I  BORBONI  DI  NAPOLI

 

Di Alexandre Dumas

 

Libro IV 

 

 

CAPITOLO I

 

Era questo richiamo dei bastimenti inglesi per concentrarsi sopra Palermo che avea, eccetto cinque o sei legni, nel numero dei quali trovavasi il Sea‑Horse comandato dal capitano Foote, e la Minerva, comandata dal capitano di Thurn, liberato il porto di Napoli dal suo blocco e fatto sparire all'orizzonte le vele inglesi.

Caracciolo che, come si è veduto dalle lettere della regina, aveva provato la sua flottiglia a Castellammare e a Salerno, risolvette di profittare della partenza della maggior parte delle forze inglesi per fare un tentativo nello scopo di riprendere le Isole.

Egli scelse un giorno in cui il mare era calmo. Uscito da Napoli e protetto dalle batterie del forte di Baja e dalla piazza di Miliscola, fece attaccare dalla sua ala sinistra, comandata da De Simone, i bastimenti inglesi mentre egli stesso attaccava il conte Thurn, comandante la Minerva, cioè l'antica fregata che avea comandato esso Caracciolo.

Fu, come si vedrà, questo attacco contro un bastimento che portava la bandiera di Ferdinando, che fè nel suo processo la più forte accusa, lanciata contro di lui.

La faccenda fu ella così seria come lo dice Colletta? Non ne crediamo nulla, non avendo Caracciolo perduto che cinque uomini, e si sa che ordinariamente in un combattimento sostenuto contro gl'lnglesi, colui che lo sostiene per lo Più non si ritira con Si poche perdite. Checchè ne sia il tentativo mancò; il vento era divenuto contrario e la flottiglia rientrò in porto.

Si aveva bisogno di far Credere che si poteva lottare contro gl'lnglesi, e perciò menossi gran rumorre per que' sta scaramuccia che fu conosciuta fino a Palermo, e che accrebbe ancora l'odio del re e della regina Contro Caracciolo.

 

In ogni modo, soddisfatto dalla pruova che aveva tentato con la sua nascente marina, il governo repubblicano votò dei ringraziamenti a Caracciolo, fece distribuire a ciascuna vedova di marinajo ucciso nella battaglia, cinquanta ducati, e continuò a pagare a' figli adottati dalla Patria quella paga cui godevano i genitori di essi.

In oltre, un banchetto pubblico fu imbandito sopra la Piazza Nazionale ed a tal banchetto furono invitati coloro che avevano fatto parte della spedizione con le loro famiglie intiere.

Durante siffatto banchetto e fra gli spettatori, fu fatta una questua e una sottoscrizione fu pure aperta per la costruzione di nuovi bastimenti.

Fin dall'indomani, con i primi fondi versati si pose mano all'opera.

Ma l'assenza dell'esercito Napolitano che, eccetto la legione Calabrese marciava, come l'abbiamo detto più sopra, contra i Sanfedisti, avea lasciato Napoli completamente disarmato, di modo che non si parlava in città che di complotti e di reazioni.

Una sera si annunziò che la contro rivoluzione scoppierebbe l'indomani; ed in fatti, l'indomani allo spuntar del giorno, fu rinvenuta la metà delle case segnate con una croce rossa; erano quelle che dovevano essere date al saccheggio: i segni neri posti al di sopra dei segni rossi ‑ ed erano molti! ‑ indicavano il numero delle persone da massacrarsi in ogni casa.

Si potrebbe prendere questi segni per delle allucinazioni cagionate dalla paura, e la storia potrebbe in questo punto tentare di smentire la tradizione, se le lettere che abbiamo posto sotto gli occhi dei nostri lettori fossero restate nelle tenebre da cui le abbiamo ritratte.

Queste minacce che indicavano una guerra implacabile finirono coll'esasperare i patriotti. Il governo ordinò la leva di tutti gli uomini capaci di portare le armi, eccetto i lazzaroni che furono aggregati alla guardia nazionale.

