I  BORBONI  DI  NAPOLI

 

Di Alexandre Dumas

 

Libro II 

 

 

CAPITOLO III.

 

Si capirà facilmente il romore che avevano fatto simili avvenimenti alla corte di Napoli.

Il genio rivoluzionario, che s'impadroniva a poco a poco degli spiriti in Francia, che non era ancora altro che un fantasma agli occhi di Carolina e di Ferdinando, poteva pure, a poco a poco, prender consistenza e produrre nel Reame delle Due Sicilie gli stessi effetti che aveva prodotti a Parigi e nelle Province.

Gli occhi di Ferdinando e di Carolina si distolsero dunque per un momento, da'loro stati, dove non si vedeva ancora nessun segno di rivoluzione, per non perdere di vista ciò che accadeva in Francia.

Ora, ciò che accadeva in Francia, diveniva sempre più grave. Alla presa della Bastiglia era succeduto il banchetto delle guardie del corpo, l'invasione di Versailles, nei giorni 5 e 6 ottobre, ed infine la fuga del Re, il 21 giugno.

Questi avvenimenti avevano un tal eco in Napoli, ed accumulavano un tal odio nel cuore di Carolina, odio ch'ella faceva partecipare a Ferdinando, che ci è tanto impossibile di passarli sotto silenzio, quanto se facessero parte della storia di Napoli stesso.

Infatti gli avvenimenti della Francia sono, in qualche modo, la chiave, la spiegazione degli avvenimenti di Napoli, poichè essi fecero una impressione tale che gli feron cambiare carattere.

Diciamo dunque che cosa fu il banchetto delle guardie del corpo, che cosa furono le giornate del cinque e sei Ottobre, che cosa fu infine quella terribile giornata del 21 Giugno in cui il Re e la Regina di Francia furono arrestati a Varennes.

Noi restringeremo il nostro racconto per quanto ci sarà possibile,' ma gli daremo nondimeno una estensione relativa alla sua importanza.

Abbiamo detto che la coccarda tricolore era stata imposta dal popolo alla Municipalità, e da Bailly, il Maire di Parigi, al Re.

La Fayette avea profetizzato aggiungendo le seguenti parole :

« Prendete questi colori, Sire, essi faranno il giro del mondo. »

Ora, questa era la cosa di cui si curava meno Luigi XVI e soprattutto Maria Antonietta, che cioè, i colori nazionali facessero il giro del mondo. Straniera in Francia, a cui essa era debolmente attaccata, pel matrimonio con Luigi XVI, era imparentata con tutti gli stranieri. Dunque, lo straniero era la sua famiglia, e se i colori nazionali francesi facessero il giro del mondo rovescerebbero l'Austria. Napoli e la Spagna, che le stavano molto più a cuore della Francia.

Maria Antonietta aveva dunque in orrore que' famosi colori nazionali di cui il popolo francese era in quel tempo, ed è poi rimasto così entusiasta che forse la caduta de Borboni del ramo primogenito nel 1830 è, dovuta alla loro pertinacia in volere rifare della bandiera bianca, la bandiera de Borboni. Da quel momento vi furono infatti due bandiere in Francia : la bandiera del _Re e la bandiera della nazione.

Di là nacque l'immenso effetto che produsse il 28 Luglio, l'apparizione, in mezzo al fuoco della fucileria, e della campana a rintocco, della bandiera tricolore, sulla cima delle torri di Notre Dame.

In Francia la bandiera tricolore è l'arca santa. Chi la tocca cade morto.

Dunque si sapeva che il Re aveva adottato questa nuova coccarda perchè non ne aveva potuto fare a meno, e che la Regina la rispingeva, nello stesso tempo, con la mano e col cuore.

Perciò la Regina nudriva un progetto che doveva mettere in fuoco l'Europa.

Ecco questo progetto.

Si facevano avvicinare a Versailles novemila uomini della Casa del Re di cui due terzi erano gentiluomini.

Si prendeva posseso di Montargis ove si recava il Barone di Viosmenil, compagno di guerra di La Fayette in America, che s'era fatto controrivoluzionario, per gelosia contro La Fayette, che si faceva costituzionale.

Diciotto reggimenti scelti fra i carabinieri ed i dragoni, le due arme più realiste, taglierebbero le strade fermerebbero i convogli di viveri ed affamerebbero Parigi.

Il Re e la Regina, con la famiglia reale, si ricovererebbero a Montargis e di là provvederebbe a ciò che dovesse farsi.

Il danaro non mancherebbe. Oltre quello che porterebbe con sè il Re, vi sarebbero le sottoscrizioni volontarie. Un solo Procuratore di Benedettini, offriva per parte sua cento scudi, (300.000 franchi).

Un reggimento di linea sarebbe chiamato a Versailles. Questo reggimento comandato dal signor de Lusignan che apparteneva al partito liberale dell'Assemblea, non ispirava nessun timore, non essendo un reggimento privilegiato.

D'altronde, la Guardia Nazionale di Versailles, a causa dei torbidi giornalieri, era oppressa dalla fatica, le si farebbe domandare d'essere supplita da quel reggimento.

Perché si sceglieva il reggimento di Fiandra?

Perchè gli ufficiali non avevano prestato il giuramento alla costituzione e, per conseguenza erano liberi.

Il reggimento comandato dal sig. d'Estaing comandante della Guardia nazionale di Versailles fu chiamato a Versailles e vi entrò portando secolui una missione segreta che ignorava egli stesso, come la nuvola porta il fulmine.

La Guardia nazionale, ignorando con quale scopo era chiamato, gli andò incontro e fraternizzò con lui.

Il Re fu così contento di questa dimostrazione che nello stesso giorno scrisse di suo proprio pugno al sig. d'Estaing.

» lo v'incarico, mio cugino, di ringraziare la Guardia  Nazionale della mia città Versailles, della premura  con la quale è andata incontro al mio reggimento di Fiandra. Manifestate alla Municipalità quanto io sono  soddisfatto della sua condotta. Non dimenticherò il suo affetto e la sua fiducia in me, ed i cittadini di Versailles lo debbono a'miei sentimenti per loro. Per l'or  dine e la sicurezza di questa città io ho fatto venire il reggimento di Fiandra che s'è così condotto a Douai e altrove. Io sono persuaso che farà altrettanto a Versailles e v'incarico di rendermene conto ». 

