I  BORBONI  DI  NAPOLI

 

Di Alexandre Dumas

 

Libro III 

 

 

CAPITOLO VIII

 

Ci si permetta di far qui rilevare un certo numero di errori commessi dagli storici nostri predecessori ; cioè, da Colletta, Cuoco, e Botta, che inciamparono in tali errori, perchè, invece di fare individualmente le sue ricerche, ognuno fidò in quelle fatte dal suo predecessore e copiò l'altro.

Si tratta semplicemente dell'itinerario tenuto dal Cardinal Ruffo, nella marcia verso Napoli e delle città rovinate e messe a sacco da lui e dal suo esercito, durante questa marcia.

Abbiamo detto con franchezza la nostra opinione relativamente ai Borboni ed i Capi Sanfedisti, onde non farei accusare di parzialità rispetto al Cardinal Ruffo. La nostra parzialità consiste a non volere che l'uomo di genio, di semplice audacia se volete, che ha concepito il piano della ristaurazione di Ferdinando 1, che ha varcato lo stretto con tremila ducati in denaro contante, un luogotenente del Re, un segretario, un cappellano, un cameriere, un domestico, che ha messo il piede a Catona, in mezzo a trecento insorti, che ha traversato tutta la Calabria, combattendo per una causa ingiusta, ma, in fine, combattendo tuttavia, che è arrivato a Napoli con 60,000 uomini, che fino all'ultimo momento ha difeso la capitolazione firmata da lui, e che è caduto in disgrazia del Re, che doveagli il proprio regno, per aver propugnati contro Nelson, Acton e Carolina, i dritti dell'umanità, non venisse trattato come un Pronio, uno Sciarpa, un Mammone, un fra Diavolo. La calunnia è sempre calunnia su qualsiasi individuo essa si eserciti, ed un istorico, il quale narra la vita di un uomo, che ha commesso errori o delitti, non ha il dritto di aggiungere un errore od un delitto, agli errori e ai delitti commessi.

Ora, se i nostri lettori voglion giudicare del sentimento di lealtà che ci guida, si diano la pena, non di fare quello che noi abbiamo fatto, cioè, seguire ora a piedi, ora a cavallo, lo stesso itinerario del Cardinale, raccogliendo le sanguinose tradizioni da lui lasciate nel suo passaggio; ma lasciando da banda la Corte del Regno delle Due Sicilie, seguire senza pena la marcia dell'esercito Sanfedista, di città in città e quasi giorno per giorno: essi resteranno allora convinti, al par di noi, che gl'istorici che ci hanno preceduti sono in errore, e se sono convinti che ogni errore è pregiudiziale in istoria, ci saranno grati di aver sparso un raggio di luce, là ove eravi l'eclisse, se non di buona fede almeno di verità.

Ora, ecco l'itinerario seguito dal Cardinale:

Da Catona, d'onde lo vedemmo partire, il Porporato si recò, seguendo il littorale, a Palmi, ove emanò questa ordinanza:

« Considerando che le leggi della guerra proibiscono di lasciar passare ai paesi nemici soccorsi di qualunque sorta o natura, ordiniamo che tutte le rendite dei proprietari che sono nei paesi occupati dai Francesi, venghino sequestrate e versate nella cassa militare, dichiarando che i proprietari ne saranno indennizzati sul Tesoro Pubblico ».

All'uopo, il Cardinale nominò una commissione amministrativa, sotto la presidenza del Consigliere Fiore, e per dare un esempio d'imparzialità, volle che il primo sequestro fosse messo sulle rendite di suo fratello il Duca di Bagnara che abitava Napoli; questi sequestri divennero una sorgente inesauribile di denaro, attesochè tutti i grandi proprietari della Calabria, dimoravamo a Napoli; e il versamento moltiplicavasi giornalmente con la vendita delle derrate e particolarmente con quella dell'oglio.

Da Palmi, pure, il Cardinale mise fuori il seguente proclama.

 

« Fabrizio Cardinal Ruffo.

 

« Vicario Generale del Regno di Napoli.

« Bravi e coraggiosi Calabresi,

« Un'orda di cospiratori settari dopo aver rovesciato in Francia altare e trono, dopo aver con sacrilego attentato, fatto prigione ed asportato in Francia, il Vicario di GESU' CRISTO, nostro S. Pontefice Pio VI... dopo avere con perfidia e tradimenti fatto sbandare il nostro esercito, invadere e ribellare la nostra Capitale e le provincie ; sta facendo tutti i sforzi per involarci (se fosse possibile) il dono più prezioso del Cielo, la nostra Santa Religione, per distruggere la divina morale del vangelo, per depredare le nostre sostanze per insidiare la pudicizia delle vostre donne.