Dichiarò che tutti gl'impiegati, eccettuati i membri del Direttorio, del Corpo legislativo e dei quattro Ministeri, sarebbero iscritti sopra i registri della guardia nazionale e che ad essi era riservato l'onore di dar l'esempio del coraggio e del patriottismo, combattendo al primo rango. I ministri, i generali, i magistrati, confusi colle legioni, sia dell'esercito attivo, sia della guardia nazionale, vegliavano giorno e notte; furono arrestate più di tremila persone sospette, nel numero delle quali il terzo fratello del Cardinale Ruffo. Trecento furono condotte al Castello Nuovo e al Castello dell'Uovo; furono minate queste due fortezze, per farle saltare in aria insieme ai prigionieri che racchiudevano, quando non sarebbe stato più possibile il difenderle, e si propose di far passare sotto la città di Napoli condotti pieni di polvere, acciò i realisti comprendessero che trattavasi di una guerra di sterminio, e che, al par dei patriotti, essi non avevano che una morte comune da aspettarsi, se il cardinal Ruffo si ostinasse a volere entrare a Napoli.

Finalmente, le società patriottiche si armarono, si riunirono in un sol corpo, si scelsero ufficiali ed elessero a comandante Giuseppe Writz, bravo ufficiale Svizzero, che aveva chiesto di servire la Repubblica.

In questo mentre, si ebbero notizie dei differenti corpi d'armata, usciti da Napoli per opporsi all'avvicinarsi del nemico.

Queste notizie erano disastrose.

Ettore Caraffa, l'eroe d'Andria e di Trani, che doveva unirsi con Manthonet, si era racchiuso in Pescara e vi era bloccato da Pronio.

 Bassetti, battuto da Fra Diavolo e Mammone, tornava ferito in Napoli.

Schipani, attaccato e vinto sulle rive del Sarno, ritiravasi precipitosamente e non potè riannodarsi che a Torre dell'Annunziata e a Torre del Greco.

Finalmente, Manthonet, che marciava contro Ruffo, non potè nemmeno giungere fino a lui, e, stretto da tutte le parti dalle popolazioni, minacciato di essere separato da Napoli, dalle masse degli insorti, era stato costretto di battere in ritirata, senza essere stato più lontano di Barra ed aveva abbandonato i suoi cannoni che l'ajutante di campo del Cardinale, mandato in esplorazione, aveva trovato per la via.

La città, vedendo tornare i suoi ultimi difensori vinti e fuggenti in disordine, era caduta nella costernazione più profonda; conosceva a qual prezzo il colonnello Mejean avrebbe accordato la sua protezione e che, ricusandola con disprezzo, non aveva più nulla a sperare da colui che non aveva temuto di porre in chiaro la sua cupidigia.

Sentivasi avvicinare la reazione con tutti i suoi disastri : le proscrizioni, le torture, la morte!

Da qualunque banda si volgessero i repubblicani, non vedevano che nemici accaniti, che avversari implacabili.

Una linea che avanzavasi sempre restringendosi, avvolgendoli con un cerchio di ferro, con una cinta di fuoco ‑ al nord fra Diavolo e Mammone, all'est Pronio e Rodio al sud‑est Ruffo e de Cesari, al sud e al sud‑ovest, gli avanzi della flotta Britannica che aspettavansi a vedere ricomparire da un istante all'altro, più forte che mai cioè, quarantasette vascelli inglesi, quattro vascelli russi, cinque vascelli portoghesi, tre vascelli turchi, due vascelli siciliani... tutte le tirannidi dell'Europa, che sembravano come un sol uomo, essersi levate per comprimere il grido di libertà che aveva emesso questa disgraziata città.

Il giorno 11 giugno, a sera, il Cardinale era giunto a Nola; mentre sorvegliava l'accampamento de 'suoi uomini fu raggiunto da una compagnia di soldati turchi. Ciò era quanto gli poteva accadere di più spiacevole ed abbiamo veduto che fece quando fu possibile per evitare questo scandalo.

Ma il Capitano Acmeth, vedendo i 450 Russi che marciavano al seguito del Cardinale, erasi detto, perchè i suoi soldati non otterrebbero lo stesso onore. Aveva dunque fatto sbarcare 84 uomini della marina ottomana ed era a sua volta giunto a Nola al momento in cui il Cardinale lo credeva a Corfù. Ne risultava che l'armata della Santa fede, già composta di eretici, di scismatici e di protestanti, si completò con questo campione di settari del Profeta e presentò una riunione di tutte le religioni, eccetta la Cristiana.

