I  BORBONI  DI  NAPOLI

 

Di Alexandre Dumas

 

Libro III 

 

CAPITOLO VI

 

Del resto qualunque fossero i sentimenti che ispiravano ai napoletani le esigenze pecuniarie di Championnet, domandando il pagamento dei dieci milioni di franchi stipulati coll'armistizio, ben presto dovettero apprezzare quanto queste esigenze erano moderate relativamente alle pretensioni del Direttorio.

Nel modo istesso che i lupi ed i corvi seguono gli eserciti conquistatori, per pascersi dei cadaveri, così gli appaltatori ed i percettori, questi scribi e farisei moderni, seguivano gli eserciti della repubblica per impinguarsi di oro.

Il Commissario Francese, Faypoult, accompagnato da una commissione civile, venne a piombare su Napoli tuttavia inondata di sangue e convalescente appena dal fuoco dal saccheggio e dall'assassinio.

Egli arrecava un decreto del Direttorio che, appoggiandosi sul dritto della conquista, confermava le contribuzioni di guerra. Ciò sarebbe stato insignificante, poichè conoscevasi che queste contribuzioni erano legalmente dovute; ma dichiarava patrimonio della Francia i beni della corona di Napoli, i palazzi e le case del Re, le caccie Reali, le dotazioni degli ordini di Malta e di S. Giorgio Costantininano, i beni degli emigrati, in un paese dove non dovevano esservi emigrati, ed ove la politica conciliativa di Championnet consistette particolarmente a ravvicinare tutto: i feudi allodiali, le banche, le fabbriche di porcellana, e financo le antichità ancora sotterrate nella lava d'Ercolano e sotto le ceneri di Pompei.

Championnet era istruito dall'esempio di Roma; ave­va visto i disordini che vi si erano commessi in nome della Repubblica; aveva visto i palazzi saccheggiati, il popolo smunto dalle contribuzioni, la commissione fran­cese gavazzando nel lusso, insultar la miseria universale.

Egli aveva compreso che la riconoscenza di quelli ai quali arrecavamo la libertà, si perdeva nelle vessazioni degli agenti fiscali, che gliela toglievano. Aveva scritto al Direttorio in quel tempo, cioè al momento stesso che giugneva in Roma, le linee seguenti:

« Le risorse della repubblica Romana sono già esaurite. Sciami di birbanti hanno tutto ingoiato: vegliano con occhi avidi per impadronirsi di quanto rimane; queste sanguisughe della patria si nascondono sotto tutte le forme ma, certo di essere difeso da voi, io non soffrirò che questi spogliatori, impuniti, invadano le risorse dell'esercito. Farò scomparire queste orribili arpie che divorano il suolo, conquistato coi nostri sacrifici. »

I Sventuratamente, nel tempo stesso che Championnet andava a tentare queste riforme, sopravvenne l'aggressione del Re di Napoli, che lo aveva costretto metter da parte le riforme amministrative e ritornare generale. Ed ecco; appena arrivato a Napoli, quando la contribuzione da esso imposta, cominciava a pagarsi regolarmente, quando, la repubblica principiava ad organizzarsi, ecco la commissione civile, cioè il saccheggio regolare, ecco gli agenti del Fisco queste mosche cadaveriche che si pascono solo di putridume venire ad invadere Napoli, simili alle affamate, alle insaziabili locuste della Bibbia, che infestavano l'Egitto ai tempi di Faraone.

Si giudichi quant'era l'abuso del potere dato a questa Commissione da un solo fatto. Il Direttorio conferiva al Cassiere percettore cioè, ad un uomo convenevolmente retribuito con assegni di 12,000 franchi l'anno, un dritto

di tre centesimi per franco sulle contribuzioni, vale a dire di un milione ed ottocento mila franchi su sessanta

milioni somma che il Direttorio calcolava poter ricavare da Napoli.

Ed era, quando il giorno innanzi i generali avevano mandato le proprie spalline d'oro alla repubblica sostituendovi le spalline di lana, che un funzionario civile il quale non aveva corso alcun pericolo, che s'era accostato al campo di battaglia mantenendosi dieci volte fuori del tiro del cannone, veniva a prendere esso solo il soldo di cento venti generali, soldo che non pagavasi neppure!