Alle cinque della sera, in uno degli ultimi giorni del mese di settembre, 1789, il reggimento di Fiandra entrò infatti a Versailles trascinando seco lui due cannoni da quattro, otto barili di polvere, sei casse di palle che pesavano ognuna cinquecento libbre; un cassone di mitraglie, e circa 7.000 cartucce senza contare quelle che erano nelle ciberne.

Le opinioni realiste di questo reggimento erano ben Conosciute da tutti i partiti. I patrioti s'allarmarono dunque, soprattutto nel vedere le acclamazioni con le quali l'accoglievano i realisti.

Così, malgrado il suo giuramento, i patrioti non sono riassicurati.

Infatti sentendosi rafforzati dalla presenza di questo reggimento i realisti rialzano la testa; alcuni spingono l'impudenza e la sfida fino a staccare dal loro cappello la coccarda tricolore, e sostituirvi la coccarda bianca, in simbolo di fedeltà all'antico regime, altri vi pongono la coccarda nera, in segno di lutto, dicono essi.

La coccarda nera, non si dimentichi, è la coccarda austriaca.

Per afforzare il reggimento di Fiandra, si fanno entrare a Versailles, dal 20 settembre al primo ottobre, 1,200 ufficiali in semestre.

Tutte le guardie del corpo, il cui servizio finisce il primo d'ottobre, sono ritenute, e raddopiano così il numero di quelle, il cui servizio comincia il primo. Ecco le voci che corrono.

Il Re non partirà più per Montargis, ma per Metz. Ivi si riunirà tutto ciò che rimane in fatto di fedeli servitori a Sua Maestà, si aggiungeranno, se ve ne sarà bisogno, milizie straniere.

Allora si scioglierà l'assemblea.

Ciò non è tutto. Nel primo momento di confusione che cagionerà la partenza, uomini fedeli, destri ed intrepidi, inchioderanno i cannoni di Parigi, e faranno saltare in aria le polveriere a rischio di far saltare con esse, la metà della città; nello stesso tempo, s'impedirà che entrino le vettovaglie, e Parigi sarà preso fra la carestia ed il fuoco delle milizie, e privato de' cannoni e della polvere non potrà più rispondere a quel fuoco.

Chiunque ha vissuto nei tempi di agitazione popolare, sa con quale rapidità simili voci si spandono e quanto profondamente penetrano nel cuore delle popolazioni.

Le guardie del corpo erano incaricate di portar via il Re ‑ mille e duecento, o mille e cinquecento uniformi, che si facevano fare di nascosto, dovevano, grazie a' nuovi arruolati, raddopiare il numero di que' gentiluomini sui quali si poteva fidare sino alla morte.

Mai, neppure nei giorni del suo splendore, Versailles non aveva veduto tante uniformi nelle sue strade, mai tante croci di S. Luigi agli occhielli degli abiti, mai nemmeno non aveva inteso tanto sordo rumore fra il popolo che li vedeva passare.

D'altronde, in mezzo a quegli uniformi se ne vedevano dei nuovi, che nessuno conosceva, e che non appartenevano a nessun reggimento.

Erano uniformi con paramani rossi.

Si dicevano, l'un l'altro, che erano uniformi della corte.

Figuratevi a qual punto questa nuova materia combustibile, gittata nel fuoco, doveva portare l'ebollizione popolare!

La corda era talmente tesa da una parte e dall'altra che ognuno presentiva che era vicina a spezzarsi.

In queste disposizioni incomincia per le guardie dei corpo il servizio del 1 ottobre.

Nell'entrare a Versailles gli ufficiali del reggimento di Fiandra erano stati ricevuti non solamente dalla Guardia Nazionale, ma anche dagli emissari della corte, che gli avevano invitati al giuoco della Regina e ad un banchetto dato dalle guardie del corpo.

Questo banchetto era il primo che le guardie del corpo avessero mai dato, in simile occasione.

Sarà una festa fraterna, vi saranno ricevuti anche i dragoni semplici.

Il capitano delle guardie, signor de Guiche, ben conosciuto per la sua devozione alla Regina, assisterà alla festa. La sala da spettacolo sarà convertita, per quel giorno, in sala da festino, perchè quelli che v'andassero potessero vedere da' palchi e circolare sul proscenio.

Era il primo d'Ottobre un giovedì, il giorno in cui doveva aver luogo il banchetto. Si riunivano nel salone d'Ercole; poi, quando eran giunti tutti i convitati, si passava nella sala da spettacolo. La Musica delle guardie del corpo e quella del reggimento di Fiandra completavano la festa.

Durante il primo servizio, tutto andò a maraviglia. Il vino non aveva ancora avuto il tempo di esaltare le opinioni, e di raddoppiare il coraggio.

Al secondo servizio si bevve alla salute di quattro persone: a quella del Re, a quella della Regina, a quella del Delfino, ed a quella della famiglia reale.

Un patriota malaccorto propose di bere alla salute della nazione. Questa proposizione fu respinta.

All'entremets si fecero entrare i semplici soldati, di cui abbiamo già parlato, i dragoni, i granatieri di Fiandra i cento svizzeri, i cacciatori municipali.

Bicchieri pieni gli aspettavano. Questi bicchieri saranno riempiti appena vuotati: ai fumi del vino s'unirono lo splendore di mille lumi, riflettuti dagli specchi.

Per questi uomini, non assuefatti al lusso, è un Palazzo delle mille ed una notte quella sala da spettacolo; non è più un Re nè una Regina, nè un fanciullo reale, che abitano a Versailles, è un Dio, una Dea, un Olimpo tutto intero. Eglino non comprendono come vi sia gente al punto di portar la mano su quelle divinità.

Nel momento, in cui il vino sale al cervello, la porta si apre, e comparisce la Regina col Delfino. Essa prende il real fanciullo fra le braccia, e fa il giro delle tavole annunziando che il Re, che arriva dalla caccia, si veste e viene.

Gli applausi scoppiano; non è più Maria Antonietta ed il Delfino, è Maria Teresa in persona, che comparisce in mezzo a' suoi fedeli Ungheresi col figlio nelle braccia.

Alla sua volta il Re si presenta, e, come se tutto fosse combinato espressamente per portare al colmo l'entusiasmo, la musica, elettrizzata, di pieno accordo, comincia l'aria si nazionale di Grétry.