Fin dal 5 giugno, il Direttorio, con tutte le cerimonie usate nei tempi antichi, aveva dichiarato la patria in pericolo, invitando tutti ad armarsi, per la difesa comune. Ordinò che al segnale di tre colpi di cannone, tirati dai forti a intervalli eguali, qualunque cittadino, non ascritto sopra i ruoli della Guardia nazionale o sopra i registri di una società patriottica che fosse, sarebbe in obbligo di ritirarsi in casa e di chiuderne le imposte e le porte finchè un altro colpo di cannone gli avesse indicato che poteva uscirne. Coloro che fossero trovati armati nelle strade dopo i tre primi colpi di cannone, se non erano, come lo abbiam detto, nè alla guardia nazionale, nè di alcuna società patriottica, dovevano essere arrestati disarmati e fucilati, come nemici della patria.

Il 7, il Generale Writz fece arrestare tutti gli antichi officiali dell'armata reale che avevano ricusato di servire la Repubblica. Lo stesso giorno si fecero approvigionare tutte le Castella per tre mesi.

Il 19 alle ore otto di sera, il cannone di allarme aveva tirato tre colpi, e ognuno, secondo l'ordine dato, erasi ritirato in casa ed aveva chiuso porte e finestre. A questo segnale, la guardia nazionale ed i patriotti volontari si schierarono nella strada Toledo e sulle piazze pubbliche. Manthonet, ridivenuto ministro della Guerra li passò a rassegna di unito a Writz e a Bassetti. Questo ultimo li complimentò per il loro zelo, dimostrò loro la necessità di vincere o di morire, e li fece tornare a casa, dicendo che aveva solamente voluto conoscere il numero degli uomini su cui potea fare assegnamento nell'occorrenza.

La notte fu tranquilla, e l'indomani si tirò il colpo di cannone che annunziava che si era libero di andar per la città e di attendere ai propri affari.

Il giorno 11 il pane cominciò a mancare, avendone ciascuno fatto provvista per 4 o 5 giorni. I Patrioti furono allora incaricati di fare delle distribuzioni di viveri a chi ne abbisognasse.

Era questo stesso giorno, si rammenti, in cui il Cardinale era: giunto a Nola .

 Risoluto di attendere, per operare contro Napoli, l'arrivo del Principe Ereditario, come glielo aveva ordinato il Re, credette nulladimeno dover fare una mossa che l'avvicinasse alla Metropoli e recarsi a Resina e Portici.

Nella serata aveva ricevuto avviso dai vescovi Torrusio e Ludovici che il Comandante Panedigrano ed i suoi mille forzati, dovevano giungere a Bosco, e che Sciarpa e due mila uomini giungerebbero nel tempo istesso a Sarno.

Una lettera del marchese de Curtis gli annunziava inoltre che il Colonnello Tschudy, volendo far dimenticare la sua condotta di Capua, spedito da Palermo con quattrocento granatieri e altri trecento soldati stranieri sotto gli ordini del Colonnello Zender doveva essere sbarcato a Sorrento, per attaccare da terra il forte di Castellammare, mentre che il vascello inglese, il Sea‑Horse, e la Minerva, l'antica fregata di Caracciolo, quella stessa contro la quale aveva lottato al capo Miseno batterebbero, per mare, la costa coi loro cannoni.

Tutte queste notizie erano giunte, come l'abbiamo detto, durante la serata. A mezzanotte il Cardinale spedì i seguenti ordini:

« Il Colonnello Tschudy sospenderebbe l'assalto del forte di Castellammare e si metterebbe immediatamente d'accordo coi comandanti Sciarpa e Panedigrano, per attaccare l'armata di Schipani; il 13, al mattino allo spuntar del giorno cioè, Tschudy e Sciarpa, da Torre dell'Annunziata, e Panedigrano dal suo fianco, costeggiando le lave del Vesuvio, dipoi ‑‑ siccome era probabile che, conoscendo l'arrivo del Cardinale a Nola, e temendo gli fosse tagliata la ritirata, il Generale Repubblicano tenterebbe di ritirarsi sopra Napoli ‑ spingessero allora dinanzi a loro Schipani, che incontrerebbe il Cardinale alla Favorita, pronto ad attaccarlo di fronte: di modo che si troverebbe circondato da tutte le parti, e sarebbe obbligato o di farsi uccidere o di arrendersi. »

 Il corriere che portava questi ordini non appena spedito, il Cardinale distaccò quattro battaglioni d'infanteria di linea con quattro pezzi di artiglieria di campagna, dieci compagnie di Cacciatori Calabresi ed uno squadrone di cavalleria. Queste truppe furono poste sotto gli ordini diretti del marchese della Schiava, avente a secondo il Colonnello De Filippis, dando loro ordine di costeggiare le lave del Vesuvio, con una marcia di notte e di recarsi a Resina, di cui gli abitanti erano insorti in favore di Ferdinando.

