I  BORBONI  DI  NAPOLI

 

Di Alexandre Dumas

 

Libro III 

 

 

CAPITOLO XII

 

Partito Championnet, Macdonald fu nominato generale in Capo in luogo di Championnet, e Rusca generale di divisione, in luogo di Macdonald.

L'odio del popolo, ammansito dalle forme dolci ed amichevoli di Championnet, e dal convincimento che Championnet era nato a Napoli, si riaccese con più forza sotto il rigido governo di Macdonald. I Lazzaroni dei mercati, successori di quelli che eransi ribellati con Masaniello, e che dopo essersi resi ribelli con lui, dopo di aver saccheggiato con lui, loro malgrado lo avevano fatto assassinare, ne avevano trascinate le membra sparse nelle fogne, le avevano accomodate sopra una lettiga, e sotterrate con onori quasi divini, i lazzaroni, sempre gli stessi, si riunirono, disarmarono alcune Guardie Nazionali, presero i loro fucili e s'avanzarono verso il porto per sbarcarvi i marinari e condurli con essi.

Ma MacDonald, che aveva l'esempio del suo predecessore avanti gli occhi, si contentò di mandar loro Michele il pazzo, a cui promise, se calmava il tumulto, il grado e gli averi di Capo di Legione.

Non bisognava tanto per ispirare a Michele il pazzo il desiderio di far bene ; egli si gettò in mezzo ad essi, li arringò con le sue parole persuasive, e la sua eloquenza ordinaria, prese loro le armi e li fece rientrare nelle proprie case.

I lazzaroni pentiti nominarono dei deputati che andarono a chieder perdono a Macdonald.

Macdonald mantenne la promessa; promosse l'oratore popolare col grado di Capo di Legione; gli regalò un abito più ricamato del primo, col quale egli corse subito a mostrarsi al popolo e ricevere i suoi complimenti.

In questo momento si seppe a Napoli la notizia della battaglia di Magnano, la ritirata che vi era seguita, e che aveva cagionata la perdita della linea del Mincio.

Nello stesso tempo Souwaroff, illustrato tuttavia dalle sue vittorie contro i turchi, aveva traversata la Germania, e sboccato per le montagne del Tirolo, entrato in Verona; aveva preso il comando delle due armate unite sotto il nome di esercito Austro‑russo, ed erasi impadronito di Brescia.

Macdonald era invitato a tenersi pronto a raggiungere in Lombardia l'esercito Francese in piena ritirata innanzi all'esercito Austro‑russo.

Sventuratamente, Macdonald trovavasi impegnato: Championnet, prima della sua partenza, aveva spedito due corpi Francesi e Napoletani, uno per la via di Puglia, l'altro verso le Calabrie.

In quanto agli Abruzzi, contenuti com'erano dai forti di Civitella e di Pescara e dai posti Francesi della linea d'operazione, fra le Romagne e Napoli, la reazione vi faceva pochi progressi.

Le colonne che traversavano la Puglia e le Calabrie, avevano la missione di sommettere Avellino e Salerno, nel passare; mentre che, avvicinandosi, impedirebbero alla Basilicata di insorgere.

La più numerosa e la più agguerrita di queste due colonne, fu diretta per la Puglia: si trattava di conquistare prontamente questa provincia che è il granaio di Napoli, contemporaneamente invasa per terra dai Borboniani, per mare, bloccata dagl'inglesi.

I due generali che comandavano questa colonna, forte di settemila uomini, sei mila francesi e mille Napoletani, erano pei francesi il Generale Duhesme, che vedemmo far prodigi di valore nella Campagna di Championnet, contro Mack ‑ e sopra tutto, alla presa di Napoli sui lazzaroni, e pei napoletani, Ettore Caraffa, Conte di Ruvo.

Siccome quest'ultimo appartiene più particolarmente alla nostra istoria, e che essendo d'altronde, se non ci sbagliamo, la prima volta che pronunziamo il suo nome, cerchiamo di farlo conoscere ai nostri lettori.

Ettore Caraffa, era un di quegli uomini che Dio crea per le tempeste politiche, una specie di Danton aristocratico, con un cuore intrepido, un animo implacabile, un'ambizione smisurata. Amava per interesse le intraprese difficili, aspirando continuamente alle cose impossibili, correndo al pericolo collo stesso passo che un altro lo fuggiva, non curando i mezzi purchè giugnesse allo scopo. Energico nella sua vita, fu più energico ancora nella morte, era in fine una potente leva di rivoluzioni.

Egli discendeva dall'illustre e potente famiglia dei Duchi d'Austria, e portava il titolo di Conte di Ruvo; ma disprezzava il suo titolo e tutti quelli della sua famiglia che non ricordavangli alcuna di quelle glorie che egli ambiva; e pensava che nessi in onore, nessuna ricchezza potrebbe dare felicità presso un popolo schiavo. Così s'infiammò al soffio delle prime idee repubblicane che entrarono a Napoli al seguito di Latouche Tréville, e si gettò, con la sua audacia consueta, nelle vie sanguinose delle rivoluzioni. Quantunque costretto dalla posizione della sua famiglia di comparire in Corte, egli era uno dei più ardenti apostoli e uno dei più devoti propagatori dei nuovi principii. Dovunque parlavasi di libertà, vedevasi comparire Ettore Caraffa; cosicchè, nel 1795, venne arrestato con i primi patriotti, designati alla vendetta della giunta di Stato e condotto a S. Elmo : colà egli entrò in relazioni con un gran numero di giovani ufficiali preposti alla guardia del forte, e, con le sue ardenti parole, creò in essi l'amor della repubblica. Alcuni legavano con lui tale amicizia, che egli non esitò, a domandar loro di aiutarlo a fuggire. Fuvvi allora, fra quei nobili cuori, una divisione di principii; gli uni dicevano che per la libertà stessa, era viltà tradire il loro dovere, e che essi non potevano, destinati alla guardia del Castello, prestare aiuto alla fuga di un prigioniero: gli altri all'opposto, dicevano che per la libertà e la salvezza dei suoi difensori, fosse anche l'onore, bisognava tutto sacrificare.

