I  BORBONI  DI  NAPOLI

 

Di Alexandre Dumas

 

Libro III 

 

 

 

CAPITOLO IV.

 

 

 

Prìa di fare assistere i nostri lettori alla caduta così rapida della repubblica napoletana che han veduto così rapidamente elevarsi, li chiediamo il permesso di mettere sotto i loro sguardi qualche riflessione di uno storico molto popolare in Italia, ma altrettanto ignoto in Francia: intendiamo parlare di Cuoco.

Queste riflessioni di un napoletano, di un magistrato, di un uomo di alta intelligenza, conoscendo il suo paese, la sua epoca, i suoi concittadini, avendo la scienza del passato, l'aspirazione dell'avvenire, essendo sopra tutto uomo onesto, chiariranno la situazione meglio di quanto potremmo dirlo noi, estranei al paese, che abbiamo vissuto in un epoca posteriore e in circostanze differenti.

So bene che gl'ltaliani obbietteranno che essi ancora conoscono, e anche meglio di me, il brano che io cito loro, ma io risponderò che questo libro non è soltanto scritto per l'Italia, che la Francia la quale ha vissuto due secoli e mezzo sotto i Borboni, leggerà, probabilmente con interesse, l'istoria dei rami di quella grande famiglia, ì cui re erano il tronco infausto, ed il cui fogliame ha coverto la metà dell'Europa; più, soggiungerò che anche al di là della Francia la felice pubblicità del nostro secolo tradurrà notabilmente, questo studio storico per quanto incompatibile fosse, nelle lingue straniere, che ci hanno già fatto l'onore di appropriarsi altre nostre opere.

Forse si dirà, in fine, che noi sospendiamo l'interesse della narrazione introducendo qui queste riflessioni: risponderemo che il rimprovero ci si potrebbe fare, se riproducessimo teorie generali, dottrine incerte e senza scopo, ma non è così, le riflessioni dell'autore del Racconto storico sulla rivoluzione di Napoli riguardano questa stessa rivoluzione di Napoli, e invece di esserne una parte staccata, ci sembrano essere più tosto un'indispensabile appendice.

« La nostra rivoluzione, dice Cuoco, essendo una rivoluzione passiva, l'unico mezzo di condurla a buon fine era quello di guadagnare l'opionione del popolo. Ma le vedute dei patriotti, e quelle del popolo non erano le stesse. Essi avevano diverse idee, diversi costumi, e finanche due lingue diverse. Quella stessa ammirazione per gli stranieri che aveva ritardata la nostra coltura ne' tempi del Re, quell'istessa formò nel principio della nostra repubblica il più grande ostacolo allo stabilimento della libertà.

« La nazione Napoletana si potea considerare come divisa in due popoli diversi, per due secoli di tempo, e per due gradi di clima. Siccome la parte colta si era formata sopra modelli stranieri, così la sua coltura era diversa da quella di cui abbisognava la nazione intera, e che potea sperarsi solamente dallo sviluppo delle nostre facoltà.

« Alcuni erano divenuti Francesi, altri Inglesi, e coloro che erano rimasti Napoletani, e che componevano il massimo numero, erano ancora incolti. Così, la coltura di pochi non aveva giovato alla nazione intera, e questa, a vicenda, quasi disprezzava una coltura che non l'era utile e che non intendeva.

« Le disgrazie dei popoli sono spesso le più evidenti dimostrazioni delle più utili verità. Non si può mai giovare alla patria se non si ama, e non si può mai amare la patria se non si stima la nazione. Non può mai esser libero quel popolo, in cui la parte che per la superiorità della sua ragione è destinata dalla natura a governarlo, sia coll'autorità, sia cogli esempi, ha venduta la sua opinione ad una nazione straniera: tutta la nazione, ha perduto allora la metà della sua indipendenza. Il maggior numero rimane senza massime da seguire: gli ambiziosi ne profittano: la rivoluzione degenera in guerra civile; ed allora, tanto gli ambiziosi che cedono sempre con guadagno quanto, i savj, che scelgono i minori tra i mali, e gl'indifferenti, i quali non calcolano che sul bisogno del momento, si riuniscono a ricevere la legge da una potenza esterna, la quale non manca mai di profittare di simili torbidi, o per sè stessa o per ristabilire il re discacciato.