Il 13, all'albeggiare spiegherebbero le loro compagnie, di tiragliatori, accompagnati da contadini armati e conoscendo le località, dietro le abitazioni di Resina, dietro le mura, nei giardini, sopra tutte i punti, finalmente, da qualunque luogo potrebbero, durante la sua ritirata, attaccare Schipani, il quale troverebbe il resto del distaccamento, che gli taglierebbe la strada della Favorita, e dove sarebbe costretto fermarsi.

Il 12, de Cesari che aveva fatto falsa strada e che erasi smarrito da 15 giorni, giunse a Nola, con tutta la sua cavalleria. Siccome il rinforzo che gli conduceva siffatto avventuriere, gli era molto utile in quel momento, il Cardinale dissimulò il suo mal umore; ma sorridendo gli tolse i suoi uomini e li pose sotto il Comando del maggiore Consiliis.

Questo provvedimento, un poco acerbo, eccitò qualche mormorio in mezzo a quella Cavalleria, tutta devota al partigiano corso; ma il Cardinale si mostrò nel suo calesso con De Cesari sedutogli daccanto, e dicendo che non gli aveva tolto il Comando della cavalleria che per dargli la direzione in capo dell'esercito.

Il 13 di buon'ora l'esercito Sanfedista si pose in marcia in tre divisioni.

L'una discendeva per Capodichino, per attaccare Porla Capuana.

L'altra e la terza scendevano, una per la strada di Portici, e l'altra per quella delle paludi, per attaccare insieme e nello stesso tempo le fortificazioni del Ponte della Maddalena e del piccolo forte di Vigliena che era difeso da centocinquanta Calabresi comandati dal curato Antonio Toscano.

Nell'accettare la missione di difendere il forte di Vigliena, questi coraggiosi uomini avevano risposto a Manthonet.

« Cerchiamo la morte, darla e riceverla poco ne importa; ciò che vogliamo, si è che la patria sia libera, e vendicarci. »

La mattina del giorno 13 si vide, dall'alto del forte S. Elmo, avanzarsi l'esercito Sanfedista in mezzo a nuvole di polvere. Immediatamente i tre colpi di cannone d'allarme furono tratti, e le strade di Napoli divennero in un istante deserte come quelle di Tebe, solitarie come quelle di Pompei.

Il momento supremo era giunto: momento solenne e terribile quando trattasi dell'esistenza di un uomo, ma ben altrimenti terribile e solenne, quando trattasi della vita o della morte di una città.

I tre colpi di cannone che avevano invitato i Napolitani a ritirarsi alle case loro, avevano nel tempo istesso servito di segnale al Generale di Writz per occupare il campo trincerato del ponte della Maddalena.

In prossimità di questo campo era un piccolo forte con tredici cannoni da 33, e due mortai da bombe; dalla parte opposta, cioè sulla riva, era quel piccolo forte di Vigliena di cui abbiamo detto una parola ‑ e, nel mare, lungo la costa l'ammiraglio Caracciolo, con tutto ciò che erasi potuto riunire di barche cannoniere, e di bombarde.

Giungendo al villaggio di Somma, il Cardinale fu avvertito che il piano d'attacco, diretto da lui non erasi potuto eseguire contro Schipani, atteso che il Colonnello Tschudy non era punto comparso a Castellammare e che Sciarpa e gli altri capi del Cilento non erano giunti a Sarno, Il comandante Panedigrano avea nulladimeno attaccato Schipani, ma senza risultato. Da parte loro i comandanti la Schiava e de Filippis vedendo che il Sea‑ Horse e la Minerva battevano coi loro cannoni il forte del Granatello, dove era Schipani, risolvettero di prendere d'assalto il Palazzo reale di Portici che era nelle mani dei Repubblicani.

Il Palazzo non era fortificato: i difensori non erano in numero sufficiente; si ritirarono verso il ponte della Maddalena, dove ben pochi giunsero, essendo stati decimati nell'intervallo, dal fuoco dei sanfedisti da una parte, e dall'altra dalle cannonate del Sea‑Horse e della Minerva.