E’ vero, però, che il genero del Commissario civile era ricevitore, e per conseguenza profittava del dritto dei tre centesimi.

Malgrado l'opposizione del generale in Capo, il Commissario pubblicò un editto, che in altro non consisteva che nel decreto del Direttorio da noi riferito, e che era la spogliazione organizzata.

L'editto portava, in oltre, che qualunque contribuzione che non pagavasi direttamente al Cassiere ricevitore, era nulla.

Il buon uomo temeva di perdere i suoi tre centesimi.

Dall'effetto prodotto dai giusti reclami di Championnet, relativamente ai dieci milioni, si può giudicare dell'effetto che produsse, quest'editto. Immediatamente il timore si sparse fra quelli che avevano pagato, temendo che non li facessero pagare due volte. Quelli che erano pronti a sdebitarsi non sapendo ove si fermerebbero le esigenze della Commissione, nascondevano il loro danaro. Clero, nobili, mezzo ceto, capitale, provincie, tutti, si commossero: dei gruppi formavansi avanti agli editti: i Lazzaroni che non sapevano leggere, ed ai quali non spiegavasi il tenore di essi li strappavano e li laceravano. D'ogni parte si gridò che i francesi non erano amici, ma conquistatori; ufficiali vennero insultati nelle vie, soldati assassinati nei vicoli, e il grido di morte ai traditori francesi, cominciava ad echeggiare.

Bisognava dapprima far fronte alla rivolta che parea imminente. Championnet fece avanzare i dragoni e l'artiglieria; la precisione delle manovre ristabilì per qualche giorno la tranquillità. Championnet ne profittò per scrivere al Direttorio.

« ‑ E che! cittadini direttori, voi ci affidate la sorte di più migliaia di francesi, i destini di uno stato, e voi sospettate della nostra probità, e voi supponete che noi ci asbbassassimo a disonorarci per l'oro! Dove il governo può trovare dei servitori più ardenti e più puri? lo sono un soldato senza ambizione, ma crudelmente inacerbito dagli uomini, che ingannano il Direttorio. Ho giurato loro una guerra a morte. Essi potranno riuscire a perdermi, ma non mi toglieranno nè la mia propria stima, nè quella degli amici della mia patria!

Da parte sua, Faypoult scriveva al Direttorio.

« Non si possono bravare i vostri ordini con maggiore audacia: è doloroso che i generali non vogliono limitarsi al loro dovere. Questo spirito mostravasi già nell'armata di Italia, ora è spinto molto più oltre nell'armata di Roma.

« Ogni Generale è tutto nelle divisioni, egli governa impone, amministra, stabilisce da lui percettori, e agenti propri, e non rende conto ad alcuno. Uno di essi ultimamente diceva ch'egli era re a Gaeta; il Generale in Capo diceva loro: Sono io che ho conquistato il paese, esso è sotto la mia dominazione » ; queste parole spiegavano il suo piano. Ogni potere mi è interdetto dalla forza armata, io non posso nulla contro colui al quale tutti obbediscono: la scorta, le ordinanze, la guardia conceduta al prigioniero Mack si ricusano al vostro agente. Esso non può divenire che un oggetto di disprezzo pel paragone che deve farsi tra il fasto militare, lo stato ed il seguito dei Generali, e l'oscurità e la nullità alla quale mi si è ridotto. »

Questa lotta fra la realtà militare e la cupidigia fiscale ebbe la fine che doveva avere.

Championnet di sua propria autorità privata, e con atto dittatoriale, annullò la Commissione civile e l'espulse da Napoli con tutti gli agenti. L’ impossibile descrivere la gioia che produsse questa misura. I Napoletani non sapendo far nulla per metà s'accesero di entusiasmo per Championnet. Si ricordò il favore tutto particolare che aveagli mostrato S. Gennaro, facendo per lui il miracolo all'ora fissa. Il regalo che egli stesso aveva fatto al Padrone di Napoli d'una mitra, tempestata di diamanti, in fine, il Parroco di S. Anna avendo trovato sugli atti battesimali della sua chiesa, il nome di un certo Giovanni Championnet, col quale il Generale non aveva alcuna relazione, nè di età nè di parentela, dichiarò in piena cattedra che il Generale Championnet era nato a Napoli, deducendone perciò la facilità colla quale egli parlava l'italiano.