 « Bravi e coraggiosi Calabresi! soffrirete voi tante ingiurie? Valorosi soldati di un esercito tradito, vorrete voi, lasciare impunita la perfidia che, oscurando la vostra gloria, ha usurpato il Trono del nostro legittimo Monarca? Ah no! Voi già fremete di giusto sdegno e siete già disposti a vendicare le offese fatte alla Religione, al Re, alla Patria.

« Olà dunque riunitevi sotto lo stendardo della Santa Croce, e del nostro amato Sovrano. Non aspettiamo che il nemico venga a contaminare queste nostre contrade: marciamo ad affrontarlo, a respingerlo a discacciarlo dal nostro Regno, e dall'Italia, e a rompere le barbare catene del nostro Santo Pontefice.

« Il Vessillo della S. Croce ci assicura una completa vittoria.

« E voi traviati Patriotti, ravvedetevi e date segni non equivoci della vostra resipiscenza.

« La clemenza del nostro Re accetterà benignamente le sincere dimostrazioni del vostro ravvedimento. Guai però a Voi, se sarete ostinati: il fulmine della giustizia vi arriverà prima che nol credete.

 

« Dal quartier Generale in Palmi .... febbraio 1799,

F. Cardinale Ruffo, Vicario Generale.

 

Siccome non eranvi stamperie, questo proclama fu pubblicato manoscritto. I monaci ed i preti che seguivano l'esercito, ne fecero in due giorni tante copie per quante bastavano ad innondare le Calabrie.

 

Si partì seguendo la strada di Palmi e Monteleone: ma a Rosarno si ricevette un corriere, annunziando che i Patriotti di Monteleone, avevano la notte precedente abbandonata la città senza alcuna collisione coi Borbonici.

Al disotto di Rosarno, sulla riva dritta del fiume Mesina, la strada si biforca, uno dei due biforcamenti segue la spiaggia del Mare e mena a Tropea, l'altro s'ingolfa nella montagna e per Mileto va a Pirro.

Il Cardinale dette convegno a parte delle sue truppe in Mileto. Egli vi pervenne a gran pena sotto una pioggia dirotta, e per una via infossata, nella quale gli uomini entravano nel fango e la creta sino alle ginocchia e l'artiglieria sino al barile delle ruote.

Grazie al sig. Francesco Lattari, il dotto Direttore degli Archivi di Napoli, possiamo pubblicare una lettera mandata al Cavaliere Giovanni Acton, da Mileto, dove il Cardinale si trovava; questa lettera è scritta metà dal Cardinale e metà dal segretario di lui; il Cardinale scriveva di rado essendo il suo carattere tremolante e difettoso.

 

« Eccellenza

« Son giunto in Mileto, dove, secondo l'appuntamento, sono con piacere concorse quelle popolazioni più fedeli, che erano state da me invitate, quasi tutte con armi, ed ascendono presso ad otto in dieci mila persone. Monteleone, Tropea, Umbriatico e Cortale mi hanno mandato dei deputati. Ho ancora buone notizie dell'Amantea, ma con minor sicurezza. Sento altresì che molti casali vicini a Cosenza, ed altri luoghi sieno in insurrezione contro i ribelli; ma se ne dubita. E’ però necessario che io profitti del momento e m'inoltri per togliere la comunicazione almeno tra Cosenza e la capitale, e di questa con Catanzaro, Cotrone e Squillace. A scanso però del pericolo che questi tre luoghi marittimi possano far progressi alle mie spalle e incuter timori alle vicine popolazioni fedeli, mi sembrerebbe espediente di mandar una fregata con un mortaro contro Cotrone e distruggerla assolutamente per esempio e freno da quella parte. L'impresa può facilmente riuscire con un battaglione solo che colà si mandasse, e come ho detto, con un mortaro. A me non conviene di tornare indietro. Se fossi alla testa di una truppa regolare, non mi ricuserei di fare un tal passo; ma con queste popolazioni non posso arrischiarmi, perchè non intendono, non mi seguirebbero, e si correrebbe pericolo di perdere quello che si è acquistato. Riceva Vostra Eccellenza questo mio suggerimento come un effetto dell'impegno che ho di render servita la Maestà del Re, e, pieno del maggior ossequio, ha l'onore di rassegnarmi. »

 

« Mileto, 26 febbraio 1799 ».