‑ 0 Richard, ò mon Roi,

L'univers t'abandonne.

Allora non è più entusiasmo, è ebbrezza: è follia.

Un giorno, la Regina avea posta nella sua pettinatura una aigrette dell'elmo del bell'Arturo Dillon. Non era per altro che una imprudenza di donna, ed essa non tradiva altro che il Re.

Quella sera mette alla sua cuffia una coccarda nera, la coccarda nera dell'Austria; quel giorno era una sfida da Regina, ella tradiva la nazione.

Un uffiziale delle guardie domanda questa coccarda, e la regina gliela dà.

Egli l'alza in aria come il prete alza l'ostia consacrata.

‑ Signori, dice, ecco la vera coccarda francese; è la coccarda che porta la nostra Regina: abbasso la coccarda tricolore.

E la coccarda tricolore è strappata da tutti i cappelli, e posta sotto i piedi.

Si potrebbe raccontare difficilmente quel che seguì.

Infatti, come raccontare un baccanale in cui ciascuno grida, canta, trae fuori la sua sciabola, vi mette sopra il cappello, urla: Viva il Re, viva la Regina, morte al duca d'Orleans?

Gridar morte al duca d'Orleans, così popolare in quel momento, è lo stesso che gridar: morte al popolo.

La Regina allora inoculò la guerra civile alla Francia.

L'indimani del banchetto, la Guardia Nazionale va a ringraziar la Regina delle bandiere, che le ha date:

‑ Signori, dice la Regina, son ben contenta d'aver date le bandiere alla Guardia Nazionale di Versailles. La nazione e l'esercito debbono essere affezionati al Re, siccome il Re ed io, siamo affezionati a loro. Poi, aggiunse imprudentemente, allorchè l'era facile di non parlarne più.

Sono stata contentissima della giornata di ieri.

Così, povera Regina, la giornata di ieri, non era una sorpresa ‑ Così Maria Antonietta non si rammarica della giornata di ieri ‑ nè se ne pente ‑no, anzi n'è contentissima.

Tanto contentissima che il giorno 3 si dà un secondo banchetto, dove si commettono gli stessi eccessi del primo.

Non prima del giorno 3 alla sera si seppe a Parigi quel che era accaduto a Versailles.

Danton ‑ Vi ha mai bisogno di dire ai nostri lettori italiani, chi fosse Danton? ‑ Danton parla ai Cordelieri. Si mette in furore, e fulmina contro la Corte.

Il primo movimento dei Parigini fu lo stupore; il secondo, il dubbio ‑ il terzo, quando la notizia fu confermata, la collera ‑ Le voci che, da otto o dieci giorni, correvano a Versailles sulla partenza del Re, sulla dissoluzione dell'assemblea, sulla entrata dello straniero in Francia, incominciano a circolare a Parigi. Aggiungete a ciò la carestia, o, per dir meglio, la fame ‑ le farine di Corbeil, che non arrivano più se non che un giorno sì e un giorno no.

Le piogge d'inverno, che cadono fredde ed agghiacciate, e che, disponendo il corpo alla malattia dispongono lo spirito alla violenza ‑ da ultimo, le donne che soffrono triplicatamente la fame, per i loro figli prima di tutto, pei loro mariti poi ; infine, per loro stesse.

Erano le donne ch'avean fatto il i e il 3 ottobre a Versailles.

E furon le donne che fecero il 5 e 6 ottobre a Parigi.

Nel corso di quella giornata, del 3, in cui la notizia che la regina ha inalberata la coccarda nera, e che le guardie del corpo, gli Svizzeri e Uffiziali del Reggimento di Fiandra han calpestata la coccarda tricolore, non vi fu famiglia del popolo, che non avesse sofferto la fame.

Una donna affamata corse al Caffè, Foy ‑ il Caffè Foy era il centro del Palazzo Reale, ‑ il Palazzo Reale era il Vesuvio politico di Parigi.

Questa donna denunzia le coccarde bianche e nere, e proclama la patria in pericolo.

Ciò accadeva il 3 a sera.

La giornata del 4 passò fra i subbugli di strada: si assediano i posti de' fornai ; la metà degli affamati non potè trovare a comprar pane.

Pane ve n'è a Versailles, poichè là si dà a banchettare a reggimenti interi.

Il Re è fornaio ‑ la Regina è fornaia, ma solamente per i soldati che hanno la coccarda nera.


Costoro non han bisogno di comprare il pane; vien loro donato.

La giornata della domenica passò pure tutta piena di emozioni, di allarmi senza ragione, come ve ne ha sempre la vigilia delle rivoluzioni; ma non si decise nulla.

Il lunedì, 5, una giovinetta prende un tamburo, batte la generale ne' mercati, e, poichè gli uomini non san decidere nulla nel pericolo in cui trovasi la nazione, ella si rivolge alle donne.

Al rullo di questo tamburo, battuto da una donna, le donne si riuniscono, la seguono, le dimandano ove va?

Ove essa va, andranno.

Fra queste donne, pallide, smunte, disperate, ve ne ha di quelle che non han mangiato da più di trent'ore. Impossibile! direte voi. Eh! mio Dio! leggete il Moniteur. Generalmente parlando, il Moniteur non esagera le situazioni estreme, e non prende il partito del popolo contro il governo ‑ Vi troverete:

« Fin dalle 4 della mattina, la folla assediava i posti dei fornai ‑ uomini, donne, vecchi, fanciulli, tutti si levavan prima del giorno, per armarsi contro la fame - la parola è di quel tempo. »

Passate dal Moniteur alla Storia della rivoluzione, scritta da due amici della libertà. Vi leggerete queste parole:

« Una pagnotta, comprata a prezzo di danaro, era vittoria. Lo sventurato giornaliero, obbligato di combattere, dalle quattro della mattina fino alle quattro della sera, dodici ore! per ottenere quella pagnotta, che aspettava con tanta ansia la famiglia, perdeva il salario della sua giornata; e l'indomani, senza danaro e senza forza, cadeva a terra calpestato da coloro che ancora poteansi reggere in piedi. »

Le nostre madri ci han raccontato a noi, uomini della generazione che ha succeduto a quella dell'89, che, quando si andava a desinare fuori casa, era sottinteso che ognuno portasse il suo pane. ‑ Colui che avesse trascurato questa precauzione, avrebbe diminuita la porzione degli altri.