In quel punto, s'intese una spaventevole detonazione, ed il molo fu scosso come da un terremoto; nel tempo istesso l'aria si oscurò con una nuvola di polvere, e, come se un cratere si fosse aperto al piede del Vesuvio, pietre, travi, rottami, membra umane in pezzi, ricaddero sopra larga circonferenza.

Era il forte di Vigliena saltato in aria.

Attaccato impetuosamente dalla truppa del Cardinale, avea risposto anche con maggiore impeto.

L'odio era tanto più grande tra assedianti ed assediati in quanto che si combatteva, calabresi contro calabresi, fratelli contro fratelli. Le lotte empie sono le più terribili e le più accanite. Può esservi uno che sopravviva nei duelli ordinari, niuno sopravisse di Eteocle e Polinice.

Respinti, gli assedianti domandarono soccorso.

Il Cardinale loro spedì cento Russi con una batteria di cannoni e l'assalto ricominciò più micidiale di prima. In capo ad un ora, una parte del muro era crollato e presentava una breccia praticabile.

Fu intimato al Comandante di rendersi; l'abbiamo detto, era desso un vecchio prete patriotta, chiamato Antonio Toscano.

Ricusò.

I Calabresi ed i Russi si slanciarono all'assalto.

La fantasia di un imperatore, il capriccio di un pazzo, di Paolo I, mandava degli uomini, nati sopra le spiagge della Neva, del Don e del Volga, a morire per principi di cui ignoravano i nomi, sulle rive del Mediterraneo.

Due volte furono respinti e riempirono dei loro cadaveri la strada che conduceva alla breccia.

Tornarono una terza volta alla carica, e questa volta entrarono nel forte, si gettarono i fucili e, come i Catabresi non conoscono nè la spada nè la bajonetta, si combattè col coltello e col pugnale, combattimento muto e mortale, combattimento corpo a corpo, in cui la morte penetra in mezzo ad abbracci così stretti che si crederebbero paterni.

Gli assalitori crescevano sempre, gli assaliti cadevano, gli uni dopo gli altri, rialzandosi pria di morire per mordere o per colpire ancora.

Di cento cinquanta erano appena sessanta; più di quattrocento uomini li circondavano. Non temevano la morte ma morivano disperati di morire senza veder compiuta la loro vendetta.

All'improvviso, il vecchio prete coperto di ferite, gli interroga nell'istesso tempo, con lo sguardo col gesto e colla voce.

‑ Vogliamo?

Tutti lo comprendono e con una voce rispondono:

‑ Sì!

Immediatamente, Antonio Toscano si lascia cadere nel sotterraneo dove è la polvere, avvicina una pistola che ha conservato come suprema risorsa, ad un barile di polvere e fa fuoco. Allora in mezzo ad una spaventevole esplosione, vincitori e vinti, sono confusi in uno stesso cataclisma.

Un sol uomo meravigliato di essere vivo e senza ferite in mezzo a siffatta distruzione generale, si getta in mare e nuota verso Napoli, raggiunge il Castello Nuovo e narra la morte de' suoi compagni e il sacrificio del prete.

Quest'ultimo rimasto degli Spartani, chiamavasi Fabiani.

La notizia di questo avvenimento si sparse in un istante nelle strade di Napoli e vi sollevò un entusiasmo universale.

Luigi Serio avvocato, di gran fama, già vecchio quasi cieco, lo stesso che erasi dato per guida all'Imperatore Giuseppe Il quando era venuto in Napoli, ma che aveva preso parte contro Ferdinando, o piuttosto per la libertà contro il dispotismo, aveva presso di sè tre nipoti figliuoli di sua sorella e che portavano il nome di Turris. I giovanetti, timidi, non osavano armarsi e uscire quando rimbombarono i tre colpi di cannoni.

‑ Giovanotti, disse loro, la patria è in pericolo, andiamo a combattere!

I giovani vollero obbiettare la sua età avanzata, e la stia cecità quasi completa.

‑ Mi avvicinerò sì presso al nemico, rispose Serio, che sarò ben disgraziato se non lo veggo.