Finalmente ci trovò un giovane luogotenente da Caltagirone in Sicilia, più ardente degli altri, e che acconsentì, non solo a esser complice, ma compagno della fuga. I due giovani furono aiutati nei loro disegni dalla figlia di un ufficiale della guarnigione, la quale, essendosi innamorata del Conte di Ruvo, l'aiutò a discendere con una corda dall'alto del muro del Castello, mentre che il suo compagno l'aspettava abbasso.

L'evasione si effettuò felicemente; ma i fuggitivi ebbero una sorte diversa : il luogotenente siciliano fu preso e condannato a morte : per favore del Re però, la pena fu commutata in quella della prigionia perpetua, nell'orribile fossa di Marittimo. Più fortunato di lui, Ettore trovò un rifugio in una casa amica, a Portici. Per sentieri noti ai soli montanari, uscì dal Regno, si recò a Milano, vi trovò i francesi, si legò per simpatia politica con essi. Essi dal canto loro apprezzarono quel carattere arrischioso, quel coraggio indomabile, quella volontà ferrea; segui l'esercito, come Carlo Laubert; e con esso ‑rientrò in Napoli, e si gettò con la furia del suo carattere nel partito giacobino.

Ettore Caraffa era uomo di guerra; i campi di battaglia., sono la patria di questi uomini dal cuore di leone; quando venne il giorno del pericolo e la giovane repubblica fu minacciata da Ruffo, si pensò a lui, per farlo andare unito ai francesi, ed egli ebbe il comando di uomini arditi, sperimentati ed esercitati da lui. Una strana combinazione fece sì che la prima città cui i francesi e Napoletani dovessero impadronirsi fosse Andria, l'antico feudo della sua famiglia.

Andria era ben fortificata; ma Ettore Ruvo sperò che essa non resistesse alle sue parole. Egli cercò tutti i mezzi per determinare gli abitanti ad adottare i principii repubblicani; tutto fu vano, ed egli vide bene che sarebbe ridotto ad impiegare gli ultimi argomenti dei Re che vogliono rimanere tiranni, e dei popoli che vogliono farsi liberi: la polvere ed il ferro.

Ma, prima d'impadronirsi d'Andria, bisognava occuparsi di Sansevero.

E’ Borboniani riuniti a Sansevero, avevano preso il titolo di Esercito coalizzato della Puglia e degli Abruzzi: questa truppa che poteva ammontare a 12,000 uomini componevasi dei triplici elementi che formavano tutte gli eserciti Sanfedisti in quell'epoca, cioè degli avanzi dello esercito realista di Mack, dei forzati, che il Re aveva messi in libertà pria di lasciar Napoli, per mescolare alla società, lo spaventevole dissolvente del delitto, e di alcuni realisti puri che affrontavano quelle vicinanze per entusiasmo della loro opinione.

Questa truppa che aveva abbandonato la città di Sansevero, perchè non presentava una posizione molto forte, aveva occupato una collina, la cui scelta manifestava nei capi che la comandavano qualche conoscenza militare; era un monticello coverto di oliveti, che dominava una pianura estesa e piana ; l'artiglieria dei sanfedisti signoreggiava gli sbocchi pei quali entravasi in questa pianura, ove manovrava molto bene la cavalleria.

Il 25 gennaio, Duhesme lasciò a Foggia il Generale Broussier ed Ettore Caraffa, e marciò sopra Sansevero.

Avvicinandosi ai Borboniani, il Generale Duhesme si contentò di far dire ad essi :

‑ A Bovino ho fatto fucilare i rivoltosi e tre soldati colpevoli di furto ; sarà questa volta lo stesso ; amate meglio la pace?

E noi, risposero quelli, noi abbiamo fatto uccidere i repubblicani, i cittadini ed i preti che chiedevano la pace: rigore per rigore, la guerra.

Il Generale divise la sua truppa in tre distaccamenti; l'tino che marciò verso la città, i due altri dovevano avviluppare e circondare la collina, affinchè nessun Sanfedista potesse fuggire.

Il Generale Forest che comandava uno dei due distaccamenti, arrivò il primo: egli poteva avere circa un cinquecento uomini fra cavalleria e infanteria.

Vedendo questa debole truppa, i sanfedisti fecero suonare la campana a martello a Sansevero, e scesero all'incontro di essa nella pianura.

Il distaccamento Francese, scorgendo che quella valanga rotolava dalla collina, fu costretto di vincolare dapprima, ma quasi nel medesimo istante s'intese una viva fucileria che rimbombava dentro Sansevero, e si videro sboccare dei fuggiaschi. Era Duhesme che attaccava la città, se ne impadroniva e che alla sua volta, compariva sul campo di battaglia e veniva a prestare a Forest il soccorso delle sue bajonette.

