I  BORBONI  DI  NAPOLI

 

Di Alexandre Dumas

 

Libro III 

 

 

CAPITOLO IX.

 

Abbiamo detto che la spedizione contro Cotrone era affidata al Colonnello Perez de Vera che aveva per parlamentario il Capitano Dardano di Marcedusa, e per guida l'assassino Panzanera.

Vediamo che ne risulterà da questo accozzamento, ma più di tutto, diciamo ciò che era una volta, e ciò che è oggi Cotrone.

Cotrone l'antica Crotone, la rivale e la nemica di Sibari, era la Capitale di una delle più antiche repubbliche della Magna Grecia, nel Brutium; era posta presso al promontorio Lacinium, oggi Capo delle Colonne, celebre quanto Sibari per la mollezza dei suoi costumi. Fu riformata da Pítagora, e diede i natali al famoso atleta Milone, che portava durante 500 passi un bove sulle spalle, lo accoppava con un pugno, e lo mangiava in upn giorno solo; a Democede, il celebre medico, che visse alla corte di Policrate di Samos, questo fortunato tiranno che rattrovava nel ventre dei pesci gli anelli che gettava in mare, e che, dopo la fine tragica di quell'uomo abbastanza felice, condotto in ischiavitù, nella Persia, risalì al colmo del favore per aver guarito Dario, da una lussazione che erasi fatta al piede andando a caccia; e infine, ad Alcmeone, discepolo di Aminta, che scrisse sulla natura dell'anima, sulla medicina, ed il primo anatomizzò gli animali per rendersi conto della conformazione del corpo umano.

Cotrone fu devastata da Pirro, presa da Annibale, e ripresa dai Romani che vi mandarono una colonia.

Oggi dell'antica Cotrone non resta che una specie di borgo, il quale non ha neanco conservato il nome del suo antenato; ha un piccolo porto, un Castello sul mare, qualche avanzo di fortificazione, e muraglie, per le quali va annoverata fra le piazze forti.

La guarnigione regia, forte di un battaglione, era stata costretta, al momento della rivoluzione, di parteggiare coi repubblicani: il suo Comandante, Foglia, venne destituito e arrestato come realista : al suo posto, il nuovo governo aveva innalzato il Capitano Ducarne che, supposto complice del complotto Logoteta, era stato tolto dalla prigione ove lo rimpiazzò Foglia.

Oltre a questa guarnigione, della quale non poteasi troppo far conto rattrovavansi a Cotrone un gran numero di patriotti che fuggiti dinanzi a Ruffo e de Cesari si erano rinchiusi nelle sue mura, ove come dicemmo furono raggiunti da 32 francesi provenienti dall'Egitto.

Questi 32 francesi erano la vera forza resistente della città e la prova ne è, che sopra trentadue che erano, quindici furono uccisi.

I due mila uomini, mandati dal Cardinale contro Cotrone si aumentarono lungo il cammino, come un torrente in tempo dì pioggia; tutti coloro che nei dintorni di Catanzaro e di Cotrone potevano portare un fucile, presero questo fucile e si unirono alla spedizione: inoltre nell'aver contezza dell'arrivo dei Sanfedisti, una massa di uomini armati raccoglievansi nei dintorni di Cotrone, tagliando ogni comunicazione con la città e occupando le migliori posizioni.

Nel mattino del giovedì Santo, 21 Marzo, il Capitano Dardano, nominato parlamentario del Cardinale, fu spedito ai Cotronesi; lo ricevettero con gli occhi bendati; mostrò allora le sue credenziali, firmate dal Cardinale; ma forse trasandò qualche formalità d'etichetta da osservarsi in simili congiunture, dappoichè fu preso, gettato in prigione e sommesso a una commissione militare che lo condannò a morte, come briganteggiando contro la repubblica. Il grande uso che noi dovremo fare, nel corso di questa opera del verbo briganteggiare, ci sforza a crearlo pel bisogno del caso.

La medesima commissione condannò per la stessa colpa, e alla stessa pena il luogotenente colonnello Foglia, il Barone Farina e molti altri.

Intanto, le truppe regie vedendo che il loro parlamentario non ritornava, e volendolo liberare, se era tuttavia in vita, o vendicarlo se morto, condotte dalla loro guida Panzanera, avendo con lui, per maggior sicurezza, qualche uomo dello stesso paese, si avanzarono, durante una oscura notte, sotto le mura della città ed occuparono dalla parte del Nord ovest una vantaggiosa posizione. Collocarono poscia al loro centro la loro piccola artiglieria e mostrando solamente le due compagnie di linea, nascosero il resto dei volontarii, cioè, una massa d'uomini, nelle sinuosità del terreno, curando la pioggia che cadeva dirotta, solo per raccomandare a cotestoro di preservarne la cartuccia e la piastrina dei fucili. » Il Tenente Colonnello Perez li tenne colà una parte della notte e qualche ora del giorno del Venerdì Santo; egli gettò a modo di disfida, nella piazza, alcuni obici e alcune granate.

Allo scoppiol di questi obici, al rumore di queste granate, alla vista delle compagnie di truppa di linea, i Cotronesi credettero che il Cardinale, del quale conoscevano la marcia, fosse sotto le loro mura, con un esercito regolare.

