I  BORBONI  DI  NAPOLI

 

Di Alexandre Dumas

 

Libro IV 

 

CAPITOLO VII

 

 

 

Le uccisioni stavan per farsi tanto più speditamente perchè Ferdinando, trovandosi nel porto, era per dirigerle in persona.

Il 15 luglio scriveva al Cardinale:

 

« Napoli, 15 luglio 1799.

« Eminentissimo mio. Hò ordinato ad Acton di scrivervi su due cattivi soggetti, che hò inteso abbiate impiegati per vigilare sulla Pubblica quiete, tranquillità, Zurolo, e Caudal, altresì che si trovano presso di Voi impiegato come ajutante, il figlio di Monteroduni, quello che una volta serviva alla marina, per carità disfatevi di tal soggetto che credo merita tutt'altra sorte ; mentre con vero piacere hò inteso che da Voi abbiate allontanato quell'altro pessimo soggetto del Padre Sanseverino. Vi acchiudo una nota dei soggetti che è necessario procurarne l'arresto. Il Signore vi conservi siccome ve lo desidera il Vostro Affezionato

 

« FERDINANDO B.

 

L'indomani, in mezzo ad una deputazione che veniva a congratularsi col Re, riconobbe il Cav. Ottavio Caracciolo, parente lontano dell'Ammiraglio, il quale, senza dubbio, voleva con quest'atto d'umiltà, farsi perdonare il delitto di avere lo stesso nome del suo illustre cugino, ma il Re non era uomo da lasciarsi disarmare così. Il giorno stesso scrisse a Ruffo :

« Napoli, 16 luglio 1799.

« Eminentissimo mio. Quel boccone, che avevo mangiato, mi è stato avvelenato dall'impudenza del scellerato D. Ottavio Caracciolo Cicinelli che hà avuto l'ardire a me presentarsi colla Giunta di Vestrani. Senza averci nulla che fare fatelo immediatamente mettere in un fondo di carcere, ed in arresto Maresca che l'hà seco condotto senza gettarlo a mare come sarebbe stato il dovere di un uomo d'onore, e di un fedele vassallo.

« FERDINANDO B.

Come si vede, Sua Maestà non aveva la mano leggiera.

La prima cosa ch'ella fece fu di destituire Ruffo che, come si è veduto, s'era tenuto compiutamente fuori degli ultimi avvenimenti. Abolì la carica di vicario generale, e le sostituì quella di luogotenente del Re che non obbligava a niente.

Destituito il Cardinale fa destituita la Giunta che questi aveva nominata, e che si trovava troppo mite. Furono conservati due solamente de' più ardenti realisti, e che avean dato pruova di sè, cioè D. Antonio della Rossa, e D. Angelo di Fiore.

Questo nome sì dolce d'Angelo di Fiore, celava un cuore implacabile ed assetato di sangue.

Questa giunta di Stato nominata a bordo del Foudroyant, si compose così:

Presidente ‑ Felice Romiani fiscale ‑ il barone D.Giuseppe Guidobaldi;

Giudici: i consiglieri Antonio della Rossa, D. Angelo di Fiore, D. Gaetano Sambuti, D. Vincenzo Speciale; Giudice di Vicaria: D. Salvatore de Giovanni;

Difensori degli accusati: i consiglieri Vantitelli e Mulès; Procuratore degli accusati: D. Alessandro Nava.

Questa giunta di Stato fu incaricata di giudicare straordinariamente:

Tutti i colpevoli di tradimento.

Il suo giudizio era senza appello.

Il Cardinale avea proposto di nominare, fra gli ecelesiastici più conosciuti per la loro carità, de' visitatori che dovessero rimettere la tranquillità nelle popolazioni, prevenire le vendette private, e calmare gli odi de' partiti.

L'idea fu accolta cambiandone però la missione. Questi messaggieri di pace furono cambiati in messaggieri di vendetta, e presero il nome di visitatori di Stato, missione ben inutile, dice ingenuamente Sacchinelli, attesocchè non v'erano più giacobini in provincia, tutti essendo uccisi, o fuggiti.

Questi visitatori furono

Il cav. Ferrante; il maresciallo Valga; il vescovo Ludovici; il magistrato Crescenzo de Marco; Vincenzo Marrano; e Vincenzo Iorio.

Ogni visitatore ebbe un assessore; questo assessore bastava per pronunziare un giudizio; due uomini disponevano dunque, senza appello, della vita, della libertà, e de' beni de' loro simili.