Da questo momento, il combattimento si ristabilì sopra una base di eguaglianza che non prometteva nulla di buono ai Sanfedisti.

Ed in fatto, allo istante in cui, attaccati da due lati, erano obbligati di dividere le loro forze per far fronte contemporaneamente a Duhesme e a Forest, la terza colonna terminava i suoi movimenti e finiva di avvilupparli.

I Sanfedisti cercarono di rientrare nelle loro prime posizioni, imprudentemente lasciate ma vi furono inseguiti dai francesi, che da tre lati in una volta scalarono la collina.

Quando la terribile baionetta potette operare, non fu più un combattimento; ma una carneficina.

Duhesme doveva vendicare trecento francesi morti, lasciati sul campo di battaglia, trecento feriti, la morte dei patrioti trucidati, e l'insolente risposta data alle sue proposte di pace.

Le sue trombe diedero il segnale dello sterminio; esso durò tre ore, tre mila cadaveri rimasero sul campo di battaglia, e forse tre ore dopo se ne sarebbe contato il doppio, se, simili alle Romane, che vennero ad implorare Coriolano un gruppo di donne, tenendo i loro figli per la mano, non fossero uscite da Sansevero,  ad implorare la misericordia dei francesi.

Duhesme aveva giurato di bruciar Sansevero: Duhesme fece grazia!

Questa vittoria ebbe un grande risultato e produsse un grande effetto; tutti gli abitanti del Gargano, del monte Taburno, del Corvino, inviarono deputati e diedero ostaggi, in segno di sommissione.

Duhesme mandò a Napoli gli stendardi presi alla cavalleria. In quanto alla fanteria, le sue bandiere che caddero tutte in potere dei francesi, non erano altro che tovagliuole di altari.

Duhesme potette allora mettersi in comunicazione con Pescara, ed eseguire gli ordini che faceagli pervenire il Generale in Capo, di fare cioè, pei francesi che occupavano le isole del mare jonio, un carico di viveri a Manfredonia.

Non restò agl'insorti altra posizione importante, all'infuori di Andria, Trani e Molfetta.

Abbiamo parlato della prima di queste Città a proposito di Ettore Caraffa; dicemmo che dessa era un feudo della sua famiglia e che aveva fatto il possibile per attirarla al partito della repubblica.

I suoi sforzi erano stati inutili.

Questo avveniva nello intervallo in cui verificavasi il richiamo di Championnet e la nomina di Macdonald in sua vece.

Dubesme fu richiamato a Napoli per prendere gli ordini del nuovo generale in capo.

Il Generale Broussier ebbe la direzione del movimento che doveva operare contro Andria e Trani; riunì alla diciottesima e settantaquattresima mezza brigata, i granatieri della sessantasesta, la sedicesima dei dragoni, sei pezzi di artiglieria leggiera, un distaccamento venuto dagli Abruzzi, sotto la condotta del Capobrigata Berger, la legione Napoletana di Ettore Caraffa, e si trovò in istato di attaccare.

Andria e Trani avevano restaurate le loro fortificazioni, e ne avevano drizzate delle nuove: tranne una sola tutte le loro porte erano state murate; erasi costruito dietro ad ognuna una larga fossata circondata da un parapetto, le strade erano tagliate, le case merlate, e le porte delle case blindate.

Il 21 Marzo si marciò sopra Andria, il domani, allo spuntar del giorno la città fu circondata, ed i dragoni, sotto gli ordini del Capo di Brigata Leblanc, furono situati in modo da intercettare qualunque comunicazione fra Andria e Trani.

Una colonna formata di due battaglioni della diciassettesima, e della legione Caraffa fu incaricata dell'attacco della porta Camozza, mentre che il Generale Broussier, con un altra porzione di truppa, doveva attaccare la porta di Trani, e che un battaglione condotto dall'aiutante di Campo del Generale Duhesme, Ordonneau, guarito della sua ferita, avanzavasi verso la porta Barra.

Ettore Caraffa prese la testa della colonna di cui faceva parte, e in mezzo ad una grandine di palle, tenendo con una mano la sua spada snudata, con l'altra una bandiera bleu, rossa e gialla, pervenne ai piedi della muraglia, prese colla sua scala la misura di un punto che potea raggiungere, e gridando:

‑ Mi segua chi mi ama, si presentò pel primo allo assalto.

La lotta fu terribile, quell'uomo come un gigante antico, come un semideo d'Omero, come un eroe dell'Iliade o della Gerusalemme Liberata, aveva salito la sua scala, gradino per gradino, quantunque su lui piovessero proiettili di ogni sorta, ed erasi arrampicato ad un merlo che nulla valse a fargli lasciare.

In fine lo si vide il primo all'impiedi sulla muraglia piantando la bandiera repubblicana.

In questo frattempo un obice aveva fatto crollare la porta di Trani.

Appena si era veduta quell'apertura i francesi per la medesima, si erano precipitati nella città.

Ma dietro la porta trovarono la fossata.

Essi la oltrepassarono aiutandosi scambievolmente colle spalle percorsero la strada a passo di corsa, attraverso una grandine di palle, che partiva dalle case e che uccise dodici ufficiali e più di cento soldati, e penetrarono fino alla piazza ove si stabilirono.