Sapeasi che la fortezza, in cattivo stato, non poteva opporre che una mediocre resistenza; fu riunito un consiglio intorno al Tenente Colonnello francese, il quale disse chiaramente che vi erano due partiti a prendere, e che, nella sua qualità di straniero, egli si uniformerebbe all'avviso della maggioranza: o accogliere le offerte che il Cardinale avea fatto fare, per mezzo del suo parlamentario e in questo caso mettere subito il parlamentatario in libertà, o pure fare una rigorosa sortita e tentare di cacciare i Briganti dalle loro posizioni, e mettersi immediatamente sulle fortificazioni della piazza onde aspettare dietro di esse l'arrivo dell'esercito francese che diceasi in cammino verso le Calabrie. Quest'ultimo avviso fu adottato e tutto si preparò per la sortita, dal cui successo, o dalla cui non riuscita, dipendeva la salvezza o la perdita della città.

In conseguenza, quello stesso giorno del venerdì Santo, verso le nove del mattino a tamburro battente, colle miccie accese, i repubblicani sortirono dalla città ; i realisti non presentando che un fronte stretto e dissimulando più di tre quarti delle loro forze, li aspettarono, e lasciarono loro eseguire una falsa manovra, dietro la quale credevano avvilupparli.

Ma, appena dall'uno e dall'altro lato il fuoco d'artiglieria fu cominciato, le masse nascoste, che avevano regolato il loro piano di battaglia, secondo i consigli di Panzanera, si spiegarono a dritta e a sinistra, lasciando al centro, per affrontare i repubblicani, le due compagnie di linea e l'artiglieria; poscia, favoriti dal pendio stesso del terreno, le due ali si scagliarono a tutta corsa, sui fianchi dei patriotti, e, a mezzo tiro di fucile, fecero a dritta e a sinistra una scarica che, in grazia della destrezza dei tiratori, ebbe un terribile risultato.

I repubblicani videro nel medesimo istante l'agguato nel quale erano caduti, e siccome non eravi altro partito da prendere che farsi uccidere al proprio posto, e abbandonare per conseguenza la città al nemico, o con una pronta ritirata, cercare di riparare dietro le mura, s'appligliarono a questo partito, e l'ordine della ritirata fu dato. Però i patriotti avvilupppati com'erano, fecero la ritirata in disordine e sollecitamente, abbandonando i proprii cannoni, e inseguiti tanto da vicino per parte dei realisti, che Panzanera e sei o sette uomini della sua banda, essendo giunti contemporaneamente ai fuggiaschi, alla porta della città, impedirono col fuoco che fecero, che si alzasse il ponte, in modo che i repubblicani non potendo opporsi alla entrata di essi furono obbligati ad abbandonar loro la città e rinchiudersi nel castello.

La porta rimasta aperta e senza difesa, ognuno vi si precipitò, scaricando la propria arma su tutti quelli che incontrava e dovunque portando lo spavento; ma ben presto la massa degli assalitori, si diresse al castello e s'impadronì delle case circostanti dalle cui finestre poteasi far fuoco su di esso.

Ma mentre questa fucileria delle truppe irregolari era già cominciata, le due compagnie di linea e l'artiglieria entravano alla lor volta nella città ; l'artiglieria si mise in posizione e fece fuoco; allora, un obice spezzò l'asta della bandiera repubblicana inalberata in sul castello; nel veder la bandiera patriottica rovesciata, l'antica guarnigione regia, e considerando quello incidente, non come un effetto del caso, ma come una volontà della provvidenza, si ammutinò e rivolse le sue armi contro i patriotti e i francesi.

Essa perciò abbassò il ponte e apri la porta; le due compagnie di linea entrarono tosto nel castello e i fran­cesi ridotti a diciassette, furono, unitamente ai patriotti rinchiusi in quella medesima fortezza ove avevano cer­cato un ricovero.

Il parlamentario Dardano, il tenente colonnello Fo­glia, e il barone Farina, condannati a morte, ma che non avevano subita la pena, furono messi in libertà.

Allora, la città di Cotrone venne abbandonata a tutti gli orrori di uno spaventevole saccheggio, il quale rovinò la città, ma che forse più che alla città, fu fatale all'eser­cito.

Il 25 marzo, cioè dopo un giorno di combattimento e quattro giorni di saccheggio, il cardinale arrivò: egli prese alloggio alla casa Farina, la sola forse che non fosse stata saccheggiata, non solo perchè il barone, era stato condannato a morte dai repubblicani, ma benanco perchè eravi fra i sanfetisti un suo cugino che prese la casa sotto la propria protezione.

Riferiremo le parole dello storico del Cardinale, pre­gando i nostri lettori di aver in esse quella fede che crederanno prestarle.

« Il contento del porporato, egli dice, d'aver acqui­stato una fortezza che gli servisse di punto d'appoggio, venne amareggiato, e per la desolazione di questa città e per la diserzione delle truppe che l'aveano espugnata.

« Tutte le compagnie, spedite dalla marina di Catan­zaro, e tutto quello gran marciar d'uomini armati che si erano uniti nella marcia da quella marina sino a Co­trone, fatto il saccheggio della città, sparirono la notte seguente del sabato Santo ad oggetto di trasportare in sicuro gli oggetti che avevano involato. Non rimasero che le sole due compagnie della linea dentro il Castello, che custodivano i prigionieri. Crebbe infinitamente il distur­bo, sentendo che le altre truppe venute con lui s'erano ammutinate per andarsene. Molti individui erano disgustati per non avere avuto parte del saccheggio; molti altri, perchè abborrivano quelle sciagure, e tutti, perchè annoiati di soffrire la fame e gli altri disagi della guerra in quel rigidissimo inverno. Quanti e quali furono gli affanni di quella tristissima notte de' 25 marzo per persuadere l'ostinazione di quella gente a trattenersi ne' posti! Colle più larghe promesse e lusinghe a stento si conseguì, che quei della milizia regolare e qualche migliaio delle truppe irregolari non si partissero. Tutti gli altri, benchè promettessero di ritornare, vollero ostinatamente andarsene.