« Quell'amore dì patria che nasce dalla pubblica educazione, e che genera l'orgoglio nazionale, è quello che solo ha fatto reggere la Francia ad onta di tutti i mali che per la sua rivoluzione ha sofferti, ad onta di tutta l'Europa collegata contro di lei; mille francesi si avrebbero di nuovo eletto un re, ma non vi è nessuno, che lo abbia voluto ricevere dalla mano de' Tedeschi o degl'Inglesi [*1] . Niuno più di Pitt, dagli esempi domestici, n'avrebbe dovuto esser convinto, se mai la vendetta de' diritti Borbonici fosse stata la cagione e non già il pretesto della lega, che una tal guerra, col pretesto di rimettere un re, era inutile.

« La nazione Napolitana, lungi dall'avere questa unità nazionale, si potea considerar come divisa in tante diverse nazioni. La natura pare che abbia voluto riunire in una piccola estensione di terreno tutte le varietà; diverso è in ogni provincia il cielo, diverso è il suolo ; le avanie del fisco che ha sempre seguite tali varietà per ritrovare ragioni di nuove imposizioni ovunque ritrovasse nuovi benefici della natura; ed il sistema feudale, che nei secoli scorsi tra l'anarchia e la barbarie, era sempre diverso, secondo i diversi luoghi e le diverse circostanze, rendevano da per tutto diverse le proprietà, e in conseguenza diversi i costumi degli uomini, che seguon sempre la proprietà ed i mezzi di sussistenza.

« Conveniva, tra tante contrarietà, ritrovare un interesse comune che chiamar e riunir potesse tutti gli uomini alla rivoluzione. Quando la nazione si fosse una volta riutnia, invano tutte le potenze della natura si sarebbero collegate contro di noi.

« Se lo stato della nostra nazione presentava grandi ostacoli, offriva dall'altra parte grandi risorse per menare avanti la nostra rivoluzione.

« Si avea una popolazione la quale, sebbene non avrebbe mai fatta la rivoluzione da sè, era però docile a riceverla da un'altra mano. I partiti decisi erano ambedue scarsi. La massima parte della nazione era indifferente; che altro vuol dir questo, se non che essa non era mossa da nessun partito, non era animata da veruna passione? Giudice imparziale e perciò giusto de' due pretendenti, avrebbe seguito quello che maggiori vantaggi le avesse offerto.

 « Un tale popolo s'illude difficilmente, ma facilmente si governa.

« Esso non ancora comprendeva i suoi dritti, ma sentiva però il suo bene. Credeva un sacrilegio attentare al suo Sovrano; ma credeva che un altro Sovrano potesse farlo, usando di quello stesso dritto pel quale agli Austriaci erano succeduti i Borboni, e quando questo nuovo Sovrano gli avesse restituito i suoi diritti, esso ne avrebbe ben accettato il dono.

« Le insorgenze ardevano solamente in pochi luoghi, i quali perchè erano stati il teatro della guerra, erano ancora animati dai proclami del Re, dalla guerra istessa, che a forza di farei finger odio, ci porta finalmente alla necessità di odiare davvero, e dalla condotta di taluni ufficiali francesi i quali, armati e vincitori, non sempre si ricordavano del giusto. La gran massa della nazione intese tranquillamente la rivoluzione e stette al suo luogo, le insorgenze non iscoppiarono che molto tempo dopo[*2] .

« Vi furono anche molte popolazioni le quali spinsero tanto avanti l'entusiasmo della libertà, che prevennero l'arrivo dei francesi nella capitale, e si sostennero colle sole proprie forze, contro tutte le armi mosse dal Re, anche dopo che la Capitale si era resa. Tutte queste forze riunite insieme avrebbero potuto formare una forza imponente, se si avesse saputo trarne profitto.

« La popolazione immensa della capitale era più istupidita che attiva. Essa guardava ancora con ammirazione un cambiamento che quasi aveva creduto impossibile. In generale dirsi poteva che il popolo della capitale era più lontano dalla rivoluzione di quello delle province, perchè meno oppresso dai tributi, e più vezzeggiato da una corte Che lo temeva.

« Il dispotismo si fonda per lo più sulla feccia del popolo che senza cura veruna nè dì bene nè di male, si vende a colui che meglio soddisfa il suo ventre. Rare volte un governo cade, che non sia pianto dai pessimi, ma deve esser cura del nuovo di far sì che non sia desiderato anche dai buoni. Ma, forse il soverchio timore che si concepì di quella popolazione fece sì che si prendesse troppo cura di lei, e si trascurassero le provincie, delle quali solamente si doveva temere, e dalle quali si ebbe infatti la controrivoluzione.

« Quali dunque esser dovevano le operazioni da farsi per spingere avanti la rivoluzione del Regno di Napoli ?

« Il primo passo era quello di far sì che tutti i patrioti fossero convenuti nelle loro idee, o almeno che per essi vi fosse convenuto il governo.