Ettore Caraffa e la sua colonna vennero a raggiungerli.

La colonna di Ordonneau, che non aveva potuto entrare per la porta di Barra, sentendo la fucileria nell'interno della città, ne dedusse che una breccia, era stata fatta, girò la muraglia, ed entrò nella città come aveva fatto il Generale Broussier per la porta di Trani.

Sulla piazza ove le tre colonne francesi e la colonna napoletana eransi riunite, si trovò la spiegazione della rabbia frenetica, che animava gli abitanti d'Andria, e della quale daremo un solo esempio; dieci uomini barricati in un casa furono assediati da un intero battaglione, e si sostennero fino agli estremi.

Sì fece venire l'artiglieria e si fece crollare la casa su di essi.

Intanto, ecco la spiegazione promessa.

Un altare sormontato da un gran crocifisso era stato drizzato nella piazza, e la vigilia del combattimento gli si trovò alla punta del giorno una lettera alla mano: questa lettera diceva che nè le palle nè i proietttili dei francesi, avevano potere alcuno sugli abitanti e sulle mura di Andria, e annunziava un considerevole rinforzo.

Infatti, durante la sera quattrocento uomini del Corpo che riunivasi a Bitonto arrivarono, afforzando la predizione del Crocifisso e si riunirono agli assediati.

La difesa fu accanita, i francesi lasciarono a piedi delle mura, e nelle strade d'Andria trenta ufficiali e duecento cinquanta sotto‑uffiziali e soldati.

Ma sei mila uomini furono passati a fil di spada. Però in seguito di un consiglio di guerra nel quale Ettore Caraffa come Bruto, che condannava i propri figli, fu per una distruzione completa, la città d'Andria, cioè il feudo della casa Caraffa, fu ridotta in cenere, autodafè espiatorio e terribile.

Restava Trani, che lungi dallo spaventarsi della sorte d'Andria, raddoppiò di energia e di minaccie. Broussier marciava contro di essa, con la sua piccola armata diminuita di oltre cinquecento uomini.

Trani era meglio fortificato di Andria: questa città veniva considerata come il baloardo dell'insurrezione e come la principale piazza d'armi dei rivoltosi. Circondata da un muro bastionato, protetta da un fortino regolare e difesa da oltre ottomila uomini avvezzi alle armi; poi, il maggior numero di questi uomini erano marinai, corsari ed antichi soldati dell'esercito napoletano. La piazza di Trani in altra epoca avrebbe forse richiesto un assedio regolare : la difesa doveva essere tanto più ostinata in quanto che buoni ufficiali vi si erano resi per dirigere le operazioni degli insorti; questi avevano inoltre nel porto, una piccola flottiglia, composta di diverse barche e brigantini armati di cannoni. Questa circostanza che rendeva necessario l'impiego degli stessi mezzi per bloccare i forti, costrinse il Generale Broussier a ritardare di qualche giorno l'attacco di Trani, ed egli non si mise in marcia che il 31 marzo [*1] .

Broussier fece avanzare l'esercito SU tre colonne e per tre cammini diversi, onde avviluppare completamente la città. Nella giornata del primo aprile, gli avamposti francesi erano ad un tiro di pistola dalla città : la notte venne occupata a stabilire, sotto gli ordini del capitano del Genio Conchard, diverse batterie da breccia.

Il 2 aprile allo spuntar del giorno, queste batterie cominciarono a tirare dalla parte di Bisceglie, mentre che da un altro lato, Ettore Caraffa che aveva nella sua impazienza dimandato di non attendere che la breccia fosse fatta, attaccava gli assediati con la legione Napoletana, e il Battaglione comandato dal Capo, Barrére.

Ma l'attacco principale era diretto dal Generale Broussier in persona. Egli si avanzò con alcune compagnie di Granatieri sostenute dalla sessantaquattresima mezza brigata, portando con essa delle fascine onde colmare la fossata, e delle scale per scalare le mura.

Gli assediati avevano indovinata la marcia del Generale, ed eransi postati in massa sul punto ch'egli voleva attaccare, cosicchè non appena fu a portata del fucile, venne assalito con una grandine di palle, che rovesciò quasi tutte le prime fila dei Granatieri, e il Capitano venne ucciso in mezzo dei suoi soldati.

I Granatieri, storditi dalla violenza di questo fuoco, atterriti per la perdita del loro capitano, esitarono un istante.

In quel momento un cacciatore della settima leggiera facendo parte del distaccamento che il colonnello Berger aveva condotto dagli Abruzzi, scorse ad una delle estremità di Trani, sulla spiaggia del mare, un fortino quasi nascosto fra gli scogli e mal guardato da una guarnigione insufficiente.

Egli fece rimarcare quel fortino a qualcheduno dei suoi compagni.

 Allora una ventina d'uomini decisero, di attaccare la città per conto loro.

Scelsero il miglior nuotatore, non conservarono che i loro calzoni, misero le sciabole fra i denti, legarono le giberne sul capo, e, tenendo con una mano i loro fucili fuori dell'acqua, mentre nuotavano con l'altra, arrivarono a piedi degli scogli, li scalarono, varcarono un vecchio muro e raggiunsero la sommità dei bastioni senza esser veduti dalle sentinelle che furono scannate pria che avessero il tempo di mettere il grido d'allarme.