 

« Aggiungo che questo passo [*1] , che è sicurissimo, non solo gioverebbe alla riuscita di mia intrapresa, ma sarebbe ancora un modo di far risorgere il nostro coraggio e quello di tutto il regno, vedendosi che non è abbandonato e che i ribelli saran puniti severamente. In Cotrone non vi ha che tre cannoni di ferro mal montati e peggio serviti, e 200 armigeri che non servono di buona voglia e che non uscirebbero fuori delle mura per tutto l'oro del mondo. Mi pare che si salvasse da Napoli una barca bombardiera ; questa sola basterebbe con una calma e picciolissima scorta per distruggere Cotrone. Sarebbe però meglio che tale ordine non fosse dato che da V. E. originalmente, senza opera di sua segreteria.

Perdoni di nuovo. Aggiungo che pare vero da alcune notizie che Baja è presa dagli Inglesi e che Moliterno si batte da S. Elmo contro i Francesi. Quantunque non ne sia certo, ho motivo di credere verisimile questa seconda parte, avendo parlato con qualcuno, che dice aver veduta sventolare la bandiera del Re, e che i Francesi volevano mandare Moliterno a Parigi. Certo è che i Giacobini di Provincia sono estremamente impauriti. Spero presto essere a Cosenza e mi vado organizzando; ma senza il principio di truppa si fa poco progresso. Non ho di truppa un poco regolare che 400 uomini circa. Ho fatto colonnello il tenente colonnello De Settis, che era stato chiuso in Tropea, e prima rubato, quando ritornava da Napoli. Supplico S. M. a confermargli l'avanzamento, giacchè in gran parte gli debbo la resa di Tropea, ed è buon ufficiale, che ha perso un fratello nelle ultime sventurate azioni delle armi di S. M. Perdoni la cattiva maniera di scrivere, e di nuovo sono con infinito rispetto e stima.

 

Devotissimo Servitore vero

 

F. CARDINAL RUFFO [*2] .

 

Rinforzato da un numero considerevole di volontari il Cardinale continuò la strada di Monteleone, l'antica Hypponium poscia Valentia; Monteleone sorge in mezzo della pianura, sopra di una collina sormontata da un vecchio Castello normanno, innalzato da Ruggero, secondochè assicurasi. Da questo Castello si scorgono magnifici orizzonti: all'est montagne coverte di neve, all'ovest rive di mare, isole, e vulcani fumanti.

Monteleone era un'importante posizione militare; al centro della Calabria ulteriore: essa riunisce, in un perimetro di quindici leghe, più di due centomila abitanti. Inoltre essa, al momento in cui vi entrava il Cardinal Ruffo, era la sede della Tesoreria provinciale, e di tutta l'amministrazione regia.

A Monteleone eransi riuniti tutti i patriotti dei paesi circonvicini, e aggiunti a quelli di Monteleone, formavano una forza considerevole; ma vedendo riunirsi a Mileto un numero di borbonici dieci volte superiore ad essi, non vollero aspettare la marcia del Cardinale, alla quale non ardivano opporsi, e come gli era stato detto a Rosarno, essi avevano effettivamente tutti lasciata la città durante la stessa notte per ritirarsi a Catanzaro.

Appena partiti i patriotti, i Borbonici di Monteleone si misero in grado di ricevere convenevolmente il Cardinale Ruffo: avevano abbattuti gli alberi della libertà, ed elevate al loro posto delle croci, sciolta la Guardia Civica, e abolito il municipio.

Gli antichi sindaci rimessi in posto, vennero all'incontro del Cardinale, e, seguiti da una parte della città gli recarono un grazioso dono di dieci mila ducati e undici cavalli sellati. La deputazione trovò il capo dell'esercito Sanfedista a Mileto ove i 10,000 ducati furono immediatamente versati nella Cassa militare, e gli undici cavalli messi a disposizione dei Cavalieri.

Il venerdì I° marzo, il Cardinal Ruffo fece la sua entrata a Monteleone, e prese alloggio al palazzo Ducale, ove fu ossequiato dal clero e ricevuto da D. Giovan Battista delle Noci, Intendente Generale del Duca di Monteleone; le truppe si accasermarono nei conventi e nelle case dei particolari, eccetto due compagnie che alloggiarono intorno al Palazzo del Cardinale.

Qualunque cittadino che non volle seguire la spedizione dovette rendere le sue armi.

La tranquillità fu un momento turbata dal fatto che andremo a dire. Un sanfedista appartenente ad una compagnia alloggiata in un convento dì Cappuccini, per combinazione tirò il tiratoio di un forziere, appartenente ad uno dei padri e lo rinvenne pieno di coccarde tricolori. Era questo sufficiente per fare saccheggiare il convento e derubare la chiesa e si capisce bene che a gente di tal fatta non mancavano pretesti. Gran chiasso si sparse ben tosto per la città, le grida a morte a morte echeggiarono. Il Cardinale uscì dal palazzo alla testa della truppa di linea, facendosi precedere da due pezzi di cannone, con le miccie accese, a questa vista tutto venne in chiaro, e si seppe la causa del tumulto; il Cardinale ordinò allora che il Cappuccino, si conducesse in sua presenza, e dopo accurate indagini, si seppe che uno scolaro era andato a visitarlo, aveva profittato di un momento di sua assenza e messo nel tiratoio di lui quelle coccarde divenendogli importune allo avvicinarsi del Cardinale. Il frate venne rilasciato, tre banditi che profittando del tumulto involarono i vasi sacri della chiesa, furono sferzati ai quattro angoli della città.