« Colla poca forza rimasta, non potea il Cardinale, nè proseguire la sua impresa, nè conservar la provincia, nè garentir la sua persona. Per riacquistare la sua forza, per rimettere ed accrescere l'armata, ecco quali furono le misure prese dal porporato in quei critici momenti.

« Scrisse lettere efficaci, tanto al novello preside di Catanzaro, quanto a tutti i vescovi delle Calabrie, affinchè, mettendo in opera tutto il loro zelo e tutta la loro influenza, procurassero, per mezzo de' parrochi e de' governatori locali, di obbligare a ritornare all'armata gli uomini che si erano partiti dalla medesima e mandarne anche degli altri.

« Ordinò che la squadra di campagna della provincia di Cosenza, venisse a servire nell'armata come facea la squadra di Catanzaro.

« Dispose che tutti i bargelli de' feudatarii venissero a servire a cavallo nell'armata. Con questi bargelli e colle suddette squadre di campagna, venne formato un buon corpo di cavalleria, destinato a fare il servizio di gendarmi, ad impedire le diserzioni.

« Rinnovò gli ordini più premurosi per l'acquisto di cavalli, armi, selle ed attrezzi onde far montare a cavallo i soldati della vecchia cavalleria, che sbandati si erano riuniti in buon numero presso l'armata.

« Prescrisse che tutte le autorità civili con soldo non potessero esercitare la loro carica senza nuova patente, segnata da esso come Vicario generale, e che per dritto di tal patente dovessero dare ciascuno un cavallo sellato all'armata.

« Avvalendosi finalmente delle istruzioni del Re, scrisse direttamente all'ammiraglio russo, Uschakoff in Corfù, per ottenere un corpo qualunque di truppe Russe, promettendo il trattamento convenuto col trattato de' 29 Novembre 1798. Per appoggiare questa domanda, scrisse ben anche al conte di Narbonna, Generale Fritzlar, che stava in Corfù collo stesso ammiraglio; ma, siccome le truppe della marina Russa, in Corfù, non erano in numero da poterne distaccare un corpo per terra, perciò dopo una corrispondenza di quasi un mese, non altro si ottenne che lo sbarco in Manfredonia, di soli 450 soldati.

Per aspettare i risultati delle suddette disposizioni, il Cardinale si fermò in Cotrone, occupandosi al disbrigo di molti affari; ed una delle prime sue operazioni fu di spedire prigionieri in Messina i diciassette francesi rimasti in quel castello.

« Il giorno 27 marzo, giunse in Cotrone, proveniente da Palermo, il Commendatore D. Francesco Ruffo, fratello germano del Porporato, ed assunse la carica della Direzione degli affari della guerra e finanze, col titolo d'Ispettore.

« Il Cardinale gli destinò per aiutante D. Gian Battista Rodio di Catanzaro, il quale, sebbene fosse uno de' fuggiaschi giacobini di quella città, venne nondimeno raccomandato ed assicurato da un suo zio, cavaliere D. Pasquale Governa, molto conosciuto dal Porporato.

Questo Rodio, corrispondendo alla fiducia dimostratagli, servì con tanto zelo ed attaccamento, che meritò in appresso altro destino con titolo di Marchese e col grado di Brigadiere. »

E qui sarebbe il caso di ricordare quella massima del vangelo: ‑ Dio preferisce il peccatore pentito, al giusto che non ha mai peccato

Abbiamo detto che a Calabricata il Cardinale aveva ricevuto lettere da Palermo : ne ricevette altre ancora a Cotrone: mettiamo queste lettere sotto gli occhi del lettore; esse daranno, meglio di quanto lo potrebbero fare tutte le nostre considerazioni, un'idea del carattere di Ferdinando.

D'altronde in questo momento si dibatte fra il re ed i popoli un gran processo innanzi al tribunale dell'istoria.

Non è male che lo storico giudichi sui documenti [*1] .

Togliamo dalle lettere del Re, senza cambiarvi una parola, i frammenti che mettiamo sotto gli occhi dei nostri lettori.

 

Palermo 9 Marzo 1799

 

« Eminentissimo mio. Non so esprimervi la gioia che provammo ieri sera in ricevere le vostre lettere dal 27 dello scorso al 2 del corrente, per le ottime nuove, che in esse mi date della continuazione del felicissimo esito della vostra commissione, e che Sicuramente sarà sempre più protetta, e benedetta dal Signore, per vostra gloria ed onore, e felicità di tutta l'Italia, come vado lusingandomene. Non posso che approvare la savissima condotta che tenete nella vostra marcia e gli editti, che avete stimato di pubblicare, ma ai cari emissari che vi riesce di aver nelle mani, vi prego di non perdonarla affatto e punirli senza pietà per esempio degli altri, quando sia avverato il fatto, perchè la troppa indulgenza usata in questa materia è causa che noi ci troviamo in questo stato...