L'ajutante di campo Excelmans, che fù poi il celebre generale Excelmans, erasi gettato in mare, vedendo i soldati gettarvisi , egli era arrivato uno dei primi alla sommità del forte; ordinò subito di girare i cannoni contro la città e fece, fuoco.

Vedendosi venire la morte dal lato ove credevano aver dei difensori, gli assediati misero grandi grida, e corsero in disordine dal lato ove presentavasi questo nuovo assalitore. I Granatieri comprendendo che avveniva qualche cosa di straordinario in loro aiuto, ripresero l'offensiva, marciarono contro la città, appoggiarono le scale alle mura e diedero l'assalto.

Al termine di un quarto d'ora di combattimento i francesi vincitori coronavano le mura; dopo di essi saliva Caraffa e la sua legione napoletana; i repubblicani erano padroni dei bastioni ma lungi dall'esserlo della Città: Come le case di Andria così ancora quelle di Tram ni erano merlate.

Questa volta, il Generale Broussier impiegò un'altra manovra, sfondò i tetti, e sfondando i tetti disposti in terrazze, attaccò gli assediati per questa via aerea, in vece di attaccarli nelle strade: un buco il più grande possibile era fatto alle terrazze; i repubblicani, s'intromettevano in questo buco, e allora scaricati i fucili il combattimento avveniva di camera in camera, di scalinata in scalinata, colla baionetta, cioè coll'arma più familiare ai Francesi.

Dopo tre ore di una lotta terribile, le armi caddero dalle mani degli assediati; Trani fu presa; un consiglio di guerra si riunì; Broussier inclinava per la clemenza: coverto dal sangue nemico e del suo; Ettore Caraffa, come Brenno altra volta aveva gettato la sua spada, Ettore Caraffa gettò il suo parere nella bilancia; questo parere, era morte ed incendio: Egli lo impose, gli assediati furono passati a fil di spada e la città ridotta in cenere.

Le truppe francesi lasciarono Trani ancora fumante: Ettore Caraffa come un giudice armato della vendetta di Dio, solcò con essi la Puglia lasciando sulle sue orme, la rovina e la devastazione che da un altro lato spargevano i soldati di Ruffo. Quando gl'insorti imploravano la sua generosità per risparmiare le città ribelli, egli rispondeva: Ho forse risparmiato Andria mia propria città? ‑e allorquando gli si chiedeva la vita, rispondeva mostrando le sue ferite, delle quali qualcheduna era così fresca che grondava sangue ancora

Ho io forse curata mia vita?

Ma gli affari dell'alta Italia andavano male pei francesi: Broussier fu richiamato come era stato richiamato Dubesme e nello stesso tempo che giungeva a Napoli la notizia della triplice vittoria di Dubesme, Broussier ed Ettore Caraffa, s'aveva quello della disfatta di Schipani.

Schipani era Calabrese di nascita; datosi di buon'ora alle armi, aveva servito sotto il Governo borbonico; ma non aveva mai trovato l'occasione di combattere: nella repubblica fu nominato al grado di generale, non perchè gli si attribuissero i talenti di un Generale ma perchè gli conoscevano la virtù di un cittadino e il valore di un eroe. La sua missione era differente da quella di Duhesme, Broussier ed Ettore Caraffa. La missione di costoro era di vincere ed aprire delle comunicazioni tra il Tirreno e l'Adriatico. La missione di lui era di resistere semplicemente e di opporsi alla marcia di Ruffo e del suo esercito.

Schipani traversò Salerno, e molte altre città amiche, nelle quali sventolava la bandiera della repubblica; la vista di queste bandiere il rallegravano. Ma arrivò finalmente alle mura del piccolo villaggio di Castelluccio, sul cui campanile sventolava la bandiera regia.

In vece di proseguire il suo camino verso le Calabrie, come glielo ordinavano le istruzioni ricevute; in vece d'intercettare ai Sanfedisti le gole dei monti che conducevano da Cosenza a Castrovillari, si lasciò trasportare dal risentimento e volle punir Castelluccio della sua insolenza.

Sventuratamente, Castelluccio era difesa da due potenze, l'una visibile, l'altra invisibile, l'una era la sua propria posizione, e l'altra, il Capitano Sciarpa.

Oggi ancora non si sa niente di positivo su quest'uomo, che, rappresentò nella restaurazione di Ferdinando una parte simile a quella di Pronio, di Rodio, di Fra Diavolo, e di Mammone; Cuoco così parla di lui:

« Sciarpa, uno dei più funesti contro rivoluzionari, lo divenne per calcolo. Essendo basso uffiziale della milizia del tribunale di Salerno, al momento in cui la repubblica fu proclamata domandò di passare nella Gendarmeria; ma non ottenne che un rifiuto ».

Furon queste le parole leali, ma imprudenti, che si ebbe in risposta alla sua richiesta:

« I repubblicani non hanno bisogno di sbirri fra loro. »

Non potendo offrire una sciabola a Championnet, offri un pugnale ai Borboni.

I Borboni accettarono ; non erano stomachi così facili a disgustarsi com'erano quei dei repubblicani tutto per essi era buono, e, meno i loro difensori avevano a perdere, più essi pensavano a guadagnare.

Sciarpa si trovava adunque comandante il distaccamento Sanfedista che occupava Castelluccio.