Giudicate dell'effetto che produsse su quella folla affamata, il racconto di questo doppio baccanale. Vi eran dunque de' ricchi che avean troppo, quando il povero non aveva abbastanza, e dippiù questo ricco insultava il povero ‑ esso voleva ritorgliergli quel poco di libertà che avea conquistata. Quelle due coccarde,,, che si sono così impudentemente inalberate innanzi il popolo, in onta di quella che egli si è data, hanno ognuna il suo significato : la bianca è l'assolutismo ; la nera è lo straniero.

Quest'odio, da una parte, per la coccarda tricolore; dall'altra, per la coccarda bianca o nera, si capisce senza difficoltà : la coccarda è un principio.

Le persone che portano la coccarda nera o la coccarda bianca, sono quelle che affamano Parigi, son quelle che vogliono la morte de' patrioti.

‑ Ebbene! sia pure! esclamano i corifei delle mozioni al Palazzo Reale – sia la guerra! poichè voi volete la guerra, signori della Corte i ‑s'impiccheranno tutti coloro che porteranno una coccarda che non sia la coccarda nazionale, ammeno che non stiano al servizio dello straniero. »

L'oratore, che ha fatto questa terribile mozione, avea appena finito di pronunziarla, quando un giovane, che avea la coccarda nera, fu arrestato. ‑ In cinque minuti egli ebbe la corda al collo. Il comandante d'una pattuglia che passava ebbe bisogno di tutto il suo coraggio e di tutto il suo sangue freddo per salvarlo.

Per comprendere quel che va ad accadere a Versailles, bisogna veder prima quel che accade a Parigi.

La domenica sera, una donna ‑ il suo nome è ignorato, essa rappresentava la sofferenza, questo è tutto Una donna corre, dal Rione S.Denis al Palazzo Reale; vuol che le donne vadano a Versailles, essa sarà alla loro testa.

‑ Bel Generale! dice un motteggiatore!

Il motteggiatore riceve uno schiaffo sonoro, e cessa di motteggiare.

L'indimani essa accorre ai mercati, attirata dal tamburo che batte la giovinetta.

‑ A Versailles! A Versailles! Essa grida.

E come se si aspettasse questo grido, siccome il 14 luglio tutti gli uomini avean gridato: Alla Bastiglia! il cinque ottobre tutte le donne gridano: A Versailles!

Ed essa si mise alla testa della colonna, a cavallo ad un cannone, e con una sciabola in mano.

Delle donne che rappresentarono una parte in quel giorno, due sole sono conosciute.

Una Luisa Chabry, la quale, quando furon giunte a Versailles, fu scelta dalle sue compagne per parlare al Re, era una bella giovane, che scolpiva sul legno per le chiese e per gli appartamenti. Le sommosse l'hanno rovinata, ed ella s'è fatta fioraia al Palazzo Reale.

L'altra vestita, con un soprabito rosso, tenendo in mano una sciabola, che più d'una volta fu, in seguito, dei colore del suo soprabito, l'altra èla terribile amazzone di Liegi: Theroigne di Mericourt.

‑ Ecco la leggenda, che si racconta su lei:

Ella è stato ingannata da un giovane gentiluomo di Liegi, che dopo averla renduta madre, ha ricusato di sposarla ed ha giurato di versar tanto sangue quanto ce ne vuole per lavare la stia onta.

Le altre erano delle portinaje, delle donne de' Mercati, delle meretrici: per la maggior parte realiste. Nessuna di loro, ben certamente, non avea l'intenzione di far male al Re o alla Regina.

Come partirono queste donne?

Alcune a cavallo; altre sui cannoni, quasi tutte a piedi; le tre quarte parti a digiuno: come parte la tromba che reca la devastazione e la morte senza saperlo.

Chi le spinse? Quel vento delle rivoluzioni che, improvvisamente si leva, infierisce, e rovescia.

Perchè andavano a Versailles?

Lo dicevano ad alta voce, per ricondurre seco loro, il fornaio e la fornaia, il Re e la Regina, e per sentire nello stesso tempo, la loro petite mére, Mirabeau!

Ma per andare a Versailles, han bisogno di armi e di polvere. Vanno al Palazzo di Città, ad impadronirsene; prendono ottocento fucili, caricano due carri di polvere ; penetrano nei depositi de' pesi e misure: dodicimila franchi erano rinchiusi in tre sacchi, prendono un sacco di quattromila franchi: essi serviranno per pagare ciò che consumeranno per istrada.

Di là, passano nella sala delle deliberazioni: vi trovano una quantità di ordinanze, vien loro l'idea di metter fuoco a tutte quelle cartacce, due donne corrono con torce accese ‑ vanno a porvi fuoco, e, probabilmente, a bruciare con esse, il Palazzo di Città: un uomo accorre e strappa loro le torce dalle mani ; esse vogliono strangolarlo. Questi dice il suo nome. E' un usciere dello Chatelet, uno de' vincitori della Bastiglia: Stanislao Maillard. Esse gridano: Viva Maillard, e lo nominano loro generale.

La donna che avea preso questo titolo, lo cede, senza esitare, a Maillard. Essa ridiventerà semplice soldato, ma conserverà la sua sciabola ed il suo cannone.

Alla fine, si mettono in cammino per Versailles. Maillard è alla loro testa, col suo vestito nero ; il suo contegno freddo e severo; egli esce con loro da Parigi.

Sono settemila circa.

Noi sopprimiamo i particolari, e le lasciamo andare.

Vediamo ciò che accadde alle loro spalle.

La Fayette ha inteso parlare del fatto, ed è corso al Palazzo di Città.

Non vi ha trovato più le donne; ma, invece molti uomini; fra questi, parecchi della Guardia Nazionale, assoldati e non assoldati.

In mezzo a queste Guardie Nazionali assoldate che diverrà più tardi la Guardia Nazionale, vedete voi quello la cui testa oltrepassa tutte le altre, il cui cappello, posto in un certo modo, attira gli sguardi, che scuote, di tanto in tanto, una foresta di capelli neri, inanellati, come un leone scuote la sua criniera ?

E' Gioacchino Murat, figlio di un Albergatore della Bastiglia, presso Cahors.