« Altra notizia non abbiamo, che da un bastimento svedese, il quale proviene da Gallipoli e dice che quella città si è già controrivoluzionata, fuggendo e massacrando i giacobini e che tutta questa provincia era nella massima mestizia mal soffrendo l'attual Governo Repubblicano. Già colla posta avrete saputo la nuova che nel momento della spedizione ricevemmo con una corvetta Inglese, venuta in 17 giorni, da Costantinopoli, del prossimo arrivo delle truppe Russe e Albanesi: Dio faccia che giungano con effetto presto.

« E' molto tempo che soffriamo, e soffriamo davvero, speriamo che il Signore siasi finalmente mosso a compassione di noi e voglia esaudirci e proteggere chi lo serve fedelmente.

« Credetemi sempre

Il vostro affezzionato

 

FERDINANDO B.

 

Il giorno dopo, questa lettera, la quarta che il Cardinale Ruffo avesse ricevuta dal Re era seguita da quest'altra.

10 Maggio 1799

« Caro Eminentissimo, questa mattina quando meno ce lo aspettavamo, è giunto con sei bastimenti Inglesi, provenienti in otto giorni da Maone, il bravo Generale Stewart con circa 2000 uomini di bravissima truppa veterana Inglese, la quale immediatamente ha ripresa la sua rotta per Messina, dove son sicuro non tarderà a giungere, il vento essendole propizissimo; il detto Generale, giovane sommamente bravo, ed esperto nel mestiere, questo stesso dopo pranzo è partito per terra a quella volta; si vede ancora un altro convoglio quale si crede quello che riconduce la truppa che era ad Orbitello che al solito è stato ceduto ai Francesi senza tirare una cannonata.

« In Civitavecchia i forzati continuavano a difendersi, ed avendogli i Francesi unitamente ai Cisalpini, dato l'assalto sono stati bravamente respinti ….Solo il Santo Im­peratore non si vuol muovere affatto, animo dunque che il buon Dio ci ajuterà.

 

F. B.

 

In mancanza di altri soccorsi il Cardinale ne riceveva uno da quei bravi forzati che si batterono con tanto valore dappoicchè l'Imperatore non voleva dir motto. Arrivando alla Cittadella di Messina gl'Inglesi vi trovarono, un migliaio di condannati ai ferri, ladri, assassini, ed incendiatori, che misero in libertà.

Costoro, tanto buoni realisti come quelli di Civitavecchia, si organizzarono immediatamente in bande, ed elessero il più celebre fra essi; questi era un bandito chiamato Panedigrano. Lo vedremo arrivare con i suoi uomini all'armata del Cardinale Ruffo.

Il 28 marzo il re scrisse ancora.

Palermo 28 marzo 1799.

Eminentissimo mio ‑ Vi ho scritto avant'ieri con un'opportuna occasione che era per Messina, e risposi alla vostra ultima lettera del 10. Vi accennai nella medesima trovarsi qui Michele Curtis che era Governatore di Procida da Voi ben conosciuto a Caserta, e ve l'ho nominato nel caso l'avesse trovato a proposito di impiegarlo nelle Province, essendosi sempre con somma fedeltà ed onoratezza condotto. Ora però non è più al caso da questa banda, ma riuscirà forse maggiormente utile dall'altra avendo desiderato il nostro bravo Nelson che l'imbarcassi con Troobrigt destinato al blocco di Napoli, e ad impossessarsi delle Isole per la quale spedizione parte questa sera colla sua divisione composta di cinque Vascelli di 74 ed altri legni minori, in attenzione poi dell'arrivo dei Russi e Turchi, per mostrarsi colla dovuta imponente forza e fare una visita ai Signorini della Capitale...

... Ho la vostra del 14 scritta ad Acton giunta ieri mattina, e mi sono sommamente consolato sentendo che le Vostre faccende continuano ad andare bene, e spero coll'aiuto del Signore e dei nostri Alleati, che andaranno di bene in meglio, solo mi rincresce la troppo dolcezza che usate verso coloro che si sono resi ribelli, e più particolarmente coloro che servivano antecedentemente erano impiegati nel mio servizio. Vi fo perciò mandare ciocchè per punto generale ho stabilito all'occasione della spedizione per le Isole come sopra vi ho scritto; affinchè colla vostra conosciuta prudenza sappiate regolarvi adottandovici le dovute provvidenze. Io sono stato due giorni con mal' di gola, e febbre, per cui ho dovuto cavarmi sangue, ma ora, grazie a Dio, sono quasichè perfettamente ristabbilito. Il Signore conservi Voi in, quello perfetto stato di salute che di tutto cuore vi desidera il Vostro affezionato.

 

FERDINANDO B.

 

Sapendo quindi della presa di Cotrone, il Re scrisse al Cardinale:

 

Palermo li II Aprile 1799.

 