Poteasi senza timore lasciar Castelluccio alle spalle, attesochè tutte le città, e tutti i villaggi che lo circondavano erano villaggi e città favorevoli alla rivoluzione.

Poteasi ridurre Castelluccio per la fame; facile ad esser bloccata questa città non aveva che per tre o quattro giorni di viveri, e durante questo tempo, dall'alto di una collina che dominava il borgo potevasi batterla e ridurla.

Sventuratamente questi consigli erano dati a Schipani, uomo caparbio e violento, specie di Henriot napoletano, da' Cittadini di Rocca e di Albanetta e non gli venivano da sè stesso. Ora, nel suo orgoglio, che costò caro alla repubblica, Schipani considerava come una viltà di seguire un consiglio che eragli dato da un altro.

Egli poteva pure accettare l'offerta degli abitanti di Castelluccio che dichiaravano di non desiderar meglio che riunirsi alla repubblica ed inalberare la bandiera tricolore, purchè non si passasse per la loro città.

In fine, egli poteva pure accettare quella di Sciarpa in persona che offriva di riunire le sue truppe a quelle della repubblica, purchè si pagasse la sua defezione ed avesse una ricompensa equivalente a quella che poteva perdere, abbandonando la causa Borbonica.

Ala Schipani rispose:

«Io vengo qui per far la guerra e non per negoziare; sono soldato e non mercante. »

Col carattere che abbiamo descritto, quale era quello di Schipani, si può comprendere che il piano per prendere Castelluccio, fu tosto stabilito.

Dai sentieri scabrosi ed a picco che conducevano dalla valle al Villaggio, Schipani ordinò la scalata.

Gli abitanti di Castelluccio eransi riuniti nella Chiesa, aspettando una risposta alle proposizioni che avevano fatte.

Allorchè si conobbe questa risposta, Sciarpa domandò la parola ; all'istante si fece silenzio.

« Ora, disse egli, voi non avete più che due cose a fare: o fuggire come vili o difendervi da eroi. Nel primo caso, uscirò dal villaggio con i miei uomini, e tirerem dritto alla montagna, abbandonando a voi stessi le vostre mogli e i vostri figli; nel secondo caso, mi metterò alla vostra testa, e con l'aiuto di Dio, vi condurrò alla vittoria.

« Scegliete!

Un solo grido risposte a questo discorso; era un grido di guerra; il parroco all'impiedi, dinanzi all'altare, benedisse‑le armi e i combattenti, e nominando unanimemente Sciarpa loro Generale, gli lasciarono le cure del piano di battaglia. Gli abitanti di Castelluccio si misero a sua disposizione.

Fra tempo: i patrioti trovavansi ad un centinaio di passi d alle prime case.

Essi arrivarono all'entrata del Villaggio estenuati dalla salita; ma colà furono accolti da una grandine di palle, piovendo da tutte le finestre e lanciate da un nemico invisibile.

Ma, se il desiderio della difesa era grande da un lato, l'arditezza dell'attacco era grande dall'altro : i repubblicani marciarono in avanti eccitati da Schipani, che brandendo la sciabola, guidava la colonna. Fuvvi un istante non di lotta ‑ i repubblicani non potevano lottare con un avversario invisibile, ma di ostinazione nella morte, finalmente fu giuocoforza indietreggiare, e Schipani fece battere la ritirata.

Ma non appena egli fece i primi passi in dietro, da tutti i lati sbocciarono quei nemici terribili quando non si vedevano, più terribili allorchè si potessero vedere ; la truppa di Schipani non scese, rotolò nel fondo della valle, lasciando sulla vetta della montagna, una tale quantità di morti e di feriti, che il sangue loro dietro, scorreva a ruscelli.

Felici coloro che furono uccisi sul campo di battaglia; non subirono la morte lenta e terribile che la crudeltà delle donne, sempre più crudeli degli uomini, in simili circostanze, infligeva ai feriti ed ai prigionieri.

Schipani colla sua colonna diminuita di un terzo, si pose in ritirata e non si fermò che a Salerno, cioè, a due terzi del cammino da Castelluccio a Napoli.

Lasciò la strada libera al Cardinal Ruffo.

Era il generale Pignatelli Strongoli che doveva comandare questa spedizione, ma volle fatalità che al momento della partenza egli cadesse infermo, ed allora il comando della colonna fu conferito a Schipani.

All'ora suprema per Napoli, e nell'ultimo combattimento ch'egli dovette sostenere, Schipani pensò ancora in un modo nefasto sul suo destino.

In quanto a Sciarpa, il combattimento di Castelluccio fu il principio della reputazione che andò sempre ingrandendosi in seguito, nel modo che s'ingrandisce la reputazione degli assassini e dei briganti.

Malgrado la triplice vittoria dei Francesi a Sansevero, ad Andria e a Trani la situazione diveniva grave.

Macdonald in seguito degli ordini ricevuti dall'alta Italia, era stato costretto di concentrare il suo esercito su Caserta, e da ogni lato alle spalle dei Francesi erano insorti i Borboniani; in modo che Pronio e Rodio avevano già fatto rientrare sotto la dominazione Borbonica, le città e le campagne degli Abruzzi, mentre che Mammone occupava Sora, sua città natia, S. Germano, e tutta quella parte di territorio che bagna il Liri nel suo corso.