E come i giovani esitavano ancora,

‑ Ho ricevuto dal Ministro della guerra, disse, quattro fucili, di munizione e duecento cartucce. Le armi e le munizioni non sono talmente communi da poter lasciare queste senza utilizzarle. Quindi venite o vado io solo.

I tre giovani lo seguirono; Luigi Serio marciò direttamente verso il nemico e si fece uccidere sulle sponde del Sebeto, dove il suo corpo fu abbandonato e perduto. Cosa divenissero i tre nipoti, poco monta, il nome del loro zio è iscritto fra i forti.

Writz erasi recato al ponte della Maddalena e teneva fronte con i suoi bravi, agli attacchi che sotto gli occhi del Cardinale a cavallo, vestito con la porpora e tenendo una croce in mano, dirigeva il colonnello Carbone. Writz egli pure, per essere veduto meglio, era a cavallo ed incoraggiava i patriotti col suo esempio. Allora un capitano dell'armata sanfedista, impugnò un fucile dalle mani di un soldato, prese di mira il generale e fè fuoco.

Writz cadde ferito mortalmente; fu d'uopo portarlo sopra una barella. Un'ora dopo spirava al castello Nuovo.

Allora scoppiò un complotto realista che sembrava non avere atteso che quel momento.

Negli ultimi tempi della Repubblica, erasi formata una società realista sotto gli auspici di un ricco proprietario napolitano, a nome Gennaro Tausano. Faceva il patriotta ; era iscritto sopra i registri di tutti i Clubs repubblicani; ma nel solo scopo di stare al corrente delle loro deliberazioni e tenerne avvisato il Cardinal Ruffo, col quale aveva trovato mezzo di stabilire delle corrispondenze e da cui aveva ricevuto armi e munizioni.

I lazzaroni di Chiaja, di Piedigrotta, di Pozzuoli e dei vicini quarteri erano a lui devoti.

Tutto ciò erasi fatto così segretamente che nessuno aveva mai avuto il minimo sospetto sul conto suo. Venendo a sapere, verso le cinque di sera, che il General Writz era mortalmente ferito, pensò che il momento tanto sospirato era finalmente giunto. Distribuì subito ai più coraggiosi ed ai più devoti tra i suoi, le armi che teneva nascoste ; empì le loro saccoccie di cartucce e cominciò a percorrere le strade dove erano i suoi lazzaroni gridando: Viva il Re! viva la Religione!

I lazzaroni spaventati da principio credettero che era un inganno dei patriotti per farli uscire dalle loro case ed avere un'occasione per massacrarli.

Ma quando dalle porte e dalle finestre aperte timidamente, ebbero riconosciuto i loro compagni ed alla lor testa Gennaro Tausano, si unirono a loro, riempiendo la città colle loro grida, ordinando in segno di gioja d'illuminare le finestre delle case sotto pena di vederle incendiate, nel momento stesso. Le pattuglie dei patriotti a queste grida credettero che i Realisti erano penetrati nella città e si recarono ai loro quartieri.

Le guardie nazionali per la maggior parte gettarono le loro armi e se ne fuggirono. Ruffo avvertito del movimento che lo secondava, spinse l'attacco del ponte della Maddalena con nuovo ardore. I Repubblicani, vedendosi attaccati di fronte dai sanfedisti, di dietro dai lazzaroni, si rivolsero e si aprirono, con una vigorosa carica alla bajonetta, una strada verso il castello del Carmine dove si racchiuse. Ma era da una parte e dall'altra una guerra a morte. I patriotti più coraggiosi diedero di piglio alle loro armi ed uscirono dalle loro case, facendo fuoco sopra tutti i realisti che incontravano sulla loro strada, e, riunendosi in gruppi che giunsero a formare delle masse, caddero all'improvviso sopra i lazzaroni che non potevano fare a meno di saccheggiare; li sorprendevano nelle case e ne facevano un massacro orribile. Una parte della notte passò in questo modo, a caccia alle bestie feroci. Un distaccamento di calabresi repubblicani accorse e si unì ai patriotti; tutti coloro che erano incontrati con coccarda rossa erano immediatamente fucilati.