E' il futuro Re di Napoli.

La Fayette attraversa i gruppi di gente, e sale al Palazzo di Città, dietro lui la piazza di Greve si affolla.

La Fayette comincia dal dettare una lettera al Presidente dell'Assemblea Nazionale, per raccontargli ciò che accade in Parigi.

La porta si apre; una deputazione di Granatieri 3i fa innanzi, essa è mandata al generale.

‑ Mio Generale, dice colui che è incaricato di parlare. Noi siamo deputati dalle dieci compagnie di Granatieri. Noi non diciamo che voi siete un traditore, ma diciamo che vogliono tradirvi. E' tempo che tutto questo finisca. Noi non possiamo rivolgere le nostre baionette contro povere donne che ci domandan del pane: il po­polo è infelice, la sorgente del male è a Versailles, bisogna andare a trovare il Re e ricondurlo a Parigi. Se il Reggimento di Fiandra vuol opporvisi, bisogna sterminare il reggimento di Fiandra, e le guardie del corpo che hanno osato metter sotto i piedi la coccarda nazionale. Se il Re è troppo debole per portare la sua corona, che la deponga. Noi coroneremo il Delfino, si nominerà un Consiglio di Reggenza, e tutto andrà meglio.

La Fayette guarda tutto stupito l'oratore.

‑ Eh! che! esclama egli, avreste voi l'intenzione di far la guerra al Re?

‑ Dio ce ne riguardi! mio generale! rispose l'oratore. Noi daremmo il nostro sangue per il Re, ma il popolo è infelice. La sorgente del male è a Versailles. Bisogna andare a trovare il Re, e condurlo a Parigi; il popolo lo vuole.

La Fayette, a queste parole, il popolo lo vuole, comprende che la cosa è grave, e che la sua popolarità vacilla. Egli scende nella piazza, e vuol arringare il popolo e i soldati. Le grida a Versailles, a Versailles coprono la sua voce. In questo momento Bailly, il sindaco di Parigi, attraversa anch'egli la folla, e va al Palazzo di Città. Un immenso corteo di miseria e di fame lo segue. A Versailles, a Versailles, pane! a Versailles! La Fayette, perduto nella folla, si fa condurre il suo cavallo, e vi monta sopra. Dall'alto della sua sella, che gli permette di dominare tutti quei marosi spumanti, vede, da tutte le strade, precipitarsi torrenti di uomini, armati di picche, di scuri, di fucili, che spingono verso di lui i sobborghi S. Antoine e S. Marceau.

Le grida si raddoppiano; il mormorio comincia; le onde degli uomini vengono a colpire, mugghianti, il petto del suo famoso cavallo bianco, quasi tanto popolare quanto il suo padrone.

Il grido unanime, ripetuto da ventimila bocche è: a Versailles a Versailles.

La Fayette lotta ancora per un momento; ma, riconosce che, se continua a resistere, si perde inutilmente, e, come gli altri grida, alla sua volta.

‑ A Versailles!

Si mette in cammino: quindicimila uomini lo seguono.

Nel momento in cui si mette in cammino, le donne arrivano.

A mezza strada si separano; alcune prendon la Via di S. Cloud, altre quella di Sévres.

A Sévres han voluto comprar del pane: perciò avean preso i quattromila franchi; trovano otto pagnotte che si dividono: trentadue libbre di pane per 7000 persone.

Così mille circa, cadono d'inanizione sulla strada, le altre, quelle che non han la forza di portare le armi, le seminano per la via. Maillard ottiene dalle rimanenti che lascino le loro ad un quarto di lega di distanza da Versailles.

i soli cannoni sono conservati, ma posti alla coda della colonna.

 Alle prime case di Versailles;

 « Andiamo! dice Maillard a tutte quelle donne che si muoiono dalle fame. perchè non si dica che siamo remiei del Re, cantiamo: Viva Enrico IV.

 L'Assemblea era in seduta, ignorando totalmente quel che accadeva.

 Si andò a dire a voce bassa a Mirabeau che una folla immensa compariva all'estremità del viale.

 Parigi marcia contro di noi; fate come se vi sentiste indisposto; uscite, correte al Castello e prevenite la Corte.

 Il Presidente guarda Mirabeau in viso, e supponendo che egli fosse l'autore del movimento che avviene:

 ‑ Parigi marcia contra di noi? ripete egli, tanto meglio! arriveremo più presto alla Repubblica.

 Il Presidente sta fermo sul suo seggio.

 Nello scorgere quell'esercito di donne, non ostante le intenzioni pacifiche da esse manifestate, si batte le generale, la Municipalità si raduna; le guardie del Corpo slanciansi sui loro cavalli, ed in numero di trecento venti si schierano, formate a squadroni sulla piazza d'armi.

 Quindi si occupano di dar di tutto contezza al Re.

 Però, dove sta il Re ?

 Alla caccia, ne' boschi di Meudon. Lo vedete? Borboni di Napoli e Borboni di Francia, essi sono tutt'una famiglia, in ogni tempo, in tempi di carestia, in tempi di sommosse pure vanno a caccia.

 Se gli spedisce il sig. de Cubiéres con una lettera, la quale gli fa noto l'arrivo a Versailles di una turba di donne che chieggon pane.

 ‑ Ohimé! risponde il Re, se io ne avessi del pane, non mi starei in Versailles ad aspettare che vengano a chiedermene.

 Allora risale a cavallo, torna a Versailles e corre alle finestre. La piazza è stivata; le donne si arrampicano alle inferriate chiuse, e scuotendole con violenza. domandan‑ pane.

 Le inferriate rimangon chiuse.

 Ma una deputazione s'inoltra, innanzi alla quale sarà mestieri si aprano.

  Le donne unite a Maillard si presentano all'Assemblea nazionale, e Maillard ha ottenuto dal Presidente dell'Assemblea ch'egli si recherebbe al Castello accompagnato da dodici donne, le quali assisterebbero al suo abboccamento col Re.

 Questa è la deputazione che si avanza, guidata dal Presidente dell'assemblea nazionale.

 Un distaccamento delle guardie, che giunge da Meudon, dove ha servito di scorta al Re, vede il corteo che esso prende per un attruppamento, e, senza gridare Olà, gli piomba addosso di fianco. Mancò poco che il presidente non ne rimanesse schiacciato; due donne son ferite. Il corteo si sparpaglia nel cortile.