Tra i nostri patrioti, ci si permetta un'espressione, che conviene a tutte le rivoluzioni e che non offende i buoni, moltissimi avevano la repubblica sulle labbra, moltissimi l'aveano nella testa, pochissimi nel cuore. Per molti la rivoluzione era un affare di moda, ed erano repubblicani sol perchè lo erano i francesi: alcuni lo erano per vaghezza di spirito; altri per irreligione, quasichè per esentarsi dalla superstizione vi bisognasse un brevetto del Governo. Taluno confondeva la libertà con la licenza, e credeva acquistar colla rivoluzione il dritto d'insultare impunemente i pubblici costumi; per molti finalmente la rivoluzione era un affare di calcolo. Ciascuno era mosso da quel disordine che più lo avea colpito nell'antico governo. Non intendo con ciò offendere la mia nazione: quèsto è un carattere di tutte le rivoluzioni: ma al contrario, qual altra può, al pari della nostra, presentare un numero maggiore o anche eguale di persone che solo amavano l'ordine e la patria?

« Si prendeva però, come suol avvenire, per obbietto principale della riforma ciò che non era che un accessorio, e all'accessorio sagrificavasi il principale. Seguendo le idee dei patrioti, non si sapeva nè donde cominciare nè dove arrestarsi.

« Che cosa è una rivoluzione in un popolo?

« Tu vedrai mille teste delle quali ciascuna ha pensieri, interessi, disegni, diversi dalle altre. Se a costoro si presenta un capo che li voglia riunire, la riunione non seguirà giammai.

« Ma se avviene che tutti abbiano un interesse comune, allora seguirà la rivoluzione ed andrà avanti solo per quell'oggetto che è comune a tutti.

« Gli altri oggetti rimarranno forse trascurati? No; ma ciascuno adatterà il suo interesse privato al pubblico, la volontà particolare seguirà la generale ; le riforme degli accessorj faranno insensibilmente dal tempo e tutto camminerà in ordine.

« Non vi è governo il quale non abbia un disordine, che produce moltissimi malcontenti; ma non vi è governo il quale non offra a molti, molti beni, e non abbia molti partigiani. Quando colui che dirige una rivoluzione vuol tutto riformare, cioè vuol tutto distruggere, allora ne avviene che quelli istessi i quali bramano la rivoluzione per ima ragione, l'abborrono, per un'altra: passato il primo momento dell'entusiasmo, ed ottenuto l'oggetto principale il quale, perchè comune a tutti, è sempre per necessità con più veemenza desiderato e prima degli altri conseguito, comincia a sentirsi il dolore di tutti gli altri sacrifizi che la rivoluzione esige.

« Ciascuno dice prima a sè stesso, e poi anche agli altri: ma per ora potrebbe bastare ….il dippiù che si vuol fare è inutile ……è dannoso.

« Comincia ad ascoltarsi l'interesse privato ; ciascuno vorrebbe ottenere ciò che desidera al minor prezzo che sia possibile; e siccome le sensazioni del dolore sono in noi più forti di quelle del piacere, ciascuno valuta più quello che ha perduto che quello che ha guadagnato. Le volontà individuali si cangiano, incominciano a discordare tra loro ; in un governo in cui la volontà generale non deve o non può avere altro garante ed altri esecutori che la volontà individuale, rimangono le leggi senza forza, in contraddizione coi costumi pubblici; i poteri caderanno nel languore; il languore, o menerà all'anarchia, o per evitare l'anarchia sarà necessità di affidare l'esecuzione delle leggi ad una forza straniera che non è più quella del popolo libero, e voi non avrete più repubblica.

« Ecco tutto il segreto delle rivoluzioni: conoscere ciò che tutto il popolo vuole, e farlo; egli allora vi seguirà; distinguere ciò che vuole il popolo da ciò che vorreste voi ed arrestarvi tosto che il popolo più non vuole; egli allora vi abbandonerebbe. Bruto, allorchè discacciò i Tarquinj da Roma, pensò a provvedere il popolo di un Re sacrificatore: conobbe che i Romani stanchi di avere un re sul trono, lo credevano però ancor necessario sull'altare.

« La mania di voler tutto riformare porta seco la controrivoluzione, il popolo allora non si rivolta contro la

legge, perchè non attacca la volontà generale, ma la volontà individuale. Sapete allora perchè si segue un usurpatore? perchè rallenta il rigore delle leggi; perchè non si occupa che di pochi oggetti, che li sottopone alla volontà sua, la quale prende il luogo ed il nome di volontà generale e lascia tutti gli altri alla volontà individuale del popolo : strano carattere di tutti i popoli della terra ! ‑ Il desiderio di dar loro soverchia libertà risveglia in essi l'amore della libertà contro gli stessi loro liberatori!