E' vero che lo stesso si faceva dai realisti, solamente questi invece di terminarla con un sol colpo coi repubblicani prigionieri ne prolungavano il supplizio. Ai lazzaroni non basta uccidere, è mestieri vedano, sentano morire le loro vittime. I patriotti che avevano la disgrazia di cadere nelle loro mani erano attaccati alla coda dei cavalli; altri spiravano sotto più centinaja di punture di sciabole che li dissanguavano da tutte le parti del corpo; altri erano condotti in trionfo, col naso, le orecchie e le mani tagliate. Altri finalmente, cui si erano tagliati i piedi con scuri, erano costretti a restare in piedi e a camminare sopra le ossa delle gambe.

Quando seppesi al Corpo legislativo, che aveva decretato le seduta permanente, che questo complotto era scoppiato, due lazzaroni che facevano parte della Camera, si alzarono ed offrirono di armare sei mila dei loro, e se dubitavasi della loro parola, di lasciare in ostaggio le loro mogli e i loro figliuoli. Per quanto franca apparisse questa offerta il governo esitò ad accettarla; si rispose loro che le armi mancavano, e si contentarono d'incorporarne cinque o seicento tra i patriotti.

Bassetti difendeva Capodichino e sembrava combattere francamente per la Repubblica; quando, all'improvviso, intese rimbombare nella città le grida : Viva la religione, Viva il Re, e seppe che Writz era mortalmente ferito, allora non pensò più a mantenersi in una posizione in cui gli potevano tagliare la ritirata; incrociò la bajonetta e si aprì una strada fino al castello Nuovo.

Ma la morte stessa del Generale Writz non aveva punto spento la pugna che durò con accanimento fino a notte.

Caracciolo con la sua flotta controbilanciava con un fuoco terribile ed ammirevolmente diretto, il vantaggio che, per terra, il Cardinale aveva sopra i repubblicani.

Ogni qualvolta i sanfedisti tentavano di oltrepassare il ponte della Maddalena, intiere file cadevano rovesciate dalla mitraglia, mentre fino a' piedi del cavallo del prelato venivano a scoppiare le granate.

Il Cardinale comprese che fino a quando non avesse allontanato Caracciolo, la vittoria resterebbe dubbia ; uno scacco dinanzi a Napoli, farebbe perdere il prestigio della sua marcia trionfale. Fece chiamare i Russi che avevano con loro dell'artiglieria di grosso calibro, fece stabilire una batteria e diresse il fuoco della stessa contro la flotta di Caracciolo.

Fu questi allora obbligato di prendere il largo.

Questa ritirata decise del combattimento. I due campi di battaglia ‑ quello di Vigliena e quello del Ponte della Maddalena ‑ restarono all'esercito Sanfedista. I Repubblicani fecero ritorno in città e si fortificarono alcuni a San Martino, avendo il comandante Mèjean ricusato di riceverli a Sant'Elmo ‑ gli altri a Pizzo Falcone, il resto ritirossi al castello Nuovo ed al castello dell'Uovo.

Restava il forte del Carmine, come forte avanzato dei patriotti.

In tal modo passò questa terribile giornata del giove di 13 giugno, e forse fu una punizione del cielo. I repubblicani avevano fatto in questa giornata una di quelle azioni sanguinose in cui la febbre delle guerre civili trascinano talvolta le migliori nature e le cause più sante. Sotto pretesto di togliere ai cittadini qualunque speranza nel perdono Reale, ai combattenti qualunque speranza di salvezza, nel momento in cui Writz recavasi al ponte della Maddalena, Bassetti verso Capodichino e Serra verso Capodimonte ‑ i tre Capi fecero sulla piazza del vecchio mercato una fermata solenne; furono condotti i due Baker padre e figlio, i quattro lazzaroni denunziati dal padre Pisticci, e là, questi uomini ciechi fecero per mettere un ruscello di sangue tra loro e la clemenza Reale, fucilare quei sei disgraziati, ‑ crudeltà inutile che non aveva neppure la scusa della necessità.

Colletta pretende che questa esecuzione fu segreta e si fece sotto la volta di una scala del castello Nuovo; ciò non è punto probabile: restando segreta l'esecuzione non raggiungeva il suo scopo; d'altronde un testimone ocu­lare, l'autore delle Memorie per servire alla storia della rivoluzione di Napoli ‑ dice che l'esecuzione fu pub­blica e fu eseguita come abbiamo detto. Lo crediamo tanto maggiormente in quanto che fu nella stessa piazza che venne giustiziata la Sanfelice, senza dubbio come espiazione, e acciò morisse nello stesso luogo di quelli dei quali aveva cagionato la morte.

 

 

 

 

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