 Le guardie riconoscono il loro errore, la deputazione si forma di bel nuovo. Monier e le dodici donne sono introdotte presso il Re.

 Dopo un breve discorso di Monier al Re, tocca a Luisa Chabry di parlare.

 Essa si avvicina a Luigi XVI; ma nell'aprir la bocca, non può dire altro che questa parola Pane ‑ e cade svenuta.

 Il Re la rialza; essa vuol baciargli la mano.

 Lasciate che vi abbracci, le disse il Re. Voi lo meritate.

 Vinta da queste lusinghiere parole, si riamina, e slanciandosi fuor del Palazzo, grida: Viva il Re.

 Non è questo quel che vogliono le povere donne che muoiono di fame; è il pane.

 Luisa Chabry rientra, espone al Re la domanda delle donne.

 Il Re dà ordine per iscritto di lasciar venire il grano.

 Era dunque il Re che tratteneva il grano. Se il Re toglieva l'ostacolo, era certo che il Re l'avea posto.

  In quel momento l'attenzione fu richiamata da alcuni colpi di carabina che vengono dalla Piazza d'anni.

 In quel momento arrivano, a guisa di vanguardia, un centinaio d'uomini del sobborgo S. Antoine. Essi mettono in batteria i loro cannoni contro le guardie, e vogliono far fuoco. Fortunatamente piove, e la pioggia impedisce alla polvere di prender fuoco.

 In quel momento le donne, senza sapere che cosa fossero le Sabine, vogliono rappresentarne la parte. Le più giovani e le più belle si gettano supplichevoli fra le file de' realisti. Theroigne, che arriva in quel punto, seduce ella sola tutti gli uffiziali del reggimento di Fiandra. Dalle finestre del Castello la Corte vede questa defezione de' difensori.

 In questo frattempo s'annunzia al Re che La Fayette è in cammino, e viene alla testa della Guardia Nazionale.

 La Regina supplica il Re di partire per Rambouillet. Il Re vuole ch'ella parta sola, ella ricusa. Quando fosse partita, ella conosce il Re ‑ il Re si darà in braccio al popolo.

 Il Re rimane, non perchè abbia il coraggio di rimanere, ma perchè non ha la forza di partire.

 Egli teme che se parte, l'Assemblea gridi Re il Duca d'Orleans.

 La Regina tenta per ben due volte d'uscire, e due volte le guardie de' cancelli gli negano d'aprire.

 Alle undici della sera un messaggio di La Fayette viene ad annunziare al Re l'arrivo del Generale.

 Un momento dopo entra La Fayette solo al Castello.

 Nel momento in cui mette piede nella Sala dell'Oeil de boeuf un cortigiano dice a voce alta.

 Ecco Cromwel!

 La Fayette si rivolge verso il cortigiano

 Cromwel non sarebbe venuto solo qui disse.

 In quel momento si vede un gran chiarore nei cortili.

 E' forse un incendio? domandò il Re.

 No, è semplicemente che le donne mezzo morte dalla fame fanno cuocere il cavallo d'una guardia ucciso nella mischia, ma la fame ètale che non hanno la pazienza di aspettare che sia cotto. Se lo divorano mezzo crudo.

 Ci è molta distanza da questo pasto delle donne del popolo nel cortile del Castello, al banchetto delle Guardie del corpo nella sala da spettacolo.

 Il Re dette alla Guardia Nazionale i posti esterni lasciando alle Guardie del corpo quelli interni. Fino alla una dopo mezza notte il giardino di Versailles è pieno di milizie che credono che il Re vuole fuggire e l'aspettano.

 Alle due solamente il Re prende una risoluzione ed è di rimanere. Fa dire allora che i soldati si ritirino su Rambouillet.

 Alle tre, l'Assemblea, rassicurata per la partenza de' soldati, leva la seduta.

 Maillard, Luisa Chabry, ed una parte delle donne, 700 o 800 forse sono partite per Parigi al giunger di La Fayette, esse portano il decreto, che permette l'entrata del grano in Parigi, e la notizia che la dichiarazione de' diritti dell'uomo è stata riconosciuta dal Re.

 Tutto pareva tranquillo. I posti esterni erano occupati dalla Guardia Nazionale, i posti interni dalle Guardie. La Fayette a cavallo da 12 ore, non avendo dormito da più di venti ore, si ritirò all'albergo di Noailles, si coricò e s'addormì.

 Questo è quel sonno che è stato tanto calunniato.

 Ma tutti non dormivano d'un sì buon sonno quanto quello di La Fayette.

 Vi era Marat che non dormiva, vi era un malvagio gobbo chiamato Verriere che non dormiva, vi era il Duca d'Aiguillon che non dormiva.

 La tradizione vuole che quest'ultimo nemico particolare della Regina, sia venuto con le donne, e travestito da donna.

 Tre o quattro giorni dopo egli volle avvicinarsi all'Abate Maury sulla terrazza de' Feuillants.

 Tira avanti per la tua strada malcreato, gli disse questi.

 Questi tre uomini conducevano una seconda turba di gente trista, taciturna, come una frotta di lupi che camminino nella notte.

 Questa seconda turba era più minacciosa e più terribile della prima.

 La prima aveva semplicemente fame e veniva a dimandar pane.

 La seconda veniva per odio, e chiedeva vendetta.

 Verso le cinque della mattina tutti quelli che erano malintenzionati si aggruppano, si riuniscono si eccitano. Cinque o seicento uomini, tutti in una volta, e con uno slancio unanime si mettono a scavalcare ed a forzare i cancelli.

 Un colpo di fuoco sì f a sentire, ed uno degli assalitori cade morto.

 Questo è un incitamento dippiù. Ora questi uomini hanno un pretesto per uccidere anche essi.

 Si dividono in due torrenti: uno che va ad assalire l'appartamento della Regina, l'altro che sale verso l'appartamento del Re. Un Parigino, che correva avanti a tutti gridando come gridano i Parigini, riceve un colpo di sciabola da una Guardia del corpo, e cade gridando: all'assassino. La Guardia del corpo è uccisa immediatamente.