Diciamo una parola di Pronio, perchè Rodio è ancora quasi ignoto; in quanto a Mammone noi ce ne occuperemo alla sua volta; allorchè delle notizie curiose, che sono state per noi raccolte a Sora, ci saranno giunte.

Diremo lo stesso per fra Diavolo che già nominammo una o due volte; anche ai briganti vogliamo rendere piena giustizia.

D'altronde questi briganti sono divenuti degli uomini storici, dal momento in cui un re li ha nominati colonnelli e chiamati suoi amici, e quando una regina ha scritto loro inviadogli i ricci dei suoi capelli ed anelli colle sue cifre.

Si rammenta il proclama lanciato dal Re Ferdinando fuggendo da Roma, col quale invita le popolazioni ad insorgere contro i francesi e a trucidarli.

L'abate Giuseppe Pronio, nato ad Antrodoco, provincia di Aquila fu uno dei primi a rispondere all'appello reale.

Pronio, in conseguenza, si rimise a predicare ciò che egli chiamava la Guerra Santa e che noi chiameremo la guerra empia, cioè il saccheggio e l'assassinio.

Il 18 dicembre, egli si recò a Solmona per offrire i suoi servigi al generale de Gambs, che lo accolse, accettò i suoi servigi, legittimò il suo brigantaggio.

Dieci anni più tardi, vedremo per un terribile volere della Provvidenza, questo stesso generale de Gambs, piangere il suo unico figlio, bel giovane di 26 anni, ucciso dai successori di quei briganti che nel 98, egli arrollava a servigio del Re.

Pronio ricevette da lui 200 fucili e due barili di cartucce che fece prevenire ad Antrodoco ove armò i suoi compatrioti: il 25 dicembre egli aveva 700 uomini e marciava sopra Roccasale.

Il 2 gennaio 1799, la colonna francese comandata dal generale Rusca, di guarigione a Solmona, veniva improvvisamente attaccata, verso le quattro dopo mezzogiorno, da Pronio; ma al momento stesso in cui l'abbate divenuto capitano cominciava ad impegnare il fuoco, l'azzardo condusse alle sue spalle il generale Dubesme e la sua colonna, che sboccavano da Solmona, vicino alla chiesa S. Panfilo.

Pronio corse immantinenti al soccorso della sua retroguardia, e un combattimento accanito s'impegnò fra le bande realiste e le truppe repubblicane.

Il generale Duhesme è ferito, un soldato si slancia con la sciabola alzata sopra Pronio che l'uccide con un colpo di pistola; ordina la ritirata delle sue truppe, sfugge dalle mani dei francesi e ripiega fino ad Antrodoco, suo antro.

Il 4 febbraio, nuovo scontro fra Pronio ed i francesi l'arrivo di una batteria lo astringe a ripiegare; perde 200 uomini, e, come al solito, si rifuggia ad Antrodoco, ove entrato, rifà le sue forze toccando la terra materna.

Vedendo che questi combattimenti in aperta campagna non erano riusciti, Pronio cambiò lattica e cominciò una guerra di sorprese e d'imboscate. Pose in imboscata squadre di briganti sulle strade di Teramo, di Chieti, di Napoli, di Capua e di Gaeta; allora, guai alle pattuglie isolate; guai ai piccoli distaccamenti guai agli sbandati, tutti furono trucidati, impiccati, arsi, senza pietà! E la reputazione dell'abate Pronio, si estende e giunge fino a Palermo; Ferdinando ne ride, Carolina lo disprezza; ma ambo lo accarezzano, e noi vedremo ben presto Ferdinando entrare in corrispondenza con lui, mentre che gli dà il grado di colonnello e gli fa 200 ducati di rendita vitalizia.

Cosicchè, come si vede, Napoli cominciava ad essere rinserrata in un cerchio Borbonico. Fra Diavolo era a ltri, Mammome e i suoi due fratelli erano a Sora, Pronio era negli Abruzzi, Sciarpa nel Cilento, in fine Ruffo e De Cesari, marciavano di fronte su tutto lo spazio delle Calabrie e davano la mano ai bastimenti Russi, Inglesi e Turchi.

In questo frattempo ritornavano a Napoli i deputati inviati in Francia per ottenere il riconoscimento del nuovo Governo ed un'alleanza offensiva e difensiva; ma la Francia non era in una situazione tanto brillante, da poter difendere Napoli, e Napoli non era abbastanza forte per offendere i suoi nemici.

Il Direttorio francese facea perciò dire alla repubblica Napoletana, quello che si dicono i Governi reciprocamente nei momenti estremi qualunque sieno i trattati che li legano : « Ognuno per sè » Tutto ciò che poteva fare era di cedergli il cittadino francese Abrial, uomo esperto in simile materia, per dare un'organizzazione migliore alla repubblica napoletana.

In quanto a Macdonald, egli riceveva l'ordine segreto di abbandonare Napoli colle sue proprie forze e di riunire le sue truppe agli avanzi degli eserciti francesi, battuti in Italia da Souvaroff e Kray.