A Monteleone, il Cardinale si occupò dell'organizzazione del suo esercito; la sua cura principale era di formare un bel corpo di truppe regolari al più presto possibile.

Cercava perciò di separare dalle masse i soldati e i bassi uffiziali del vecchio esercito.

Con questi soldati messi da parte, ed i miliziotti della provincia, formò tre battaglioni di 600 uomini ognuno dei quali si comprese il primo reggimento di Real Calabria ulteriore: appena la metà dì questo reggimento era armata di fucili di munizione, ma gli altri furono armati con fucili da caccia scelti, di Calabria, provenienti dal disarmo del paese: in mancanza dì uffiziali di linea, si diedero loro uffiziali delle milizie provinciali.

Il Colonnello di questo primo reggimento fu il signor de Settis, e il Tenente Colonnello D. Francesco Carbone.

Eravi inoltre un gran numero di soldati di cavalleria che marciavano a piedi, col grosso della truppa; si cominciò a dar loro gli undici cavalli offerti dalla città di Monteleone, e con gli altri che si raccolsero nelle provincie, si formò un primo squadrone di cavalleria sotto il comando del luogotenente Francesco Perez, avendo per secondo D. Francesco de Luca.

Alla mancanza di carabine si supplì con fucili di disarmo che tagliavansi alla lunghezza dei moschettoni, e alla mancanza di sciabole con lunghe spade spagnuole, il cui uso fu mostrato dal Cardinale a quei Cavalieri, che si persuasero essere quelle in una carica, più vantaggiose a puntare che a tagliare. Molti ancora s'armarono di lunghe picche, che portavano poggiate all'arcione della sella, colla punta in direzione della testa del cavallo.

I soldati di artiglieria eransi riuniti come gli altri, ma nessuno uffiziale di questo corpo essendosi presentato, essi seguitavano ad esser comandati dal caporal Rosa.

Del resto tutta l'artiglieria consisteva in due piccoli cannoni, ed in due obici venuti da Messina, ai quali il Cardinale aggiunse due altri pezzi che trovò a Monteleone.

Non essendovi alcuno elemento per formare un corpo del genio, il Cardinale nominò ingegnieri dell'esercito due architetti civili, D. Giuseppe Vinci di Monteleone, e D. Giuseppe Olivieri di Sinipoli; si diedero loro due compagnie di zappatori scelti fra i contadini, abituati a lavorare alla terra: avevano per missione rendere le strade praticabili.

La sera dell'arrivo a Monteleone, si recò al Cardinale la valigia contenente le lettere della posta di Napoli, ritardata da oltre una settimana ; queste lettere furono aperte e lette.

Una lettera diretta, da un membro del governo provvisorio a un Calabrese, gli annunziava che fin dal tre febbraio, la spedizione del Cardinale era conosciuta a Napoli.

Questa nuova rese il Cardinale più circospetto di quanto l'era già, perchè ciò provava che i repubblicani avevano una buona polizia.

Il domani, il Cardinale partì dividendo il suo esercito in tre corpi, ritenne presso di sè il primo corpo, con le truppe di linea e l'artiglieria.

Fece marciare il secondo verso le montagne di Girifalco, per minacciare la città di Catanzaro, ove fece intromettere proclami, collo scopo d'invitare i Catanzaresi a seguire l'esempio di Monteleone.

In fine, il terzo capo si diresse alla volta di Cosenza, passando per Nicastro.

La presa di Monteleone fu un gran fatto; ma più morale che materiale: in favore del Cardinale, Monteleone era un'eccellente posizione, massime per le sue risorse commerciali, e pel gran numero di famiglie ricche che l'abitavano ; cosicchè tutti i paesi circostanti a Monteleone seguirono il suo esempio, eccetto Catanzaro e Cotrone.

Ciò che aveva determinato il Cardinale a partire così subito, fu una barca proveniente da Policastro.

Questa barca portava un uomo, che assumendo il carattere di deputato veniva ad annunziare, che, alla voce della spedizione del Cardinale in Calabria e dei progressi che vi faceva ogni giorno, tutti i paesi situati sul Golfo erano insorti, avevano abbattuti gli alberi di libertà, ed eransi riuniti alla causa del Re: egli soggiungeva che tutti gli altri paesi del littorale, fino al Cilento, avevano l'intenzione di fare altrettanto, e lo avrebbero già fatto se non avessero temuto i repubblicani; chiedevano quindi al Cardinale istruzioni, armi, e munizioni.