 Una seconda Guardia del corpo, il sig. Mionandre di S. Marie è messo sotto i piedi. Le altre Guardie si ripiegano, parte nell'anticamera del Re, parte nella gran sala. Si tenta di buttar giù le porte, la parte inferiore della della gran sala è gittata a terra, ma gli assediati spingono addosso alla porta una cassa di legno ; la resistenza cresce in ragione dell'attacco.

 Allora i primi assalitori penetrano per la porta della Regina nella gran sala, e danno addosso a quelli che si difendono. Le Guardie si ritirano e si fortificano nella sala dell'Oeil de boeuf.

 La porta degli appartamenti della Regina s'apre ed attraverso l'apertura il sig. Mionandre di S. Marie grida ad una delle donne della Regina.

 « Salvate sua Maestà, contro lei son diretti. Io sono solo contro mille, ma si resisterà per quanto è possibile, affrettatevi, affrettatevi ».

 Poi siccome coloro che l'inseguivano l'hanno raggiunto, egli tira a sé la porta gridando « mettete il catenaccio al di dentro ». La porta di chiude, il catenaccio è messo al momento stesso in cui gli assalitori si gittano addosso alla porta.

 Nello stesso tempo egli riceve un colpo di calcio di fucile sulla testa, un colpo di picca in petto, e cade svenuto.

 Gli assalitori lo credono morto, lo cercano indosso, e tornano nella gran sala ignorando che la porta, dinnanzi alla quale è caduto il sig. Mionandre di S. Marie, conduce alla camera della Regina.

  Dopo alcuni istanti di svenimento, ritorna in sé, attraversa la sala del Re, quella delle guardie, l'Oeil du boeuf, e si salva.

 Il sig. De la Roque de S. Virieu era di sentinella nella sala della Regina. Egli riunisce quattro o cinque Guardie, perviene fino alle anticamere, bussa alla porta, esitano ad aprirgli, forse sono assassini travestiti da Guardie del corpo. Si fanno riconoscere, una donna apre, cade in ginocchio tutta scapigliata e piangente, supplicando di salvare la regina.

 ‑ Noi siamo qui per questo ‑ le risponde il signor di Virieu ‑ Dite a Sua Maestà che resisteremo quanto potremo per darle il tempo di vestirsi e di fuggire.

 La Regina si getta dal suo letto, si veste aiutata dalla signora Thibaut e dalla signora Hogue.

 Queste due donne la spingono, mezza nuda, in un corridoio segreto, che conduce al Re.

 Mentre attraversano l'Oeil de boeuf sentono alcune voci che gridano: A morte la Messalina. Nello stesso tempo, si sentono due colpi; uno di fucile, l'altro di pistola. Le palle attraversano la porta. La Regina arriva presso il Re; vi trova la signora di Tourzel, il Delfino e poche guardie.

 Essa è quasi fuor di senno pel terrore, e non fa altro che ripetere queste parole:

 ‑ Amici miei, salvate i miei figli, salvatemi!

Il Re non era nel suo appartamento; egli pure per un altro corridoio, erasi recato nelle camere della Regina mentre la Regina andava da lui.

 La Famiglia Reale riunita, si ricovera nella sala dello Oeil de boeuf, che è fortificata a via di mobili, di banchi, di sgabelli, di sedie. Appena si è finito di far ciò, si sente uno spaventevole rumore.

 Gli assassini han scoperto il luogo della ritirata. Battono a colpi raddoppiati la porta; una tavola scricchiola, si sfonda, lascia apparire degli occhi fiammeggianti, delle braccia nude ed insanguinate: a meno d'un miracolo, il Re, la Regina, la reale progenie, son perduti.

 Tutt'ad un tratto, la calma succede al tumulto; si sente il passo di molte persone che si avvicinano, è la Guardia di Parigi che alla sua volta invade gli appartamenti.

 Si presenta un uffiziale: ‑ Signori, dice egli attraverso la porta, noi veniamo per salvare il Re: siamo fratelli!

 Tutti i petti si slargano ; si respira, si rovesciano sedie, tavole, banchi, sgabelli, poltrone, si apre la porta e si trovan tutti sotto la protezione del Capitano Gondran, comandante della compagnia del centro di San Filippo du Roule.

 Nello stesso tempo risuona negli appartamenti la voce ben nota di La Fayette.

 E' la salvezza, è la vita.

 Il pericolo è stato grande terribile, quasi mortale; ma infine è passato.

 Solamente qualche cosa orribile continua ad aver luogo nel cortile.

 Un uomo dalla lunga barba: un modello, chiamato Nicola che, in questa occasione, si è vestito da schiavo antico, taglia, a colpi di scure le teste di due guardie del corpo uccise: i signori Deshute, et Varicourt.

 Poi, queste teste sanguinolenti furon poste in cima a due picche, e furono gli stendardi del corteggio che precedette il Re, nel ritornare a Parigi.

 La Fayette, entrando, cercò con gli occhi il Re.

 Lo capirono.

 ‑ Il Re è nel suo gabinetto, gli fu detto.

  La Fayette si muove verso il gabinetto ‑ un uffiziale lo ferma.

 ‑ Avete voi l'entrata libera, Signore? gli dice, tanto è grande la forza dell'etichetta.

 ‑ Sì, sì, ‑ gridò madama Adelaide, ‑ e se non l'ha, il Re gliel'accorda.

 I primi raggi del giorno incominciavano a comparire. Venticinquemila Parigini e Parigine, con tutta la popolazione di Versailles, gremiscono i cortili.

 ‑ Sire, disse rispettosamente La Fayette al Re io credo che sarebbe bene che Vostra Maestà si faccesse vedere al balcone.

 ‑ Voi il credete, Signore?

 La Fayette s'inchinò.

 Il Re aprii la finestra, e si fè vedere al popolo.

 Un grido unanime scoppiò:

 ‑ Viva il Re !

 Cosa singolare! tutta quella popolazione era realista. Camillo Desmoulins, dice di quel tempo:

 « Noi non eravamo dodici repubblicani in Francia ».

 Ma, un secondo grido, che formolava la volontà del popolo, seguì immediatamente il primo.

 Il Re a Parigi !

 Poi parecchie voci, quasi minacciose gridano: La Regina! la Regina.

 La Regina, pallida, con i denti stretti, con le sopracciglia aggrottate, era in piedi presso una finestra.