Al momento stesso in cui Macdonald si disponeva ad obbedire a quest'ordine e sotto pretesto che i suoi soldati snervavansi nelle delizie di Napoli, faceva un campo a Caserta, seppe che cinquecento Borbonici e un corpo Inglese molto considerevole, sbarcava vicino Castellammare. Aiutata dalle batterie dei vascelli, questa truppa s'impadronì della città e del fortino che la protegge. Siccome non credevasi ad uno sbarco, così una trentina di francesi soltanto custodivano il forte, i quali capitolarono a patto di ritirarsi con gli ordini di guerra. In quanto alla città, siccome era stata presa, non aveva potuto far condizioni, e il saccheggio cominciò.

Quando si seppe ciò che avveniva a Castellammare, contadini di Lettere di Gragnano, i montanari delle montagne vicine, specie di pastori come gli antichi Sanniti, si scagliarono sulla città e cominciarono alla lor volta.

Tutto ciò che era repubblicano, o tutto ciò che venne denunziato come tale, fu messo a morte; e il sangue dando la sete del sangue, la guarnigione francese fu trucidata : quantunque il forte non fosse stato preso per forza e si fosse reso, per capitolazione.

Tutto ciò eseguivasi la vigilia del giorno in cui Macdonald doveva partire secretamente con l'armata francese : ma egli non volle darsi l'aria di partir spaventato da quell'attacco ; al contrario, alla testa di parte dell'esercito, egli marciò direttamente su Castellammare; invano gl'inglesi vollero intimidire la sua colonna col fuoco dei loro vascelli; sotto il fuoco medesimo di questi vascelli, egli riprese la città ed il forte, vi rimise guarnigione non più di francesi, ma di patriotti napoletani, e la sera stessa, ritornò a Napoli arrecando alla Guardia Nazionale, tre stendardi, trecento prigionieri e diciassette cannoni.

Il domani annunziò la sua partenza nel campo di Caserta ove, diceva egli, andava a comandare delle grandi manovre per esercitare le sue truppe, assicurando che sarebbe sempre pronto a difendere le città della repubblica, come aveva fatto, e domandando che gli si facesse tenere tutte le sere un rapporto sugli avvenimenti del giorno.

Soggiungeva che oramai era tempo che la repubblica godesse della sua intera libertà e si sostenesse colle sue proprie forze, e terminasse una rivoluzione cominciata con sì felici auspicii. Ora restava agli stessi napoletani guidati dai consigli di Abrial a prendere i mezzi più adatti per sommettere gl'insorti ed organizzare il governo.

Il domani egli partì, lasciando questo proclama che io trovo in Colletta :

« Ogni terra o città, ribelle alla repubblica, sarà bruciata ed atterrata.

« I cardinali, gli arcivescovi, i vescovi, gli abati, i curati, ed in somma tutti i ministri del Culto, saranno tenuti colpevoli delle ribellioni de' luoghi dove dimorano e saran puniti con la morte.

« Ogni ribelle sarà reo di morte.

« La perdita della vita per condanna porterà seco la perdita dei beni »

Il 7 Maggio, il generale Macdonald parti da Caserta lasciando una guarnigione di cinquecento francesi al forte S. Elmo, sotto gli ordini del Capo di Legione, Mejean.

Si vedrà più tardi qual gretto rappresentante lasciava egli ai Napolitani, del valore e della lealtà francese.

Ma da Caserta, come un ultimo appello al dritto delle genti, egli rivolse questa lettera al Capitano Troubridge.

« MACDONALD, Generale in Capo dell'esercito francese, al Capitano Troubridg.

« Ho ricevuto, signore, la seconda lettera che voi mi avete fatto l'onore di scrivermi in data del 6 Maggio ultimo; come voi desiderate, io, ordinerò che gl'inglesi che furono fatti prigionieri a Salerno siano condotti al vostro bordo: in quanto ai napoletani presi a Castellammare, io non posso signore, considerarli come inglesi, poichè dessi sono mantenuti e pagati dal governo siciliano, in guerra con la repubblica francese, e lo scambio non può effettuarsi che coi francesi i quali sono in potere di quel governo: vi ricordo perciò la domanda che ho già avuto l'onore di rivolgervi, di farmi restituire il cittadino Ribaud, Vice Console di Francia a Messina: allora vi farò non solo restituire tutti i prigionieri di Castellammare, ma benanco tutti quelli che domanderete, di Napoli stesso. Aggiungo intanto a questa disposizione una condizione: quella di rimandare i militari, le autorità costituite e i patriotti della repubblica napolitana arrestati illegalmente o per tradimento, dai ribelli del paese.

« Quando metterete un termine signore alla guerra civile che suscitaste? ‑ Voi siete causa della morte di molte migliaia d'innocenti sedotti, o accecati, come pure della rovina della devastazione e dell'incendio delle loro proprietà.

« I soli militari, signore, fanno la guerra e solo essi devono sopportarne i mali lo reclamo perciò, fidando nella vostra lealtà, di risparmiare i pacifici citttadini, dalle sciagure che già molti fra essi hanno sofferto.

« Vi dichiaro che l'esercito francese è risoluto a mantenersi nella sua conquista, e a sostenere la libertà che ha data generosamente ad un popolo che n'è degno. Questa dichiarazione basterà senza dubbio, farvi rinunziare ad un genere di guerra che attira su di voi la maledizione di tutti gli amici dell'umanità.

« Sono con perfetta considerazione.

 

Il Generale in Capo

  MACDONALD

 

Che avrebbe detto Macdonald se fosse partito due mesi più tardi !

 

 

 

 

 

 

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 [*1]         Victoires et Conquètes.