Nulla poteva giungere più piacevole di questa notizia al Cardinale Ruffo. L'insurrezione del Cilento impediva naturalmente la marcia della truppa che gli si voleva mandare incontro. In conseguenza di che, scrisse nel medesimo istante a monsignor Ludovici, vescovo di Policastro, nominandolo suo plenipotenziario, e incaricandolo di sollevare tutto il paese della diocesi, come ancora quelli sui quali sperava avere influenza alcuna.

Poscia, senza perder tempo, marciò sul Pizzo, l'antica Nopitia, che doveva nel 1815, guadagnarsi una fama così sanguinosa, per la morte di Gioacchino Murat, morte per la quale venne ricompensato, col titolo di Fedelissimo, datogli da Re Ferdinando.

Mentre che il cardinale era al Pizzo, venne nelle vicinanze arrestato il generale D. Diego Naselli e fu condotto al cardinale. Era lo stesso, come si rammenta, che fece quella bella campagna di Toscana, terminata senza tirare un colpo di fucile, e che aveva ricondotti i suoi soldati a Napoli e li aveva lasciati disarmare dai lazzaroni.

Il generale era accompagnato dai suoi due aiutanti di campo, l'uno dei quali fu dal commissario Fiore riconosciuto per aver fatto parte del complotto Logoteta.

I sanfedisti volevano fucilarli ma il Cardinale li trasse dalle loro mani, e li mandò prigionieri tutti e tre nella fortezza di Messina.

Si rinvennero al Pizzo due pezzi di cannone che furono riuniti all'artiglieria dell'esercito, trovatasi in questo modo munita di otto pezzi.

Dopo un giorno di dimora al Pizzo, il Cardinale si diresse su Maida, seguendo sempre il littorale. Egli giunse in questo fondo della casa Bagnara ad ora già inoltrata e prese alloggio nell'abitazione di suo fratello.

Il domani arrivò a Maida Domenico Acri ufficiale subalterno del tribunale di Catanzaro, che apportava al Cardinale una lettera annunziandogli la controrivoluzione operatasi in questa città.

La città era in potere dei realisti.

La notizia era di tale importanza, che il Cardinale spedì subito dei corrieri ai suoi due corpi d'armata, arrecando ad essi l'ordine di riunirsi sulla marina dì Catanzaro.

Egli si pose in marcia nel medesimo istante, verso la città col primo corpo.

Ma passando nel comune di Borgia, s'imbattette in una deputazione della città di Catanzaro che veniagli incontro.

Essa componeasi del capo della ruota del tribunale, D. Vincenzo Petroli, del Cavaliere D. Antonio Perruccoli, dell'avvocato D. Saverio Landari, D. Antonio Greco e D. Alessandro Nava.

Saverio Landari prese la parola, ed espose al Cardinale, in tutta la loro semplicità, i seguenti fatti.

Che quantunque i realisti avessero uccisi, messi in fuga e arrestati tutti quegli sospetti di appartenere al partito repubblicano, la desolata città di Catanzaro non cessava di nuotare nella più orribile anarchia, fra gli eccidi, i saccheggi, e le vendette private.

Il Cardinale, perciò, era supplicato in nome di tutti i buoni cittadini, di arrecare al più presto possibile soccorso alla città.

Il Cardinale che non reputava mica prudente avventurarsi in quel garbuglio senza essere bene accompagnato, ma che nonostante voleva arrecare un pronto rimedio a tutti quegli assassini, chiese come nomavasi il Capo del popolo.

Gli si rispose che chiamavasi D. Francesco Giglio.

« La guerra come la fate voi bisogna farla contro i Giacobini ostinati che si fanno uccidere o prendere colle armi alla mano; e non contro quelli che pel passato furono costretti ad unirsi ai ribelli, sopratutto se si pentono, e si rimettono alla clemenza del Re, e tanto meno per conseguenza, contro pacifici cittadini.

« Per la qual cosa, vi ordino, e sotto la vostra responsabilità, di fare immediatamente cessare l'eccidio, il saccheggio la vendetta privata, infine ogni via di fatto. »

Quest'ordine fu nel medesimo istante spedito e accompagnato da una scorta di cavalieri, e quantunque il Cardinale sapesse che qualcheduno dei membri stessi della deputazione era appartenuto alla democrazia, e specialmente il Capo rota Petroli, essendo stato del tribunale provvisorio e per conseguenza uno di quelli che avevano messo a prezzo la sua testa, quella del Fiore e quella di Carbone, pure ricevette amichevolmente i cinque deputati pregandoli a marciare al suo fianco, onde potesse lungo il camino avvalersi delle loro delucidazioni.