Eglino erano istituiti a fine di purgare il reame da' nemici del trono e dell'altare.

Così, sebbene tutti i giacobini fossero stati uccisi o posti in fuga, come dice Sacchinelli ‑ seppero pur tuttavia trovarne altri nuovi.

L'abolizione de' Sedili ‑ abbiam già detto che cosa erano i Sedili ‑ fu pronunziata. Napoli perdeva, con questa abolizione, tutti i suoi diritti e privilegi.

L'abolizione del corpo municipale, della nobiltà e della distinzione delle famiglie segui quella de' Sedili. Non vi doveva più essere nello Stato che una sola autorità quella del RE !

Sette conventi, i più ricchi, degli ordini di S. Benedetto e della Certosa, videro i loro beni confiscati a vantaggio del tesoro pubblico.

L'ordinanza, che istituiva la Giunta di Stato, le dettava, nello stesso tempo, i suoi doveri.

Essa dovea condannare a morte:

Tutti coloro che avean tolto dalle mani dei lazzaroni il castel Santelmo;

Tutti coloro che aveano aiutato i francesi ad entrare in Napoli ;

Tutti coloro che si erano serviti delle armi contro il popolo ;

Tutti coloro che, dopo l'armistizio, aveano mantenuto qualche relazione col nemico;

Tutti i magistrati della Repubblica;

Tutti i rappresentanti del Governo;

Tutti i rappresentanti del Popolo;

Tutti i ministri;

Tutti i generali;

Tutti i giudici dell'alta commissione militare;

Tutti i giudici del tribunale rivoluzionario;

Tutti quelli che avean combattuto contro gli eserciti del Re;

Tutti quelli che aveano gittato a terra la statua di Carlo III;

Tutti quelli che, al posto di quella statua, avean piantato l'albero della libertà;

Tutti coloro, che, sulla piazza di Palazzo aveano cooperato o assistito alla distruzione degli emblemi della Sovranità o della bandiera borbonica, o dell'inglese;

Infine tutti quelli, che, ne' loro scritti o ne' loro discorsi, s'erano serviti di termini offensivi per la sacra persona del Re, della Regina o degl'individui della famiglia reale.

Erano, presso a poco, quarantamila cittadini minacciati di morte nello stesso tempo.

Le disposizioni più miti ne minacciavano, presso a poco, sessantamila dell'esilio.

Queste piacevoli occupazioni, che distraevano il Re a bordo del Foudroyant, furono interrotte da un avvenimento bizzarro che fè una profonda impressione sullo spirito di lui.

Il Re era da una settimana a bordo del Foudroyant, non avendo voluto neppure una sola volta, metter piede a terra, e non ricevendo nessuno fuori che gli esecutori della sua vendetta; allorchè una mattina, un marinajo che era andato a pescare nel golfo, venne presso al vascello ammiraglio, e disse agli uffiziali che aveva veduto Caracciolo, uscito dal fondo del mare, dirigersi colla maggior celerità possibile verso Napoli, nuotando fra due acque. Il racconto del napolitano fu, riferito a Nelson, che, credendo poco al ritorno degli spiriti, soprattutto di coloro che, diciannove giorni dopo essere stati impiccati, nuotano fra due acque, propose al Re, essendo bello il tempo, di fare una passeggiata nel Golfo. Il Re vi acconsentì, e Nelson diresse il suo vascello verso il punto indicato dal pescatore. Ma appena, avean fatto un mezzo miglio, gli ufficiali di guardia sul davanti, videro un corpo che usciva fuori dall'acqua fino ai reni, e pareva venisse incontro a loro. Chiamarono subito il capitano Hardy [*1]  il quale, malgrado le alghe che lo ricoprivano, ed il tempo in cui era rimasto sott'acqua, riconobbe che era veramente il corpo di Caracciolo.

L'imbarazzo fu grande allora, per annunziare al Re la funebre apparizione. Sir William Hamilton se ne incaricò.

Il Re non poteva crederlo, e quantunque impallidendo, passò sul davanti del vascello.

‑ Sire, gli disse Hamilton, è veramente Caracciolo che è rimasto per sì lungo tempo sott'acqua, e n'esce oggi per domandare a Vostra Maestà perdono de' delitti che ha commesso contro di lei.