« Il male che producono le idee troppo astratte di libertà è quello di toglierla mentre la vogliono stabilire. La libertà è un bene, perchè produce molti altri beni, quali sono la sicurezza, l'agiata sussistenza, la popolazione, la moderazione de' tributi, l'accrescimento dell'industria, e tanti altri beni sensibili, e il popolo perchè ama tali beni viene poi ad amare la libertà. Un uomo il quale senza procurare ad un popolo tali vantaggi venisse a comandargli di amare la libertà rassomiglierebbe l'Alcibiade di Marmontel il quale voleva esser amato per sè stesso.

« La nazione napoletana bramava veder riordinate le finanze, più incomode per la cattiva distribuzione che per la gravezza dei tributi ; terminate le dissenzioni che tenevano la nazione in uno stato di guerra civile ; divise più equamente le numerose terre che trovavansi accumulate nelle mani degli ecclesiastici e del fisco. Questo era il voto di tutti : quest'uso fecero della loro libertà quelle popolazioni che da per loro stesse si democratizzarono e dove o non pervennero o sol pervennero tardi gli agenti del governo e de' Francesi.

« Molte popolazioni si divisero i terreni che prima appartenevano alle Caccie regie. Molti si rivendicavano le terre litigiose del fondo. Ma io non ho cognizione di tutti gli avvenimenti, nè importerebbe ripeterli, essendo tutti gli stessi. In Picerno, appena il popolo intese l'arrivo dei francesi corse, seguendo il suo parroco, alla chiesa a rendere grazie al Dio d'Israele che aveva visitato ‑ e redento il suo popolo. Dalla Chiesa passò ad unirsi in parlamento ed il primo atto della sua libertà fu quello di chieder conto dell'uso che per sei anni si era fatto del pubblico denaro ‑ Non tumulti, non massacri, non violenze accompagnarono la rivindica de' suoi diritti: chi fu presente a quella adunanza, udì con piacere ed ammirazione rispondersi dal maggior numero a taluno che proponeva mezzi violenti:

Non convien a noi che ci lagniamo dell'ingiustizia degli altri, il darne l'esempio.

« Il secondo uso della libertà fu di rivendicare le usurpazioni del feudatario. E quale fu il terzo? quello di fare prodigi per la libertà istessa ; quello di battersi fino a che ebbero munizioni, e quando non ebbero munizioni, per avere del piombo, risolvettero in parlamento di fondere tutti gli organi delle chiese.

«I nostri Santi, si disse, non ne hanno bisogno.

“ Si liquefecero tutti gl'utensili domestici, finanche gli strumenti più necessarii della medicina: le femmine travestite da uomini, onde imporre al nemico, si batterono in modo da ingannarlo più col loro valore che colle vesti loro.

« Non sono questi gli estremi dell'amore alla libertà? Ed a questo stesso segno molte altre popolazioni pervennero, e pervenute vi sarebbero tutte, poichè tutte avevano le stesse idee, i bisogni medesimi, ed i medesimi desiderii.

« Ma mentre che tutti aveano tali desiderii, moltissimi desideravano anche utili riforme che avessero risvegliato l'attività della nazione, che avessero tolto l'ozio de' frati, l'incertenzza della proprietà, che avessero assicurata e protetta l'agricoltura. il commercio; e questi formavano quella classe che presso di tutte le nazioni è intermedia tra il popolo e la nobiltà! Questa classe se non è potente guanto la nobiltà e numerosa quanto il popolo, è però dappertutto sempre la più sensata. La libertà delle opinioni, l'abolizione dei culti, l'esenzione dai pregiudizii, era chiesta dai pochissimi perchè a pochissimi interessava. Questa ultima riforma dovea seguire la libertà già stabilita, ma per fondarla si richiedeva la forza e questa non sì poteva ottenere se non seguendo le idee del maggior numero. Ma si rovesciò l'ordine, e si volle guadagnar gli animi di molti presentando loro quelle idee che erano idee di pochi.

« Che sperare da quel linguaggio, che si teneva in tutti i proclami diretti al nostro Popolo? Finalmente siete liberi! Il popolo non sapeva ancora cosa fosse libertà. Essa è un sentimento, e non un'idea. Si fa provare coi fatti non si dimostra colle parole ‑ Il vostro Claudio è fuggito, Messalina trema.

« Era obbligato il popolo a saper la storia romana per conoscere la sua felicità?