« Eminentissimo mio. Avant'jeri sera ricevei la Vostra lettera del 29 dello scorso, scrittami da Cotrone, dove mi fa pena di sentire il saccheggio dato in quel modo benchè a dir vero se l'avessero ben meritato quegl'abbitanti, colla resistenza fatta, mentre vi replico non ci vuol misericordia con chi dichiaratamente si è mostrato ribbelle a Dio ed a me: Per i Francesi, che ci havete trovato [*2]  spedisco immediatamente l'ordine perchè si mandino a casa loro, che anche io trovo che sia il miglior che si possa fare dovendosi riguardare dov'unque si tengano, come un genere assolutamente impestato. Quanto mi dite esservi stato narrato della morte del preside di Lecce, mi ha fatto inorridire, ma ancora voglio credere che non sia vero, per l'onore della sua famiglia, e che il pover'uomo sia morto di malattia essendo già da gran tempo molto mal'andato. Per l'affare del Principe biondo [*3]  che si era creduto prima mio figlio, e a Voi si era fatto supporre esser il Cavalier di Sassonia, già a quest'ora saprete chi sia e tutta la sua storia, ed ora si trova qui in Palermo ritornato da Tunisi. Due spedizioni già ci sono state fatte dal Comodoor Trow­bridgt [*4] da Procida, la prima giunta qui Domenica, e l'altra avant'jeri: Subbito ho fatto tradurre le lettere da lui scritte a Nelson, che copiate mi affretto a spedirvi acciò siate inteso del felicissimo esito che fin'ora, ha avuto quella spedizione, e le notizie che ho potuto raccogliere fino al giorno dell'ultima data che son certo non vi faranno dispiacere; tutto quanto hanno richiesto si è spedito immediatamente specialmente il Giudice [*5] , non faccendo essi cerimonie, per cui quando riceverete questa, molti casicavalli avranno fatti. Vi raccomando perciò, su questo assunto, di agire in conformità di quanto vi serissimo lo scorso ordinario, tanto io, che Acton, ed egli vi replica in questa, e, colla massima attività: Mazzi e panelle fanno li figlie belle. Stiamo ora, colla massima premura aspettando notizie de' Cari Russicelli; Se quelli vengano presto, spero tra breve faremo la festa e col Divino ajuto, finiremo questa maldetta istoria. Mi rincresce infinitamente che il tempo continui così piovoso, perchè questo sarà sempre d'un grand'intoppo per le Vostre operazioni. Mi dite, che andando avanti verso Matera vi tratterrete nelle terre del Principe nostro a Potenza, quando mai egli ci stasse spero vi ricorderete esser stato uno di que' due famosi eroi, e credo il principale, che trattarono, e conchiusero quel superbo armistizio, e che, per conseguenza non sarebbe stato mai più accorto. La nostra salute è grazie a Dio, perfetta, non piccolo ristorativo essendo le migliori nuove che ogni giorno ci pervengono. Il Signore conservi Voi e benedica sempre più le Vostre operazioni, come indegnamente ne lo prega e ve lo desidera, il Vostro Affezzionato.

 

« FERDINANDO B. »

In capo a molte ed accurate ricerche ci venne fatto procurarci le istruzioni dal Re date a Nelson, le quali copiamo dal manus propria del Re.

 

«Palermo 30 marzo 1799.

 

« Nel ripromettermi ogni felice successo dal blocco di Napoli, che una porzione della squadra britannica sotto i vostri ordini va intraprendere, e di ciò che la medesima va ad eseguire relativamente alle isole adiacenti al Golfo di Napoli, non posso io non testimoniarvi tutta la mia riconoscenza per le facilitazioni che questa spedizione mi ha apprestato, le quali mi provano sempre più quanto io possi contare sull'aiuto ed assistenza del mio buon‑amico ed Alleato il Re della G. B. come sulle ottime Vostre disposizioni a mio pro le quali ho sempre sperimentate in tutte le occasioni. Dopo queste ben dovute dichiarazioni, vengo ad autorizzarvi a riprendere possesso delle suddette Isole in mio Real Nome per mezzo del Comandante Inglese, che avete destinato come Capo di questa importante commissione.

« Per ora questa ripresa di tutte o parte delle Isole suddette desidero che venga eseguita come una misura militare per parte di una porzione della Vostra Squadra, destinata al blocco di Napoli ed abordando la medesima alle dette Isole potrà il comandante Inglese ordinare che venga inalberata la mia Real bandiera ed abbattuta la tricolore, e tutte le altre repubblicane insegne e simboli, ordinando alle rispettive popolazioni di eliggere una deputazione composta di 6 od 8 individui, de' più ben affetti alla mia Real Corona per mantenere il buon'ordine, e la pubblica tranquillità, e ciò insino a che io non sia istruito dello stato delle cose, e dell'esito di codeste prime operazioni per quindi stabilire in dette Isole quel regolare governo che crederà più adatto alle circostanze, aspettando su di ciò quei riscontri che per vostro mezzo il detto comandante mi farà pervenire: Vanno in conseguenza consegnate al comandante suddetto un distaccamento delle mie truppe per presidiare quella parte delle isole che stimerà egli di assicurarvi con una custodia militare.