Nello stesso tempo Championnet, inviava al Direttorio quattro ambasciadori napoletani, Moliterno, Angrì, Ciaja, e Paccechini, per ottenere la riconoscenza solenne dell'indipendenza del proprio paese.

Tostochè egli videsi libero degli ostacoli della Conimissione Civile, Championnet si occupò di regolare le spese in proporzioni ragionevoli e in riguardo alla situazione reale dì Napoli.

Noi rileviamo i calcoli seguenti dalle sue proprie memorie pubblicate dal sig. di Saint‑Albin.

« Il Generale Championnet supponeva dapprima la necessità di una forza militare di quarantamila francesi e di ventimila uomini di truppe indigene, limitando le spese e sorvegliando gli abusi. Non credeva potere assoldare e mantenere ogn'uomo a meno di due franchi al giorno, ciò che ammontava, a 120,000 fr. al giorno, 43 milioni all'anno.

Onde restaurare la marina interamente rovinata dall'incendio, ordinato dal Re Ferdinando eseguito dal Conte di Thurr, per riorganizzare i marinai, vestirli, armarli, bisognavano non meno di dieci milioni.

Per la formazione dello stabilimento del nuovo Governo, tre milioni.

Per accorrere alle spese dell'amministrazione pubblica, durante il corso dell'anno, dodici milioni.

Per la riorganizzazione delle truppe di terra, completamente disperse, quattro milioni.

Cosicchè il budget annuale delle spese della nuova repubblica elevavasi a settantasei milioni.

Sì aggiunga a questo l'interesse annuale del debito pubblico, cioè dieci milioni, e si avrà un totale di 86 milioni. In relazione con questa spesa indispensabile, Championnet situava le risorse della nuova repubblica e trovava :

Ch'esse erano quasi tutte territoriali, e che ad eccezione di qualche manifattura regia ove fabbricavansi oggetti di esportazione, tutto ciò che confezionavasi nel paese bastava appena al consumo.

Il Catasto di tutti i comuni fissava le rendite turritoriali a 60 milioni di ducati, cioè a 240 milioni di franchi. Ma forse il catasto alterava la verità.

Ecco, però, ciò che era incontestabile:

I° La popolazione del continente elevavasi ad oltre i cinque milioni di abitanti.

L° Essa nutrivasi e vestivasi dei prodotti stessi del suo territorio, senza ricavare nulla dall'estero.

3° Lo Stato importava ancora tutti gli anni dall'eccedenza del suo consumo, per più di quattro milioni di ducati, di derrate.

Ora procedendo dal noto all'ignoto, era impossibile che in una popolazione di cinque milioni d'abitanti ricchi e poveri consumassero meno di novanta franchi cioè, meno di cinque soldi al giorno per tutta spesa, di viveri, carboni, vestimenta lume e legna. Ciò premesso, le spese annuali consistevano in prodotti indigeni ed eguagliavano la somma di 450 milioni.

Ora se aggiungevesi al consumo degli individui quello degli animali da tiro, di lusso, e di lavoro, il cui numero non può esser meno di 500,000, calcolati ad una spesa di cinque soldi al giorno per ciascheduno, si troverà una nuova somma di quarantacinque milioni all'anno, la quale porterà la cifra delle rendite territoriali alla somma di 490 milioni al meno; che aggiunti ai sedici milioni dell'importazione delle derrate forma una somma totale di 502 milioni.

La nazione era dunque nello stato di sopportare al massimo la spesa di 28 milioni.

Ma questa somma non bisognava oltrepassarla ;come budget annuale e regolare.

Ora Napoli era messa crudelmente alla prova dagli avvenimenti compitisi, e dalle spese fattesi da tre ‑anni

Nessuna regione aveva sofferto da tre anni maggiori dilapidazioni di Napoli.

Quaranta milioni di ducati erano stati prelevati dalle banche pubbliche dall'antica corte e in gran parte trasportati all'estero.

Una requisizione generale di tutti gli oggetti in ed argento aveva colpito non solo tutti gli stabilimenti religiosi, ma ancora tutti i particolari, e i prodotti immensi che se n'erano ricavati, uscirono benanco dal Regno.

Da due anni e mezzo una contribuzione militare del 42% all'incirca, applicabile alle rendite territoriali pesava sulle famiglie.