« L'uomo riconquista tutt'i suoi dritti. E quali? Avrete un governo libero e giusto, fondato sui principii dell'uguaglianza gl'impieghi non saranno il patrimonio esclusivo dei nobili e dei ricchi; ma la ricompensa dei talenti e della virtù. Potente motivo per il popolo il quale non si picca nè di virtù nè di talenti, vuole essere ben governato e non ambisce cariche! ‑ Un santo entusiasmo si manifesti in tutt' i luoghi; le bandiere tricolori s'innalzino, gli alberi si piantino; le municipalità, le guardie civiche s'organizzino. Qual gruppo d'idee, che il popolo o non intende o non cura!

« I destini d'Italia debbono adempiersi. I pregiudizii, la religione, i costumi... Piano, mio caro declamatore: finora sei stato inutile: ora potresti esser anche dannoso.

 

« Questo linguaggio può star bene in bocca di un conquistatore che voglia nobilitare le sue conquiste; di un retore che parli a un'adunanza di oziosi; di un filosofo che parli ad altri filosofi ; potrà essere anche il linguaggio dello storico che trasmetta alla posterità il risultato degli avvenimenti, ma non deve essere mai il linguaggio di un uomo che parli al popolo, e voglia muoverlo. Noi abbiamo perduta ogni idea dell'eloquenza popolare; la nostra non è che l'eloquenza delle scuole, e questa è la ragione perchè più non si veggono tra noi ripetuti quegli effetti che appena crediamo negli antichi. Dopo essersi or da pedanti, or da eruditi, or da filosofi, analizzato il meccanismo del discorso, calcolata la sua forza, fissati i principi per dirigerlo, onde produca il massimo effetto, mi par che ancor resti a farsi un libro, in cui si calcoli la forza dell'eloquenza, non sull'individuo, ma sulle nazioni e si vegga il rapporto che lo stato della nazione può avere sull'eloquenza, e la natura di questa sullo stato di quella.

« Si conoscerebbe allora qual differenza vi sia fra i pomposi proclami, che dall'89 inondano l'Europa e la forza secreta ma irresistibile. Pericle tuonava, fulminava, sconvolgeva la Grecia intera, e i figli d'Isacco e d'Ismaele si dividevano l'impero della terra e de' secoli.

« Il corso delle idee è quello che deve dirigere il corso delle operazioni e determinare il grado di forza negli effetti. Le prime idee che si debbono far valere, sono le idee di tutti: quindi le idee di molti; in ultimo luogo le idee di pochi. E siccome coloro che dirigono una rivoluzione sono sempre pochi di numero, ed hanno più idee degli altri, perchè veggono più mali, e comprendono più beni, così molte volte è necessario che i repubblicani per istabilire la repubblica si scordino di loro stessi. Molti mali soffri per lungo tempo Bruto, moltissimi ne previde, ma finchè fu solo a prevedere ed a soffrire, tacque; molti ne soffrirono i patrizi pria che si lagnasse il popolo; finalmente il fatto di Lucrezia fece ricordare ad ognuno che era marito, allora Bruto parlò al popolo e lo mosse, poscia, parlò al senato, e quando la rivoluzione fu compiuta, ascoltò sè stesso.

« Tutto si può fare; la difficoltà è sola nel modo. Noi possiamo giungere col tempo a quelle idee alle quali sarebbe follia di voler giungere oggi: impresso una volta il moto, si passa da un avvenimento all'altro e l'uomo diventa un essere meramente passivo. Tutto il secreto consiste in sapere donde si debba incominciar.

« Non si può mai produrre una rivoluzione, a meno che non sia una rivoluzione religiosa, seguendo idee troppo generali, nè seguendo un piano unico. Mille ostacoli tu incontrerai ad ogni passo che non si erano preveduti ; mille contraddizioni d'interessi che non potendosi distruggere, è necessità conciliare. Il popolo è un fanciullo, e vi fa spesso delle difficoltà alle quali non siete preparato. Molte nostre popolazioni non amavano l'albero, perchè non ne intendevano l'oggetto e talune che s'indispettivano per non intenderlo lo biasimavano come magico; molte, invece dell'albero, avrebbero voluto un altro emblema. E' indifferente che una rivoluzione abbia un emblema o un altro, ma è necessario che abbia quello che il popolo intende e vuole.

« In molte popolazioni eravi un male da riparare, un bene da procurare per poter allettare il popolo, le stesse risorse non vi erano in altre popolazioni; nè potevano la legge od il governo occuparsi di tali oggetti, se non dopo che la rivoluzione era già compita. Le rivoluzioni attive, sono sempre più efficaci perchè il popolo si dirige subito da sè stesso, a ciò che più da vicino l'interessa.