« Ben volentieri ho poi aderito, alla richiesta fattami dal Degno Cavalier Hamilton, di spedire come comandante da voi destinato il Giudice di Vicaria don Michele de Curtis, che è stato insino al momento della rivoluzione Governatore dell'Isola di Procida, e, che pel suo attaccamento alla mia Real persona s'è fatto un dovere di qui seguirmi. E’ questo un soggetto, che si è sempre comportato con zelo, ed intelligenza e non posso, che lodarmi della condotta da lui tenuta, e siccome l'Isola di Procida dovrà essere il punto più importante per stazionarvisi con una porzione della Squadra che spedite per lo blocco di Napoli, così, sono sicuro che dovrà essere di molto aiuto al comandante Inglese, tanto per l'indicazione de' luoghi che per risapersi da esso lui le persone in Procida che possono meritar fiducia. Potrebbe ben anche venir il de Curtis impiegato con quelle commissioni che il Comandante da voi destinato crederà opportune affidargli tanto nelle altre Isole che pel Regno di Napoli, dove conoscendo i soggetti potrà con facilità aprirsi delle comunicazioni e delle corrispondenze che possono essere di sommo vantaggio alle future operazioni che col favore della divina Provvidenza e subbito che avremo sufficiente forza da sbarco, speriamo di intraprendere. Insino però che la truppa da sbarco che dal mio buon'Alleato io incessantemente aspetto non sia giunta, vi prego di riflettere se non convenisse di avvertire il comandante dell'attual spedizione di non internarsi colla Squadra nell'interno del Golfo di Napoli se non in estremi ed assoluti casi, alfin di evitare che una tale dimostrazione potendo dar coraggio ai miei fedeli nella Capitale s'arrischino ed avventurino questi a formare nel momento la controrivoluzione, ma non essendo essi sostenuti da un numero di truppe da sbarco sufficiente possino rimanere tutti vittime della loro fedeltà verso di me lo che mi sarebbe di infinito rammarico e per la perdita di tanta gente a me fedele e perchè non potrebbe poi questa servirmi all'uopo quando si dovrà tentare in forza uno sbarco per impossessarsi di Napoli, e valersi della sua opera nell'interno per scacciare dalla Capitale, e reprimere i Francesi ed i Ribbelli alla mia Corona.

« Rimetto queste riflessioni Milord, alla vostra consi­derazione sono persuaso che ne sentirete le conseguenze e che colla vostra prudenza e sommi lumi determinerete sull'assunto quella che meglio conviene e darete al Co­mandante da Voi prescelto tutti quegli ordini che cre­derete più adatti a conseguire con sicurezza vera il necessario. Intanto autorizzo inoltre il comandante Trow­bridge a dare, per ora, militarmente nelle isole suddette ed insino a che io non vi ristabilisca un regolare Go­verno tutte quelle altre disposizioni ceh crederà più adat­tate tanto per ripristinare l'ordine che per renderle sicure per ridurle alla mia obedienza ed estirparne i ri­belli e qui rinnovandovi le proteste della mia sincera ri­conoscenza e somma stima prego Iddio che vi abbia nella sua Santa e degna Guardia.

 

«FERDINANDO B. m. p. »

 

Aggiungiamo ora a queste istruzioni le due lettere di Troubridge che ritroviamo nella corrispondenza di Nelson, e che ci diranno a qual punto ne stava la controrivoluzione in quelle Isole.

 

« A Lord Nelson.

 

3 Aprile 1799

 

« I Colori Napoletani sventolano su tutte le Isole di Ponza. Vostra Signoria non ha mai assistito a simile lealtà; il popolo è letteralmente pazzo di gioia e domanda il suo amatissimo Monarca. Se la nobiltà fosse composta d'uomini d'onore e di principii, quanto sarebbe facile d'ottenere che i soldati napoletani e la truppa si volgessero dalla parte del Re fate che avessimo un migliaio d'uomini di buona truppa inglese, e vi prometto che il Re di Napoli sarà sul suo trono in 48 ore prego Vostra Signoria di raccomandare particolarmente il Capitano Cianchi; desso è un bello ed ardito marinaio, un buono e leale suddito, desideroso di far di tutto pel bene del suo paese. Se la flotta del Re di Napoli fosse stata composta di uomini simili, il popolo non si sarebbe mai ribellato.

Ho a bordo con me un birbante chiamato Francesco, già ufficiale napoletano, avendo i suoi beni nell'isola d'Ischia, il quale aveva preso il comando di quel forte allorquando ce ne impossessammo; il popolaccio fece in mille pezzi il suo infame abito dal bavaro tricolore e avendo sui bottoni il berretto della libertà; ebbe allora l'imprudenza di rivestire nuovamente l'uniforme di Sua Maestà Siciliana, per la qual cosa gli ho strappato le sue spalline, e la coccarda, e l'obbligai a gettare questi oggetti da sopra il bordo, dopo di che gli feci l'onore dei doppi ferri: il popolaccio distrusse interamente l'albero della libertà, e lacerò anche in mille pezzi la bandiera, in modo che non ho potuto procurarmene il menomo brano per metterlo ai piedi di Sua Maestà: in quanto all'albero della libertà, sono stato più felice: ve ne mando due scheggie affinchè Sua Maestà possa accenderle nel suo cammino, con sopra i nomi di coloro che me le hanno regalate.

 

« TROUBRIDGE »

 

4 aprile 1799.

 

« Le truppe francesi di Napoli ammontano a poco più di due mila uomini, così distribuiti: 300 a S. Elmo, 200 al Castello dell'Uovo, 1400 al Castel Nuovo, 100 a Pozzuoli, a Baia 30. I loro combattimenti a Salerno sono stati seguiti da grandi perdite. Non uno dei loro uomini, tranne qualche ferito, è ritornato da Salerno. Essi erano 1500 ; si dice che all'attacco di una città chiamata Andri [*6]  negli Abruzzi, quasi 3000 francesi sono stati uccisi. I francesi ed i giacobini si querelano: regna fra essi una gran diffidenza e succede spesso che nelle ronde di notte allorquando gridasi, chi viva? e che si risponde : La repubblica! si fa fuoco, in modo che è veramente pericoloso di avventurarsi di notte tempo.

« Tutti i capi giacobini mettono in quistione la loro onestà. Io ricevo in questo momento, la notizia, che un prete a nome d'Albavena, predica la rivolta ad Ischia: ho mandato 60 svizzeri e 300 fedeli sudditi, per dargli la caccia e spero averlo fra le mani, morto o vivo, in giornata. Prego Vostra Signoria di mandare qui un onesto Giudice per fare il processo a questo signore, perchè è necessario dare un esempio.