Sarebbe stato più vero dirgli che era lo spettro d'un innocente che veniva a domandar giustizia del suo assassinio.

il Re, molto commosso, permise che fosse tratto fuori dell'acqua e che gli si desse sepoltura cristiana.

Scese poi nella camera di Nelson.

In questo frattempo si trasse fuori dell'acqua il cadavere. Esso aveva ancora al piede le due palle di cannone che avean servito ad affondarlo nel mare; furono distaccate, ed una parte della pelle sen venne attaccata alla corda che aveva servito a tenerla forte. Furon pesate dal capitano Hardy che verificò il essere risalito sull'acqua, malgrado il peso enorme di 250 libbre.

Il cadavere fu posto sotto terra nella piccola chiesa di S. Lucia.

Abbiamo detto innanzi che la famiglia stessa ignora il luogo della sua tomba.

E' vero che chi fosse stato veduto pregare su quella tomba avrebbe probabilmente pagato, sotto Ferdinando I, Francesco I, e Ferdinando II, la sua pietà con la sua libertà e con la vita forse.

L'indomani di quest'avvenimento, la Giunta di Stato si mise all'opera. Essa giudicava con procedura sicula cioè in virtù dell'antica procedura de' baroni siciliani ribelli. Si prendeva in prestito una legge dal codice di Ruggero, e si dimenticava che Ruggero, meno geloso delle sue prerogative di quel che era Ferdinando non aveva dichiarato che un Re non entrava in trattative co` suoi sudditi ribelli; ma invece dopo aver sottoscritto un trattato con gli abitanti di Bari e di Trani, che seran ribellati contro la sua autorità, l'avea puntualmente eseguito.

Questa procedura era terribile, in quanto che non presentava nessuna sicurezza agli accusati; le denunzie e le spie erano ammesse come pruove e come testimoni: se il giudice la stimava utile, la tortura accorreva in ajuto della vendetta per la quale è già un sollievo, in quanto che accusatore e difensore, tutti e due uomini della Giunta, tutti e due uomini del Re, non erano, per conseguenza, nè uno nè l'altro, uomini dell'accusato; in quanto che i testimoni a carico, ascoltati secretamente, non avevano per contrappeso i testimoni a discarico, ne ascoltati secretamente, nè pubblicamente, in quanto che infine non vi era nè confronto, nè produzione di documenti. La sentenza rimessa alla coscienza del giudice, era nel funesto arbitrio dell'odio reale senza appello, senza dilazione, senza ricorso ; era il patibolo innalzato alla porta del tribunale; era il giudizio la mattina la morte la sera.

E come se la Giunta di Stato avesse voluto, avesse pensato che i suoi giudizi terribili avessero bisogno di toglier ad imprestito, in quanto alla forma, al tempo, all'ora, un terrore più grande di quello che avrebbero ispirato, privi di questo formidabile accessorio ‑ si riunì nell'antico monastero di Monte Oliveto, fondato nel 1411 [*2] , ove il Tasso avea trovato un asilo, e fece una sosta fra la follia e la prigione. Ella pronunziò ivi le sue sentenze durante la notte, e queste erano pubblicate l'indomani, ed il giorno seguente erano eseguite. ‑ 24 ore in cappella, ed il palco ferale !

Per coloro cui Sua Maestà faceva grazia, vi era la fossa della Favignana, cioè una tomba.

Prima di arrivare in Sicilia, il viaggiatore che va da Occidente ad Oriente, vede sorgere dal seno del mare, fra Marsala e Trapani, uno scoglio cui sovrasta un forte ‑‑ è Favignana, l'Aegusa de' Romani; isola fatale. Era già una prigione al tempo degli imperatori pagani; una scala scavata nella pietra, conduce dalla sua sommità ad una caverna posta a livello del mare; una luce funebre vi penetra senza che mai questa luce sia riscaldata da un raggio di sole; cade un'acqua agghiacciata dalla vólta, pioggia continua ed eterna che rode il granito più duro, e che uccide l'uomo più robusto.

Iddio vi guardi dalla clemenza del Re di Napoli!

Del resto, i pochi condannati che passassero dalle prigioni di Napoli alla fossa della Favignana, non trovarono gran differenza fra l'accusa ed il castigo.