« In una rivoluzione passiva, conviene che l'agente del governo indovini l'animo del popolo e gli presenti ciò che desiderava, e che da sè stesso non saprebbe procacciarsi.

« Talora il bene generale è in collisione cogl'interessi dei potenti. L'abolizione dei feudi, per esempio, reca un danno notabile al feudatario, ma più del feudatario sono da temere coloro che vivono sul feudo.

« Il popolo trae ordinariamente la sussistenza da costoro; comprende che dopo un anno, senza il feudatario, vivrebbe meglio, ma senza di lui non può vivere un anno; il bisogno del momento gli fa trascurare il bene futuro, quantunque maggiore. Il talento del riformatore è allora quello di rompere i lacci della dipendenza, di conoscere le persone egualmente che le cose; di far parlare il rispetto, l'amicizia, l'ascendente che taluno o bene o male gode talora su di una popolazione.

« Spesse volte ho visto che una popolazione ama una riforma anzichè un'altra. Molte popolazioni desideravano la soppressione de' monasteri, molte non la volevano ancora: piucchè la superstizione, influiva sul loro spirito il maggiore o minore bisogno in cui erano de' terreni. Non urtate la pubblica opinione; crescerá col nuovo ordine di cose il bisogno, e voi sarete sollecitato a distruggere, ciò che un momento prima si voleva conservare.

« Basta dare avviamento alle cose; di molte non si comprende oggi la necessità o l'utile, e si comprenderà domani; così avrete il vantaggio che farete far dal popolo quello che vorreste far voi.

« Non vi curate degli accessori quando avete ottenuto il principale. Io che ho voluto esaminar la rivoluzione più tosto nelle idee dei popoli che in quelle dei rivoluzionari, ho visto che il più delle volte A malcontento nasceva dal volersi fare talune operazioni senza talune apparenze, e senza talune solennità che il popolo credeva necessarie.

« Avviene nelle rivoluzioni come avviene nella filosofia dove tutte le controversie nascono meno dalle idee che delle parole.

« I riformatori chiamano forza di spirito l'audacia con la quale attaccano le solennità antiche; io la chiamo imbecillità di uno spirito che non sa conciliarle colle cose nuove.

« Il gran talento del riformatore è quello di menare il popolo in modo che f accia da sè quello che vorresti far tu. Ho visto molte popolazioni fare da per loro stesse ciò che, fatto dal governo, avrebbero condannato.

« Volendo, dice Macchiavelli, che un errore non sia favorito da un popolo, gran rimedio è fare che il popolo istesso lo abbia a giudicare. Ma a questo grande oggetto non si perviene se non da chi ha già vinto tanto la vanità dei fanciulli di preferire le apparenze alle cose reali, quanto la vanità anche di quegli uomini doppiamente fanciulli, che non conoscono la vera gloria e che la fanno consistere nel fare tutto da loro stessi.

« Siccome nelle rivoluzioni passive il gran ‑pericolo è quello di oltrepassare il segno in cui il popolo vuole fermarsi, e dopo del quale vi abbandonerebbe, così il miglior partito, il più delle volte, è di restarsene al di qua. Il governo aveva ordinato la soppressione istantanea di molti monasteri , e questa, commessa a persone non sempre fedeli, non avea prodotto quei vantaggi che se ne speravano.

« Si potevano i conventi far rimanere, ma con la legge di non ricevere più nuovi monaci; i loro fondi, con altra legge, si dichiaravano censiti a coloro che ne erano affittuali, colla libertà di acquistarne la proprietà, e così si otteneva la ripartizione de' terreni, l'abolizione del monastero a capo di pochi anni, e frattanto ai monaci si avrebbe potuto vendere anche caro questo prolungamento di esistenza.

« Il voler fare in un momento tutto ciò che si può fare, non è sempre senza pericolo, perchè non è senza pericolo che il popolo non abbia più nè che temere, nè che sperare da voi.

« Il popolo è ordinariamente più saggio e più giusto di quello che si crede. Talora le sue disgrazie lo correggono de' suoi errori.

« Ho veduto delle popolazioni addivenire repubblicane ed armarsi, perchè nella loro indifferenza erano state saccheggiate dagl'insorgenti.

« In Cajazzo, tal‑uni della più vile feccia del popolo, insorsero ed attaccarano le autorità costituite ; tutti gli altri erano spettatori indolenti ; gl'insorgenti, soli, furono i ‑più forti ; vollero rapinare, e questo ruppe il letargo degli altri.

« Allora gl'insorgenti non furono più soli, tutta la popolazione difese le autorità costituite , ed istruita dal pericolo, Caiazzo divenne la popolazione più attaccata alla repubblica.