Poscia riprese alla volta di Catanzaro la sua marcia un istante interrotta.

La vanguardia giunta al fiume Corace, l'antico Crotolus, dovette per mancanza di ponti, varcarlo su carri, e a nuoto ; mentre che la truppa eseguiva questa operazione, il Cardinale, vedendo i ruderi di un antico edifizio greco, vi si avvicinò per istudiarli.

Questi ruderi veggonsi oggi ancora, alla Roccellata e sono quelli di un tempio di Cerere, distante una lega da quel luogo, e alla foce del Corace vi sono altre rovine: quelle dell'antica Amphissum. Il celebre Cassiodoro primo console, e ministro sotto Teodorico, re dei Goti, morì all'età di quasi cento anni in un ritiro che domina tutto quel paesaggio, e nel quale scrisse l'ultimo libro del suo Trattato dell'anima.

Il Cardinale passò il Corace, dopo di tutti, e si fermò alla marina di Catanzaro, ridente campagna, piena di ricchi casini ove le famiglie nobili della città hanno l'abitudine di passare la stagione invernale.

La marina di Catanzaro non offrendo mica al Cardinale luoghi coverti per alloggiare tutta la sua truppa e le piogge d'inverno venendo giù con quella abbondanza particolare alle Calabrie, egli decise spedire una parte del suo esercito a fare il blocco di Cotrone, ove la guarnigione regia aveva preso servizio con i repubblicani, e dove eransi raccolti i patriotti fuggitivi di tutta la provincia, e dove ancora erano approdati, sopra un bastimento proveniente dall'Egitto, trentadue ufficiali subalterni di artiglieria, un colonnello ed un chirurgo francese.

Il Cardinale adunque distaccò dal suo esercito duemila uomini di truppa regolare, e specialmente le compagnie di Giuseppe Spadea, e di D. Giovanni Celia; a queste due compagnie furono aggiunte due altre compagnie di linea con due cannoni ed un obice: tutta la spedizione fu messa sotto gli ordini del Luogotenente Colonnello, Perez de Vera; vi si aggiunse come ufficiale parlamentario, il capitano Dandano di Marcedusa; infine un bandito della peggiore specie, ma che conosceva mirabilmente il paese, ove aveva esercitata la professione di ladro, fu incaricato della importante funzione di guida dello esercito.

Il bandito nominavasi Panzanera; era illustrato da dieci o dodici omicidi, dei quali ricevette l'assoluzione dal Cardinale, in grazia dei servigi ch'egli poteva rendere.

La spedizione si mise in cammino e il Cardinale restò per riorganizzare Catanzaro.

Considerando che in simili circostanze, ed esso stesso era un esempio palpante di questa verità, gli uomini più influenti sulle popolazioni, erano gli ecclesiastici, nominò Monsignor Varano, Vescovo di Bisignano, che era venuto a presentargli i suoi omaggi, capo temporaneo della provincia, con facoltà di scegliersi per gli affari giudiziari uno o più assessori legali.

Poscia, per comandante militare provvisorio dipen­dente dal nuovo Preside, costituì D. Francesco Giglio, che incaricò della polizia della provincia.

 

L'antico Preside di Catanzaro, D. Antonio Winspear, che seguiva l'esercito, ricevette l'ordine di ritornare a Messina ed attendervi le risoluzioni a suo riguardo. Gli sbandati e gli avventurieri che seguivano l'armata e che col pretesto di uno zelo eccessivo, compromettevano la tranquillità pubblica, ebbero ordine di prestare presso l'Esercito Cristiano, tal'era il nome che davagli il Cardinale, il servizio di gendarmi.

Relativamente ai magistrati del Tribunale che per salvarsi dalla furia popolare, eransi da sè stessi costituiti prigionieri, fu deciso che rimarrebbero in carcere fino a quando sarebbe esaminata la loro condotta.

In fine, in espiazione degli eccessi commessi a Catanzaro durante la ribellione, la città fu imposta a pagare una somma di quaranta mila ducati e fornire cinquanta cavalli sellati, e duecento paia di scarpe.

Questa contribuzione, in seguito fu diminuita alcun poco, per preghiere del nuovo Preside, signor Varano.

I Patriotti fuggitivi o nascosti nei dintorni, vennero ammessi a transazioni particolari proporzionale alle loro azioni.

I cinque Deputati della città di Catanzaro che il Cardinale aveva incontrato in cammino vennero elevati alle seguenti cariche :

Il Capo ruota, D. Vincenzo Petroli, fu chiamato a fare interinamente le funzioni di auditore dell'esercito.