Un esercito di ottantacinque mila uomini equipaggiato e abigliato con sontuosità era stato formato nel tempo stesso, laddove non poteansi mantenere annualmente più di quaranta mila uomini. Una Cavalleria di 15,000 cavalli, un'artiglieria di duecento pezzi era stata creata.

Si è potuto formare un'idea, allorquando parlammo della sua organizzazione, di quanto è costato quella marina costruita da Acton e distrutta dagli Inglesi.

Le medesime terre calpestate e devastate dai Napolitani nella loro marcia sopra Roma e nella ritirata su Napoli, erano calpestate e devastate dai Francesi.

Da un certo numero di anni, il paese non aveva altri segni monetari, che carta accreditata fino all'ora in ra­gione dei capitali che gli servivano d'ipoteca, ma questi capitali erano stati impiegati in gran parte dalla Corte per l'armamento dell'esercito, e il contingente della Coalizione. Di quel che ne restava, la Corte se ne era impa­dronito partendo, di modo che la carta era completa­mente discreditata, e i negozianti che ricevettero questa

carta in cambio delle loro mercanzie, erano rovinati, avendo la stessa perduto il 70 all'80 per cento del suo valore.

La repubblica era aggravata da 69 milioni in denaro senza contare il soldo di un esercito di 60,000, uomini in campagna o in guarnigione.

Pel mantenimento di questo esercito, essa forniva più di dieci milioni di generi per equipaggio e abbiglia­mento, ciò che faceva 79 milioni.

Ora questi 79 milioni straordinarii aggiunti agli 86 di spesa annua, portavano la spesa di quell'anno a 165 mi­lioni, che doveano farsi pesare su chi? ‑ su i proprie­tarii, cioè sulla classe ricca ed intelligente, cioè infine sui soli amici che i Francesi avessero a Napoli.

Era appunto la classe che avendo più sofferto sotto Ferdinando veniva ad essere la più smunta.

Ecco adunque le spese che calcolava Championnet, e la miseria che aveva riconosciuta; malgrado ciò, egli con l'aiuto della buona volontà pubblica sperava far fronte alle necessità della situazione, quando nella notte del 15 al 16 marzo, ricevette l'ordine di partire immediatamente onde render conto della sua condotta.

Egli lesse la lettera, la gettò sulla tavola.

‑ Cosa c'è Generale? gli domandò il suo aiutante di Campo.

Championnet gli passò la lettera dicendo queste sole parole :

‑ Leggete.

E siccome l'aiutante di campo dolevasi di questo ri­chiamo

‑ In ogni caso, gli disse Championnet, i miei bravi soldati non avranno a lagnarsi di me. Sono giunto a far loro pagare cinque mesi di soldi attrassati e a rimpiaz­zare con buoni abiti i cenci dei quali erano coverti; que­sto è l'essenziale.

Rimettendo il comando al più antico Generale di Divisione, dopo il mezzo giorno dello stesso 16 marzo 1799, egli uscì a piedi da Napoli come per andare a una passeggiata, temendo qualche rivolta in suo favore se il suo richiamo fosse conosciuto.

La partenza di Championnet, per quanto fosse ingrato il popolo napoletano, fu considerata come una pubblica sciagura.

Il governo di Napoli gli scrisse questa lettera che lo raggiunse in cammino.

« Generale »

« Niente potrebbe dipingere il dolore del Governo provvisorio, allorquando seppe la funesta nuova della vostra partenza. Siete voi che avete fondata la nostra repubblica; su voi riposavano le nostre speranze. Prode Generale, voi riportate il nostro amore e la nostra riconoscenza.

« Ignoriamo quali saranno le intenzioni del vostro successore a nostro riguardo, speriamo che sarà abbastanza amico della gloria e del proprio dovere per assodare la vostra opera, ma qualunque fosse la sua condotta, noi non possiamo mai dimenticare la vostra ‑ quella moderazione, quella dolcezza, quel carattere franco e leale, quell'animo grande e generoso che vi attirava tutti i cuori.

« Questo linguaggio non è quello della adulazione; siete partito generale, e noi non abbiamo altro ad aspettarci da voi ».

Due anni dopo, quando Championnet era morto, l'istorico Cuoco che già citammo diceva di lui.