 

« TROUBRIDGE »

 

Alle 2 dopo Mezzogiorno.

« Vi prego di premurar la Corte acciò mandi il Giudice, col ritorno del  Perseus, altrimenti è impossibile di continuare in questo modo: i tristi a stento possono essere trattenuti sotto la mia mano, e il popolo chiede giustizia in coro e ad alte grida. Bisogna impiccarne 8 o 10.... »

Ed, in effetti, il Capitano Troubidge, potea dare al Re delle buone notizie e mandargli non solo dei pezzi dell'albero della libertà per riscaldare il suo cammino, ma fargli benanco dei regali più significanti, imperocchè ecco la lettera che egli riceveva in data del 26 aprile:

 

«Salerno 26 Aprile 1799.

 

« Al Comandante della Stazione Inglese.

 

« Signore!

 

« Come suddito fedele del mio Re Ferdinando IV (D. G.) ho la gloria di presentare a Vostra Eccellenza, la testa di D. Carlo Granozio di Giffoni, che era impiegato nell'amministrazione diretta dall'infame Commissario Ferdinando Ruggi. Il detto Granozio è stato da me ucciso in un luogo chiamato li Puggi, nel distretto di Ponte Cagnaro, mentre si dava alla fuga.

« Prego Vostra Eccellenza d'accettare questa testa e di considerare tale azione come una prova del mio attaccamento ‑ alla Real Corona.

« Sono col rispetto che vi è dovuto, il fedele suddito del Re.

 

« GIUSEPPE MANUISO VITELLA.

 

Lo vedete, il fedele suddito del Re non dimenticava nessuno dei suoi nomi di battesimo, onde non si smarrisse la ricompensa e che aspettava per la sua fedeltà.

Il capitano Troubridge ricevette la testa, la guardò, strinse le spalle in un modo tutto particolare e scrisse da dietro, profferendole colla solita flemma inglese, queste  parole.

A jolly yellow…..ecco un allegro compagno!

In questo frattempo, il cardinale che aveva scritto dal Pizzo al vescovo di Policastro, monsignor Ludovici e al Comandante Troubridge, riceveva le loro risposte.

Quella del Vescovo annunziava che alla lettura dell'enciclica del prelato, inserita da lui nella sua pastorale, le popolazioni di tutta la costa gridarono ad una voce, viva il Re viva la religione, distruggendo gli emblemi repubblicani rialzando le croci, reclamando l'antico governo monarchico, e annunziando che una gran quantità di uomini armati erasi raccolta, sotto differenti capi per la difesa del Re e della religione, e che il comandante ,della squadra inglese aveva loro offerto la sua protezione.

Ma dicendo tutto ciò il degno vescovo lasciava scorgere un grande scoraggiamento; egli diceva che fra i 'capi di tutti quei realisti, esistevano gran disaccordi per gelosia della superiorità del comando, pregava perciò il prelodato, di affrettare la marcia con l'esercito cristiano e nello stesso tempo lo invitava ad aggiungergli onde sostenerlo nella sua difficile missione, un collega in persona del vescovo di Capaccio monsignor Torrusio.

Le notizie di Troubridge erano migliori, come si è visto, egli marciava di trionfi in trionfi, e avendo trovato occupazioni per D. Michele de Curtis, domandava un giudice per impiccare i ribelli.

Era evidente che il Re non lascierebbe inesaudita una simile domanda.

Egli per conseguenza invitava il Cardinale ad affrettarsi, a seguire semplicemente la riva del mare per riannodare le proprie operazioni alle sue, senza curarsi dell'interno, dicendogli che il popolo napoletano era interamente unito al suo re. Gli dava in oltre, per tranquillizzarlo la lista dei vascelli in crociera sotto il suo comando e una lettera per reclamare i soccorsi dai loro ufficiali, allorquando avrebbe bisogno di essi; ma questa lettera arrivava al Cardinale al momento in cui era occupato di riorganizzare l'esercito completamente scompigliato dopo il saccheggio di Cotrone. Le nuove reclute erano ancora male istruite, ed egli non voleva con esse marciare all'incontro di un nemico agguerrito come lo erano i francesi, dappoichè in quel momento ignoravasi tuttavia che i francesi dovessero lasciar Napoli. D'altronde, il suo piano non era di seguire la spiaggia del mare come glielo consigliava Troubridge; ma di marciare per le Puglie, prendere d'assalto Altamura, come lo indicava il suo ordine a De Cesari, di unirsi a lui, impadronirsi d'Ariano e fortificarsi in questa posizione inespugnabile.

Egli dunque rispose a Troubridge; dì aver pazienza, che non appena le sue operazioni del centro sarebbero terminate, egli si rimetterebbe in cammino, e in quanto a Monsignor Ludovici, inviavagli immediatamente la decretale di plenipotenziario in favore di Monsignor Torrusio.

Egli soggiungeva che per fare che i plenipotenziari potessero appoggiare la loro autorità di una certa forza, mandava ad essi un corpo di 1000 uomini coraggiosi, sotto il comando di Nicola Gualtieri soprannominato Panedigrano, con l'ordine a questo Comandante di attenersi agli ordini dei due prelati. Egli non nascondeva loro, del resto, che il detto Panedigrano era un'ex forzato amnistiato, ma aggiungeva onde palliare la cosa che il ripetuto Panedigrano conosceva il servizio militare, per avere altra volta servito negli accantonamenti di S. Germano, e che essendo del bagno siccome quelli che comandava, nessuno era più adatto di lui a dar loro degli ordini.

