi al porto di Cadice promise a Nelson di spedirgli soccorsi alla prima richiesta.

Nelson partì, ma troppo tardi, egli lasciava la baia di Cadice il 9 maggio e doveva fare 400 leghe mentre la flotta francese lasciava il porto il 19. Giunto nel golfo di Lione una tempesta disperse le sue navi e disalberò il vascello sul quale egli era imbarcato.

Egli entrò nel porto di S. Pietro, rimorchiato da un vascello che aveva meno sofferto del suo.

Durante quel tempo, aveva saputo la partenza della flotta da Tolone, ed aveva spedito un bastimento a Lord S. Vincenzo per chiedergli il soccorso promesso.

Ma solamente l'otto giugno egli potè riunirsi a quel soccorso, ed era quello il momento nel quale la flotta francese trovavasi tra la Sicilia e Malta.

Quel soccorso componevasi di dieci vascelli da 74 e di uno da 50.

Fatta questa unione, Nelson si mise alla ricerca della flotta Francese ‑ Sulle coste della Corsica seppe che essa era stata vista tra il Capo Corso e l'Italia.

La spedizione era diretta contro Napoli? La cosa era probabile.

Nelson recossi a Napoli immediatamente, dove, come lo abbiam detto, giunse il 16.

La sua prima visita fu naturalmente per sir Guglielmo Hamilton o piuttosto per Emma Lyonna.

Nelson non era certo diventato più bello ne'quattro o cinque anni che erano passati. Egli aveva come abbiamo detto perduto un occhio a Calvi e un braccio a Teneriffa, ma il cuore della donna è capriccioso: l'eroe mutilato le parve anche più interessante.

Forse nei quattro o cinque anni gli amanti avendo conservato la memoria del primo abboccamento si erano scritti.

Il vero è che si strinse un legame indissolubile come quello d'Antonio e di Cleopatra, il qual legame, come quello d'Antonio e di Cleopatra, dovea mettere in fuoco le rive del Mediterraneo.

Disgraziatamente per gli amori nascenti di Nelson, egli dovette lasciar Napoli, poichè sir Hamilton davagli la nuova che la flotta Francese dirigevasi sopra Malta.

Egli partì per Messina. Colà seppe che Malta era presa, che Bonaparte vi aveva lasciato un presidio di 4000 uomini ed aveva continuato il suo cammino verso l'Oriente.

Non eravi più dubbio per Nelson, la Francia progettava uno sbarco sia in Egitto, sia in Siria.

Nelson si diresse difilato ad Alessandria, ove giunse prima della flotta Francese, perchè l'ammiraglio Brueys non aveva fatto direttamente il cammino, avendo esplorato le coste di Londra.

Mal ricevuto dal governo, il quale minacciava di fargli fuoco contro se tentava di entrare, non sapendo più qual rotta faceva la squadra Francese, avendo perduto la traccia di quattrocento vele, come un cane male addestrato perde di vista il selvaggiume, Nelson navigò a caso sulle coste della Caramanzia a quella della Morea, e dopo aver percorso tutto l'Arcipelago, mancando di acqua e di viveri, tornò a prenderne in Sicilia.

Se la corte di Napoli fosse rimasta nei termini del suo trattato con la Francia, trattato di cui ella erasi ben guardata d'annunziar la rottura, Nelson era obbligato di andare a rifornirsi di viveri a Gibilterra ed era perduto.

In fatti un uragano terribile si addensava su lui in Inghilterra, quando vi si seppe ch'egli aveva lasciato sfuggire, ed aveva cercato inutilmente nel Mediterraneo, per un mese, una flotta composta di 400 navi. Da ogni parte domandavasi che venisse messo in istato di accusa e si biasimò Lord S. Vincenzo e l'ammiragliato di avere scelto in un affare tanto importante un ufficiale da poco promosso al grado di contr'ammiraglio.

Una gran vittoria poteva solo salvarlo.

Egli l'ottenne completa ad Aboukir. Dopo l'invenzione della polvere nessun combattimento navale aveva avuto per una delle due parti un risultato tanto disastroso.

Due vascelli su tredici potettero soli sfuggire alle fiamme ed involarsi all'inimico.

Un vascello era andato in aria. L'Oriente, un altro vascello ed una fregata erano andati a fondo per opera degli Inglesi, e nove vascelli erano stati presi.

Questi ultimi erano talmente mutilati che Nelson fu costretto di arderne tre, Le Guerrier, Le Mercure e l'Heureux.

Degli altri sei ch'egli condusse seco, dovè alquanto tempo dopo bruciarne altri due.

Nelson dal canto suo aveva ricevuto una crudele ferita, una delle ultime palle di cannone del Guglielmo Tell in agonia, tagliò un frammento di antenna del vascello il Vanguard sul quale egli era ‑ Il pezzo tagliato gli cadde sulla fronte, mentre ch'egli alzava il capo, gli rovesciò la palla, sull'unico occhio che restavagli e lo rovesciò sul ponte bagnato di sangue.

Nelson credette la ferita mortale; fece chiamare il cappellano per riceverne la benedizione, e lo incaricò delle sue ultime parole per la sua famiglia. Ma col cappellano era accorso il chirurgo.

Questi esaminò la piaga, il cranio era salvo, solo la pelle della fronte ricadeva fin sulla bocca.

La pelle fu rimessa al suo posto, una benda ve la fissò, e Nelson continuò la sua opera di distruzione.

Alcune navi leggere portarono alla corte di Napoli ed all'Inghilterra la nuova della vittoria degl'Inglesi e della nostra sconfitta.

 

 

 

 

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