Gli avvocati D. Saverio Landari e D. Antonio Greco furono nominati assessori, affinchè uniti al consigliere de Fiore, decidessero definitivamente le cause di appello in ultima istanza.

Lo stesso assessore Greco venne destinato a difendere i rei di stato, presso la delegazione straordinaria del consigliere de Fiore.

L'Avvocato D. Alessandro Nava fu nominato Procuratore dei detti rei di stato presso la stessa commissione.

Il Cavaliere Perruccioli fu nominato Commissario dei viveri, ed ebbe ordine raccogliere sollecitamente pane, biscotti, farina, e trasportare il tutto sopra dei carri.

Regolati in questo modo gli affari a Catanzaro, dovevansi fare tre giorni di cammino lungo il mare senza passare per alcun luogo abitato. Il commissario Peruccioli riunì perciò un certo numero di carri carichi di pane, di biscotti, di vino di formaggi, di farina, e il Carnale ordinò di mettersi in marcia su Cotrone.

In sul cadere del primo giorno, si arrivò sulla sponda del fiume Trocchia, che si trovò gonfio per le pioggie e la liquefazione delle nevi.

Durante il passaggio che si effettuò con grandi difficoltà, e per conseguenza con gran disordine, il commissario dei viveri, e i viveri, sparirono con tutta la gente messa sotto i suoi ordini.

Nominato la vigilia erasi probabilmente affrettato di far fortuna.

Solo, durante la notte, e allo arrivo dell'esercito nel piccolo villaggio della Calabuiata, la disparizione dì Perruccioli e dei suoi viveri fu nota a tutti.

La notte si passò senza mangiare.

Il domani si trovò un magazzino pieno di ottima farina, e delle mandrie di porci mezzo selvaggie, quali s'incontrano ad ogni passo nelle Calabrie: questa doppia manna caduta nel deserto fu convertita in zuppa col lardo. Il Cardinale ne mangiò come gli altri e la trovò eccellente. Alla Calabuiata, un corriere arrecando lettere della Corte, arrivò, accompagnato dal marchese Taccone incaricato per ordine del generale Acton di seguire l'esercito cristiano, come Tesoriere del detto esercito.

Non appena il Cardinale lo scorse, gli domandò se i cinque cento mila ducati, smarriti durante il suo viaggio da Napoli a Messina, eransi ritrovati.

Taccone allora, per giustificarsi della ricusa fatta di questi 500,000 ducati al Cardinale delegati dal Re su di lui, aprì il suo taccuino per prendervi un documento, ma il Cardinale vedendo nel taccuino molte carte, e rammentandosi di quell'attivo spionaggio che eragli stato segnalato fra Napoli e Palermo, strappò il taccuino dalle mani di lui e mettendolo nella propria saccoccia, gli ordinò di ripartire, nel medesimo istante, per Messina.

Partito Taccone, il Cardinale consultò le carte.

‑ Tutte riguardavano spese secrete autorizzate da Acton e pagate dal Tesoriere ‑ Allora, dice lo storico della vita di Ruffo, il Cardinale si convinse che il più gran nemico dello Stato e del Re era Acton, per la qual cosa, spinto da un estremo zelo, scrisse al re rimettendogli le carte colte da lui nel portafoglio del Tesoriere: « La presenza del generale Acton compromette la sicurezza di Vostra Maestà e della famiglia Reale ».

Sacchinelli che narra questo fatto e che era in quell'epoca, segretario del Cardinale e fu poscia suo storico, non potette soprendere altro che questa frase al passaggio, la lettera del Cardinale al Re essendo stata scritta tutta di proprio pugno, e non essendo rimasto che un momento solo alla segreteria, tale era la premura che aveva il Cardinale di mandarla al Re.

Ma il certo si è, che i cinquecentomila Ducati non si rinvennero affatto.

Finalmente, sul mattino del Sabato, 23 Marzo, parve che il fiume si fosse abbassato abbastanza, per poterne tentare il passaggio. Il Cardinale vi lanciò risolutamente il suo cavallo e lo traversò senza nessun accidente benchè avesse l'acqua fino alla cintola. Tutto l'esercito lo valicò dopo di lui. Solo tre persone furono trascinate dalla corrente, e salvate dai marinai del Pizzo.

Al momento che mettevasi il piede sulla riva opposta, giunse al Cardinale la notizia che la città di Cotrone era stata presa d'assalto, il 22 Marzo; questa notizia venne accolta con entusiasmo e fra le grida di Viva il Re, Viva la Religione.

Il Cardinale proseguì il suo cammino a marcia forzata, e passando per Cutro, giunse il 25 marzo, seconda festa di Pasqua, a Cotrone.