« Da tutto si può trar profitto , tutto può esser utile ad un governo attivo che conosca la nazione e non abbia sistemi. Tutti i popoli si rassomigliano, ma gli effetti delle loro rivoluzioni sono diversi, perchè diversi sono coloro che le dirigono.

« Nello stato in cui era la nazione napolitana, la scelta delle persone che formare dovevano il governo provvisorio era più importante che non si pensa. Noi riferiremo a questo proposito ciò che taluno propose a Championnet, e a coloro che consigliavano Championnet.

« Il primo passo in una rivoluzione passiva è quello di guadagnare l'opinione del popolo: il secondo è quello d'interessare nella rivoluzione il maggior numero delle persone che sia possibile. Queste due operazioni, in apparenza diverse non sono però in realtà che una sola; poichè quello istesso che interessa nella rivoluzione maggior numero delle persone, vi fa guadagnare l'opinione del popolo, il quale non potendo giudicare mai di una rivoluzione e di un governo per principii e per teorie, non potendo, nei primi giorni, giudicarne dagli effetti, deve per necessità giudicarne dalle persone ed approvare quel governo ch'è commesso a persone che egli è avvezzo a rispettare.

« Fra gl'impiegati del Re di Napoli, molti ve ne sono che non hanno giammai fatta la guerra alla rivoluzione; amici della patria, perchè amanti del bene ed attaccati al governo del Re, sol perchè quel governo dava loro un mezzo onesto di sussistenza. Molti di costoro meritano di essere impiegati per i loro talenti e possono guadagnar alla rivoluzione l'opinione di molte classi del popolo.

« Il foro ne somministra moltissimi e la classe del foro una volta guadagnata strascina seco il quinto della popolazione.

« Moltissimi ne somministra la classe degli ecclesiastici, e vi è da sperare altrettanto di bene: il resto s'avrebbe dalla nobiltà, (uso per l'ultima volta questa parola, per indicare un ceto che più non deve esistere, ma che ha esistito finora) e dalla classe de' negozianti.

« I nobili si crederanno meno offesi, quando si vedranno non del tutto obbliati; ed i negozianti finora disprezzati dai nobili saranno superbi di un onore che li eguaglia ai loro rivali, e può la nazione sperar da loro aiuti grandissimi nei suoi bisogni.

« In Napoli questa è la classe amica del popolo; poichè da questa classe dipende e vive, quanto in Napoli vi sono pescatori, marinai, facchini, e di altri tali che formano quella numerosa e sempre mobile parte del popolo che chiamasi lazzaroni. Utili anche sarebbero molti ricchi proprietarii delle provincie, i quali possono colà ciò che possono i negozianti in Napoli, e potranno dare al governo quei lumi che non ha e non può avere altrimenti sulle medesime.

« Per effetto della nostra mal diretta educazione pubblica la cognizione delle nostre cose si trova riunita al potere ed alla ricchezza : a coloro che hanno per loro porzione il sapere, per lo più tutto sanno fuorchè quello che saper si dee. Allevati colla lettura di libri inglesi e francesi, sapranno le manifatture di Birmingham e di Manchester e non quelle del nostro Arpino; vi parleranno dell'agricoltura della Provenza e non sapranno quella della Puglia. Non vi è tra loro chi non sappia come si elegga un Re di Polonia, o un imperatore de' Romani e pochi sapranno come si eleggono gli amministratori di una nostra municipalità: tutti vi diranno il grado di longitudine o di latitudine d'O‑taiti; se domandate il grado di Napoli, nessuno saprà dirlo. Un tempo i nostri si occuparono di tali cose ed avemmo scrittori di questi oggetti prima che le altre nazioni di Europa ancora vi pensassero. Oggi ciascuno sdegna di occuparsene; vago di gloria straniera, quasichè si potesse meritare maggior stima dagli altri popoli, ripetendo loro male ciò che essi sanno bene, che dicendo loro ciò che ancora non sanno. Queste cognizioni intanto sono necessarie, e per averle o convien ricorrere a' libri senz'ordine e senza gusto, scritti due secoli fa, o convien dipendere da coloro i quali, per aver maneggiati gli affari del regno e viste diverse nostre regioni, conoscono e gli uomini e lo stato degli uomini. Per difetto della nostra educazione la scienza che noi abbiamo è inutile e siamo costretti a mendicare le utili dagli altri.

« Ma affinchè le cognizioni delle cose patrie non siano scompagnate da' lumi della filosofia universale di Europa, e affinchè coloro di cui abbiamo bisogno per opinione, non diventino i nostri padroni, per necessità, affinchè gli antichi interessi, (se pure costoro avessero interesse per l'antico governo), non opprimano i nuovi, a costoro si unirà un doppio numero di saggi e virtuosi patriotti; così avremo il vantaggio del patriottismo nelle decisioni, ed il patriottismo avrà il vantaggio delle cognizioni patrie nell'esame e dell'opinione pubblica nell'esecuzione.