In fatti quei mille uomini coraggiosi non erano che i forzati di Messina, che, come dicemmo, gl'lnglesi, non avendo voluto con essi dividere la guarnigione della Cittadella, li avevano gettati sulla costa di Calabria per farne degli ausiliari del Cardinal Ruffo.

Lo stesso Ferdinando, quantunque il rossore difficilmente gli salisse in viso, erasi vergognato di questa misura e nella seguente lettera in data del 26 marzo, ne chiede scusa al Cardinale.

Eminentissimo mio: Quanto mi ha consolato la Vostra lettera del 10 per la continuazione de' favorevoli riscontri de' nostri progressi, altrettanto mi hanno disturbato l'animo tutte le sciocchezze che fa Danero o per meglio dire gli fanno fare quelli che lo circondano; fralle altre vi è stata quella solennissima, che avendo il Generale Stward chiesto di togliere dalla Cittadella tutt'i forzati prima d'introdurvi la sua truppa, egli il Danero in vece di seguire quanto con tanti replicati ordini se gli è presentato di mandarli sulla spiaggia al di là di Gaeta ha avuto la bontà di scapatarseli in Calabria, per disturbare le vostre operazioni e guastare quanto di bene avete fatto. Quale concetto dovranno formare di me i miei bravi e fedeli calabresi, vedendo in premio della loro fedeltà mandarli tanti scellerati a devastare ed in­quietare le loro proprietà e famiglie? Potranno mai credere che tutto ciò siasi eseguito senza mio ordine? Vi assicuro che mi sono inquietato che poco è mancato non facessi mandare a quel paese Danero: non attendo però che il ritorno del Generale Stuart, che si aspetta a mo­mento per prendere quella vigorosa risoluzione che richiedono le attuali circostanze.

Colle lettere venute con un vascello Inglese da Livorno abbiamo saputo di averla finalmente rotta l'Imperatore coi Francesi, benchè con non troppo felice successo al principio; e che ci è tutta la buona apparenza che il Re di Prussia si unisca alla coalizione in favore della buona causa.

Il Signore conservi Voi e benedica le vostre operazione come indegnamente ve lo prega il 

Vostro affezzionato

 

FERDINANDO B.

 

Si è veduto che cosa ne aveva fatto il Cardinale di quei mille forzati e del loro capo, Panedigrano.

Li aveva messi agli ordini dei due plenipotenziarii mitrati, allo scopo di ristabilire la buona armonia fra i capi Sanfedisti.

Vi sono, in verità, delle grazie del cielo; una di queste grazie celesti è contestata dallo storico del Cardinale.

« Panedigrano, dice egli, pag. 150 della sua opera. Panedigrano che conosceva bene l'importanza dalla missione della quale era incaricato e che voleva farsi onore per lavare le macchie del passato, promise e mantenne la promessa, come si vedrà nel seguito di queste memorie, e avendo ricevuto dal Tesoriere Generale, Versace, un anticipazione di soldo per le spese del viaggio, e l'ordine al Tesoriere di metterlo al corrente a Policastro, e inseguito continuare a pagare i suoi uomini, calcolando 25 grana al giorno per ognuno », Panedigrano partì immediatamente.

Lasciamoli compiere la loro santa missione, sotto la protezione di Dio, di cui a dire di Ferdinando, servivano la causa unita alla sua, e ritornando al Cardinale che lasciammo a Cotrone, vediamolo proseguire la sua marcia su Napoli.

A nostro credere, vi sarà una gran lezione pei popoli e anche pei re, quando dovremo paragonargli la marcia eseguita sessant'anni più tardi da Garibaldi, e opporre al prelato rappresentante del dritto Divino, l'uomo dell'umanità rappresentante il dritto popolare.

L'uno, quello che è rivestito della porpora romana che marcia in nome di Dio e del Re, passa, attraverso il saccheggio, gli eccidi e gl'incendi lasciando sui suoi passi, le lagrime la desolazione e la morte.

L'altro vestito della semplice camicia del popolo, della semplice casacca del marinaio, marcia sopra un prato di fiori e si avanza in mezzo alla gioia e alle benedizioni.

Il primo ha per alleato Panedigrano, dei Sciarpa, dei Fra Diavolo, dei Mammone e dei Pronio, cioè dei forzati e dei ladri delle strade maestre.

L'altro ha per Luogotenenti, i Tuckery, i Deflottes, i Bixio, i Turr, i Sirtori, i Cosenz, cioè degli eroi!

 

 

 

 

 

MENU - Borboni di Napoli

Manda un messaggio

 

 

 

 

 

 

 


 [*1]        L'autorizzazione avuta di poter frugare, a piacer nostro, negli Archivi del Ministero degli Affari Esteri, della Polizia e del gabinetto del Re fa sì che potremo mettere sotto gli occhi de' nostri lettori, altre lettere, altri preziosi documenti, e sconosciuti.

 

 [*2]         S'intendano i 17 Francesi sopravvissuti all'assalto del Castello di Cotrone.

 [*3]        Corbara, fatto prigione da Corsari barbareschi.

 

 [*4]         Troubridge comandante la stazione inglese innanzi a Procida.

 [*5]         Vedremo più tardi chi fosse quel Giudice.

 [*6]         Andria.