‑ O Championnet! tu ora più non esisti; ma la tua memoria riceva gli omaggi dovuti alla fermezza e alla giustizia tua. Che importa che il Direttorio abbia voluto opprimerti? esso non ti ha però avvilito. Tu diventasti allora l'idolo della nazione nostra.

Lo stesso Colletta, poco benevolo pel nostro compatriotta come si è visto, non può fare a meno di scrivere :

« Il richiamo di Championnet fu una grave sciagura per la repubblica napoletana.

Il Generale Championnet ha preso una parte troppo grande negli avvenimenti che raccontiamo ed ha lasciato troppa memoria di sè a Napoli per non esser da noi accompagnato in Francia e seguirlo fino all'estremo della sua gloriosa vita che del resto non doveva essere lunga.

Passando per Roma una nuova ovazione attendeva Championnet; il popolo Romano del quale aveva reso libero il territorio, gli offrì un'armatura completa con la seguente iscrizione.

‑ Al generale Championnet i Consoli della repubblica Romana.

A Bologna il Generale Lemoine rimise a questo nuovo Scipione, che parea salire al Campidoglio per render grazia agli Dei, anzichè scendere nel foro per esservi accusato, una lettera di Barras che isolandosi completamente dal provvedimento preso dai suoi confratelli, proclamava Championnet suo amico, e gli prediceva la felice riuscita della sua disgrazia.

Ma, arrivando a Milano, Championnet fu svegliato a mezzanotte per sentirsi significare dal Generale Scherer un nuovo decreto del Direttorio, che accusava Championnet di aperta rivolta contro il Governo, rivolta che lo rendeva passibile di sei anni di detenzione.

Il redattore di questo Decreto era il Direttore Merlin, che dopo la caduta del POTERE, al quale appartenne, doveva ricominciare la sua carriera negl'impieghi subalterzi setta Bonaparte, e divenire Procurator Generale SOTTO Napoleone.

E’ inutile il dire che il generale Scherer che significava a Championnet il decreto di Merlin, era lo stesso Scherer che sul medesimo teatro delle vittorie del proscritto fu tanto crudelmente battuto dal generale Austriaco Kray e dal generale Russo Souvarow.

Ma nel tempo stesso che Championnet era vittima di questa triste e odiosa misura egli provava una grande consolazione. Joubert, uno dei cuori più devoti alla rivoluzione, una delle anime più pure di quell'epoca, Joubert dava la sua dimissione, apprendendo la messa in accusa del suo collega.

Erasi avuta premura di allontanare Championnet da Napoli, imperocchè erasi affrettato il rinvio dei Commessari civili, ma erasi men premurosi di giudicarlo, lo si ritenne prigioniero o presso a poco in Milano, poscia a Modena, infine a Torino.

Egli abitava la cittadella di quell'ultima città, quando un mattino, lungi fin dove poteva stendersi il suo sguardo vide tutta la strada che conduceva dall'Italia in Francia, coverta di vetture, di carri, di forgoni. Era la fuga del nostro esercito, battuto per l'inesperienza dì Scherer, più che dal genio di Klay e dal coraggio di Souvarow.

La retro guardia dell'esercito vittorioso che diveniva V avanguardia dell'esercito battuto era principalmente formata di fornisori di commissari civili e altri agenti, finanziari che, incalzati dagli austriaci e dai russi, simili agli uccelli di rapina, riguadagnavano di volo la Francia ove andavano a mettere in sicuro il loro bottino.

Era la vendetta di Championnet, ma questa vendetta aveva il suo lato tristo la vergogna della Francia. Tutti quei miserabili fuggivano perchè la Francia era vinta. Poi a questo sentimento, già tanto doloroso, aggiungevasi lo spettacolo ancora più doloroso degl'infelici soldati che a nudi piedi, con gli abiti laceri, scortavano le proprie spoglie.

Egli rivedeva in questi infelici fuggiaschi quelli stessi che aveva condotti alla vittoria, che aveva vestiti, che aveva nutriti, trattati in fine come un padre tratta i proprii figli.

Erano i veterani del suo esercito di Sambra e Mosa.

Cosicchè quando alla lor volta lo riconobbero, volevano porlo alla loro testa e rivolgersi contro il nemico. Eravi in quell'esercito, dotato di un'intelligenza che non hanno gli eserciti del despotismo, il convincimento che se il nemico era vincitore, doveva la vittoria più all'inesperienza dei nostri generali, che al merito dei suoi.