« In vece di fare l'assemblea che chiamar si potrebbe costituente, di venticinque persone, far si potrebbe di ottanta, e combinare in tal modo insieme tutti questi vantaggi.

« Un'assemblea provvisoria di ottanta non è troppo grande per una nazione che deve averne una costituzionale più che doppia. All'incontro, una di venticinque può sembrare troppo piccola, specialmente non essendosi ancora pubblicata la Costituzione. Il popolo potrà credere che si voglia prender giuoco di lui, e che si pensi ad escluderlo da tutto. Un generale estero che venisse egli solo a darci la legge, si tollererebbe come un re conquistatore, e l'oppressione in cui ognuno vedrebbe gli altri tutti, gli renderebbe tollerabile la propria; ma, subito che chiamate a parte della sovranità la nazione, conviene che usiate più riguardi ; o convien dar a tutti, a nessuno: i consigli di mezzo tolgono l'oppressione  vi aggiungono l'invidia. »

In seguito di queste riflessioni, delle quali i nostri lettori valuteranno la relativa precisione, lo storico entra nel seguente modo nella via degli avvenimenti che seguirono la nomina dei venticinque membri del governo provvisorio da noi notati in un precedente capitolo.

« S'incominciò dai primi giorni della repubblica a fare una guerra a tutti gli impiegati; accuse sopra accuse, deputazioni sopra deputazioni: chi ambiva una carica non dovea far altro che mettersi alla testa di un certo numero di patriotti e far dello strepito.

« Siccome tutto si aggirava su parole vaghe che niuno intendeva, così la ragione non poteva aver luogo, e dovean vincere il numero e lo strepito, prima forza che gli uomini usano sempre nelle gare civili; finchè passino ad usarne ed un'altra più efficace e più crudele. All'uomo ragionevole, e da bene, non rimaneva che involgersi nel suo mantello e tacerli.

« Prosdocimo Rotondo, eletto rappresentante, offese l'invidia di qualche suo nemico. Si mosse Nicola Palomba [*3]  ad accusarlo: Nicola Palomba, che non conosceva Rotondo, ma entusiasta, ed in conseguenza poco saggio, credea che ei fosse indegno della carica, perchè qualche suo amico lo credeva tale.

« Un'accusa di tal natura non avrebbe dovuto ammettersi, poichè l'indegnità di taluno potrà far sì che il sovrano non lo elegga, ma eletto che l'abbia, perchè sia deposto pria del tempo stabilito dalla legge, vi è bisogno di un delitto. Ammessa però una volta l'accusa, conveniva esaminarla; nella repubblica deve esser libera l'accusa, ma punita la calunnia. Io non so se Rotondo fosse reo ; io spero che egli insisteva perchè fosse giudicato; so che dimesso dalla carica, pubblicò il conto della sua amministrazione e tutti tacquero.

« Palomba partì pel dipartimento del quale era stato nominato Commessario. Gli fu data è vero la facoltà di proseguire l'accusa anche per mezzo dei suoi procuratori, ma non si trattava di dargli una facoltà, era necessario imporgli un'obbligazione. In un governo giusto, l'accusatore è nello stesso tempo accusato, e mentre si disputava, se Rotondo era degno o no di sedere fra i legislatori, Palomba non aveva dritto di essere nominato Commessario. Dispiacque a Rotondo ed a tutti i buoni un silenzio che sacrificava il governo alla fazione « e la fazione all'individuo. »

Ma ben tosto, questo fatto della repubblica nascente, si perdette negli avvenimenti ben altrimenti importanti, che andremo a narrare.

Riprendiamo quindi il nostro racconto.

 

 

 

 

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 [*1]          La rivoluzione del 1830 ha provato quanto sia vera questa massima scritta da Cuoco nel 1800, dappoichè d'essa non fu che la reazione di Waterloo.

 

 [*2]          In Cuoco abbiamo notato come un errore che l'8 Febbraio cioè 15 giorni dopo il proclama della Repubblica, il Cardinale Ruffo sbarcava a Messina e che il 15 dello stesso mese Corbara Boccheciampe e De Cesari facevano insorgere la Calabria ulteriore.

 

 [*3]          Questo è lo stesso prete che vedemmo con un fucile in mano marciare il 23 febbraio alla testa di una banda di patriotti e di Francesi nella strada che conduce da S. Lucia a Toledo.