Fermiamoci qui, perchè è qui che crediamo dover dimostrare l'errore del quale accusiamo Colletta.

Si è veduto con quale puntualità, noi, a rischio di essere tacciati di inetti, nella nostra narrazione, seguimmo in tutti i suoi minuti particolari, la marcia del Cardinale attraverso la Calabria, rilevando tutte le tappe, e constatando con date precise, il giorno d'arrivo, il giorno di partenza, e le operazioni compite, durante le fermate nelle città, o sotto le loro mura.

Ora, lasciamo parlar Colletta, affinchè i nostri lettori possano apprezzare la leggerezza del racconto di uno scrittore, reputato serio e nel quale attingono tutto gli altri scrittori: ci dice, nel suo libro IV, paragrafo XV:

« Il Cardinale, benedicendo ad alta voce le armi, progredì, non mai combattendo, sempre trionfatore, per Monteleone e Cutro sopra Cotrone. »

Gettate lo sguardo sulle coste e vedrete che è impossibile andare da Monteleone a Cotrone, senza passare per Catanzaro di cui Colletta non parla neanco.

E' vero che ne parlerà or ora, ma troppo tardi.

« Cotrone, città debolmente chiusa con piccola cittadella sul mare Jonio [*3]  era difesa dai cittadini e da soli trentadue francesi che venendo d'Egitto si erano là riparati dalla tempesta; ma comunque animoso il presidio, scarso di armi, di munizioni e di vettovaglie, assalito da molte migliaia di Borboniani, dopo le prime resistenze domandò patti di resa: rifiutati dal Cardinale, che, non avendo denari per saziare le ingorde torme, nè bastando i guadagni poco grandi che facevano sul cammino, aveva promesso il sacco di quella Città. Cosicchè, dopo alcune ore di combattimento ineguale, perchè da una parte piccolo stuolo e sconfortato, dall'altra numero immenso e preda ricca e certa, Cotrone fu debellata con strage dei Cittadini armati o inermi, e tra spogli, libidini, e crudeltà cieche infinite. Durò lo scompiglio due giorni; e nella mattina che seguì, s'alzò nel campo altare magnifico e croce ornata; dopo la messa che un prete guerriero della Santa fede celebrò, il Cardinale, vestito riccamente di porpora, lodò le gesta de' due scorsi giorni, assolvè le colpe nel calore della pugna commesse, e col braccio in alto disegnando la croce, benedisse le schiere. Dipoi, lasciato presidio nella cittadella, ed ai dispersi abitanti (avanzi miseri della strage) nessun governo e non altre regole che la memoria e lo spavento dei patiti disastri, si partì per Catanzaro altra città di parte francese. »

Come vedesi l'errore è grave, dappoichè non è solo un errore topografico, ma è un errore morale. Far prendere Cotrone che è una ventina di leghe più lontano di Catanzaro, far prendere, diciamo, Cotrone pria di Catanzaro, è cosa inescusabile, presso un uomo, che aveva occupata la carica d'intendente della Calabria ulteriore, e quella di Direttore dei ponti e strade ; ma ciò che è inescusabile bensì, al punto di vista dello storico, è il fare assistere Ruffo ad un'assedio che non ha diretto, e di fargli benedire le stragi, alle quali non assisteva, imperocchè come lo vedemmo, egli seppe sulle sponde del fiume Trocchia, il 23 marzo, la presa di Cotrone e non vi entrò che il 25.

Diremo or ora, come fu presa Cotrone, e quali stragi vi si commisero ; ma quanto più le stragi furono terribili, tanto meno lo storico avea il dritto di caricarne la coscienza del Cardinale, il quale entrò il terzo giorno dopo la presa e quando il più forte di queste stragi era già commesso.

Intanto seguiamo, sempre al doppio punto di vista del topografo e dello storico, un errore ancora più straordinario.

Dopo aver presa Cotrone che non prese, Colletta fa partire il Cardinale per prendere Catanzaro, che era presa.

« Giunto a vista (di Catanzaro), dice Colletta, inondando delle sue truppe le terre vicine, mandò ambasciata di resa. Ma Catanzaro sopra poggio eminente, cinto di buone mura, popoloso di 16,000 abitatori, provveduta d'armi e preparata (per le udite sorti di Cotrone) ai casi estremi, rispose ch'ella non mai ribelle.

 

 

 

 

 

 

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 [*1]  Ossia la distruzione di Cotrone.

 

 [*2]         Questo post‑scriptum è di proprio pugno del Cardinale.

 [*3]  Non sappiamo perchè gli storici Italiani confondono sempre il mare Ionio col mare Adriatico.