 La Principessa reale era al suo fianco ‑ innanzi a lei stava Delfino, sulla cui testa, come sopra un cippo, appoggiava la sua mano bianca ed unita come il marmo.

 Il popolo desidera vedervi, Signora, disse La Favette.

 La Regina esitava tutta convulsa.

 La Fayette spinse leggermente lei e i suoi due figli sul balcone.

 Era un terribile spettacolo, fatto per dare il capogiro quel cortile di marmo, trasformato in un mare mugghiante, pieno di fiutti che si urtavano un l'altro.

 La Fayette era vicino a lei.

 La Regina capì che in quel momento egli era il suo appoggio gli tese la mano; La Fayette la baciò.

 La cosa poteva volgersi a male per La Fayette. Egli mise in forse la sua popolarità; ma volse in bene.

 Quarantamila spettatori applaudirono.

 ‑ E le mie guardie? domandò timidamente la Regina ‑ le mie guardie, che mhan salvata la vita; non potete voi far nulla per loro?

 ‑ Datemene una, disse La Fayette.

 E prende la prima guardia che si presenta; la conduce al balcone, le fa prestare il giuramento, mette la sua propria coccarda tricolore al cappello di quella guardia e l'abbraccia.

 ‑ Evviva La Fayette! Evviva le Guardie del Corpo! gridano tutte le voci.

 ‑ Sire ! chiese La Fayette, rientrando dentro, ‑ rimane ancora una cosa da farsi a Vostra Maestà.

 ‑ Andare a Parigi non è vero?

 ‑ Sì, Sire.

 Era una cosa terribile per il Re lasciare Versailles: era lo stesso che abbandonare la monarchia; andare a Parigi era lo stesso che venire a patti colla rivoluzione.

 Non prima delle undici della sera, il Re si determinò, e fu annunziato al popolo il quale era risoluto a non ritirarsi senza ottenere la risposta che voleva avere, che  ad un ora dopo mezzogiorno il Re e la famiglia Reale partirebbero per Parigi.

 Il potere era vinto, e, di buona voglia o per forza dovea passare sotto le forche caudine del popolo.

 Carolina, ebbe come un presentimento che un giorno essa pure sarebbe obbligata di obbedire e di curvarsi, come avea fatto sua sorella.

 La Corte di Napoli non avea più nessun legame politico con la corte di Francia, poichè era diventata austriaca; ma i legami di famiglia esistevano, tanto più stretti perchè la Regina Maria Antonietta, essa pure era accusata di essere rimasta austriaca.

 La Regina Carolina giudicò dunque che il momento era venuto di stringersi indissolubilmente colla corte di Austria.

 Essa avea due giovani principesse, in età da marito. Furon fissati i loro matrimoni con gli arciduchi Francesco e Ferdinando, e si stabili che il giovane principe Francesco erede della Corona delle due Sicilie, che avea appena compiuto 12 anni, sposerebbe, giunto che fosse all'età da ammogliarsi, la giovane Arciduchessa, Maria Clementina che avea due anni meno di lui.

 Da parte sua, la Regina Maria Antonietta continuò le sue trattative e le sue corrispondenze col suo fratello Giuseppe II, per mezzo de suoi consiglieri: l’Abate Vermont, sempre austriaco, il sig. de Breteuil, non meno austriaco di lui: in fine per mezzo dell'Ambasciator di Austria, Sig. Mercy d'Argenteau.

 Il 20 febbraio Giuseppe II muore di etisia e di disperazione. Il suo Regno è stato senza nessuna gloria.

  Sebbene erede del trono, egli non ha regnato veramente se non dopo la morte di Maria Teresa. Nel 1786 fa alleanza con Caterina II contro i Turchi, non riesce innanzi a Belgrado, e come a' tempi di Giovanni Sobiesky, vede gli infedeli, marciare su Vienna.

 Per fortuna, il Maresciallo Landon ripara le sue perdite ed obbliga Belgrado a capitolare; allora è scoppiata la rivoluzione nel Belgio, ed è incominciata quella rivoluzione francese che minaccia sì crudelmente sua sorella Maria Antonietta.

 Leopoldo, granduca di Toscana, gli succede. Noi lo conosciamo come Giuseppe II. Sappiamo tutti il suo fare da pedagogo, quale uomo mediocre egli è. D'altronde sopravviverà due anni soli a suo fratello; durante questi due anni pacificherà i Paesi Bassi, ed avrà con la Prussia la Conferenza di Pilnitz, per giungere a soccorrere Maria Antonietta e Luigi XVI.

 L'elevazione di Leopoldo al trono determina il Re Ferdinando e la Regina Carolina a fare un viaggio a Vienna. Si prenderanno col nuovo imperatore, non solamente tutte le disposizioni per i matrimoni di famiglia, già presso a poco stabiliti, ma anche per un'alleanza politica, che sembra richiedere imperiosamente la posizione della Francia.

 A Vienna probabilmente, fu concertata e risoluta la fuga di Luigi XVI, e fu stabilito che si terrebbe un esercito pronto a soccorrerlo, appena egli avesse passato la frontiera.

 Si risolvette pure che Ferdinando avesse a porre il suo esercito in istato d'operare insieme all'esercito austriaco.

 Mentre si discuteano tutte queste gravi quistioni, le tre zie del Re, le Principesse Sofia, Vittoria, ed Adelaide emigrano e sì ricoverano a Roma. Eran partite da Parigi il 19 febbraio.

 La rivoluzione continua l'opera sua; l'anniversario della presa della Bastiglia si è celebrato il 14 luglio, al Campo di Marte, e ha dato luogo alla festa della Federazione.

 Otto giorni dopo la partenza di quelle principesse, ha luogo la congiura de' Cavalieri dal pugnale.

 Poi, il 2 aprile, Mirabeau muore, portando seco l'ultima speranza della Monarchia, e dopo aver consigliato al Re di fuggire.

 La Regina Carolina seppe a Vienna il mancato tentativo di fuga del Re, l'arresto della famiglia reale a Varennes, il ritorno dei fuggitivi a Parigi, e la specie di sequestro, che fu la conseguenza di quel tradimento.

 Da quel momento, la posizione del Re e della Regina di Francia era chiaramente delineata, e se si volea venire in loro soccorso, non c'era tempo da perdere.

 

 

 

 

 

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