Championnet ricusò di comandare come capo, ma prese un fucile volendo combattere come soldato.

Un suo amico, Blacque, suo difensore officiale, glielo impedì.

Che dirà il vostro amico Joubert quando saprà quel che avete fatto, egli che ha dato la sua dimissione perchè vi si era tolta la vostra spada? Se vi fate uccidere senza giudizio, si dirà che vi siete fatto uccidere perchè siete colpevole.

Championnet si arrese a questi ragionamenti.

Qualche giorno dopo, la ritirata dell'esercito per Torino obbligò il generale Moreau, che era succeduto a Scherer nel comando in capo dell'armata d'Italia, d'inviare Championnet a Grenoble.

Per strano gioco della fortuna, egli ebbe come compagno di viaggio lo stesso generale Mack che a Caserta aveagli portato una spada che non volle ricevere, e lo stesso Papa Pio VI, che la rivoluzione mandava a morire a Valenza.

A Grenoble il processo di Championnet dovea aver luogo.

‑ Si traduce Championnet dinanzi ad un tribunale francese, esclama Maria Giuseppe Chenier alla tribuna dei cinquecento, e senza dubbio per fargli fare ammenda onorevole avendo rovesciato l'ultimo trono d'Italia?

Chiamato il primo come testimonio davanti al consiglio di guerra :

‑ Perchè non chiamate con me, disse il suo aiutante di campo, Romieu, tutti i compagni delle sue vittorie; la loro testimonianza sarà uniforme come la loro indignazione. ‑ Giudici! voi potete essere anticipatamente giudicati da questa sentenza di un celebre istorico, voi potete malmenare, imprigionare, condannare, un uomo onesto, ma siete impotenti a disonorarlo.

Mentre il processo istruivasi, avvenne la giornata del 30 pratile che caccia dal Direttorio Treilhard, Lareveilliére Lepeau, e Merlin per introdurvi Gohier, Roger Ducos, e il Generale Moulin.

Cambacèrès ebbe il portafoglio del ministero della giustizia, Francesco di Neufchàteau quello dell'interno e Bernadotte quello della guerra.

Bentosto la procedura cominciata contro Championnet viene annullata da Bernadotte, suo compagno dell'armata di Sambra e Mosa che gli scrisse la seguente lettera :

« Il Direttorio esecutivo, con decreto del 17 dell'andante mese, vi nomina comandante in capo nell'armata delle Alpi. Trentamila prodi vi attendono impazienti di riprendere l'offensiva sotto i vostri ordini.

« Or sono quindici giorni voi eravate in ceppi; il 30 pratile vi ha liberato, l'opinione pubblica ha oggi accusato i nostri oppressori, dimodochè la vostra causa è divenuta per così dire nazionale; potevate desiderare una sorte più felice?

« Altri trovavano nella rivoluzione il pretesto per calunniare la repubblica: ad uomini come voi l'ingiustizia è una ragione di più per fargli amare maggiormente la Patria: si è voluto punirvi per aver rovesciato dei troni, vendicatevi sui troni che ancora minacciano la forma del nostro governo.

« Andate amico mio, covrite di nuovi lauri le vestigia delle nostre catene, cancellate o meglio conservate le onorate cicatrici, non è inutile alla libertà porne incessantemente sotto i suoi sguardi gli attentati del dispotismo. Vi abbraccio come vi amo

 

BERNADOTTE.

 

Championnet partì per l'armata delle Alpi; ma la cattiva fortuna aveva avuto il tempo di prendere il disopra. Joubert, consacrando alla giovane sua moglie quindici giorni preziosi, giunge troppo tardi al suo posto, perde la battaglia di Novi e si fa uccidere.

Men felice, Championnet perde quella di Fossano, e in vece di farsi uccidere come il suo amico, cade infermo e muore dicendo:

Perchè non ho potuto farmi ammazzare come Jouhèrt ?

Ad Antibo egli rese l'ultimo sospiro, il suo corpo riposa nel forte quadrato: le spese dei funerali furono fatte dal suo Stato Maggiore.

Il denaro che si trovò presso di lui non era sufficiente per la sua sepoltura.

 

 

 

 

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