Da una di queste prigioni si può giudicare delle altre. Domandate di vedere al castel Nuovo la fossa del coccodrillo. Nel farvi vedere lo scheletro gigantesco dell'animale che le ha dato il nome, e che la tradizione pretende essere stato preso in quella fossa ‑ il custode vi farà passare per la porta sottoposta, e vi condurrà ad una porta segreta che dà sopra una scala di 22 gradini, e mena ad una terza porta massiccia, foderata di ferro ; questa finalmente mette nell'oscura e profonda caverna.

Nel centro di questo sepolcro ‑ opera empia ‑ scavato e costruito della mano degli uomini per seppellirvi i cadaveri vivi de' loro simili, si urta ad un grosso masso di granito tenuto fermo da una sbarra di ferro. Chiude ora l'orificio d'un pozzo che comunica col mare. Nei giorni di tempesta l'onda sale schiumando attraverso le commessure del pietrone, mal connesso col pavimento, si sparge nella caverna, e perseguita il prigioniero perfino negli angoli più lontani della sua prigione.

Da questa bocca dell'abisso, dice la lugubre leggenda, uscendo dal vasto seno del mare, appariva un tempo, l'immondo rettile, che ha dato il suo nome a quella fossa.

Quasi sempre vi trovava una preda, e, dopo averla divorata, tornava ad immergersi nel mare.

Là, dice ancora la voce popolare, furon gittati dagli Spagnuoli, la moglie ed i quattro figliuoli di Tommaso Aniello, quel Re de' lazzaroni, che stette lì lì per liberar Napoli e che ebbe la vertigine del potere, nè più nè meno di Caligola e di Nerone.

Il popolo avea divorato il padre ed il marito; il coccodrillo, che ha, certo, qualche rassomiglianza col popolo, divorò la madre ed i figli.

A confessione del Re medesimo, come abbiamo già detto, in una lettera che quando sarà suo tempo, porremo sotto gli occhi de' nostri lettori, e nella quale invita Ruffo a farle sgombrare a beneficio della mannaja e delle forche, vi erano 8.000 carcerati in quelle prigioni di cui abbiamo fatto un abbozzo.

Ognuno di que' cerchi d'inferno, cui bisognerebbe un altro Dante per descriverli, aveva i suoi demonii incaricati di tormentare i dannati.

Eglino dovevano rendere più pesanti le catene, irritare la sete, prolungare il digiuno, togliere la luce, insozzare gli alimenti, e pur facendo della loro vita un continuo supplizio, impedire ai prigionieri di morire.

Infatti, si era dovuto pensare che, sottoposti a simili tormenti, precedenti tali supplizi, il suicidio diventerebbe l'angelo liberatore de' poveri prigionieri.

 

Tre o quattro volte, ogni notte si risvegliarono quelli che potevano dormire, sotto pretesto di perquisizioni. Tutto era proibito: bicchieri, perchè un frammento poteva servire ad aprire le vene; i lenzuoli, perchè fattene strisce, potevano servire invece di corde e prevenire il capestro.

I tre tormentatori, di cui la storia ha conservato il nome, erano: uno svizzero, chiamato Duecce, che dava per iscusa della sua crudeltà, la famiglia numerosa che doveva nudrire;

Il colonnello De Gambs ‑ un tedesco che abbiam veduto posto sotto gli ordini di Mack e fuggiasco con lui, e che vedremo, vecchio, espiare le colpe dell'uomo maturo e portare il lutto di suo figlio, assassinato da' briganti ch'era incaricato di reprimere, e che represse poi Manhès.

Infine, il nostro zelante Scipione la Marra, il portastendardo della Regina, del quale la Regina si era fatta garante presso il Cardinale, e che avea fatto onore alla sua reale mallevadrice, arrestando Caracciolo, e conducendolo ammanettato a bordo del Foudroyant.

In mezzo a tutti questi preparativi di morte, un uomo, quegli che avea fatto più di tutti, il Cardinale Ruffo, accusato, non solamente di simpatia pe' giacobini, ma d'intrigare con loro, passivo, e avendo le mani legate dal suo nuovo titolo di luogotenente del Re, vedeva prepararsi la terribile reazione che si avanzava.

Dopo la sua lettera del 16 luglio, nella quale il Re si lamentava che Maresca non avesse gittato a mare Ottavio Caracciolo, il Re non gli aveva più scritto e non doveva scrivergli se non da Palermo per incaricarlo di rinfocolare i carnefici che cominciavano ad intiepidirsi.

In quanto alla Regina ‑ offesa, come s'è veduto, dalle capitolazioni che riguardava come una vergogna per la dignità reale ‑ ella avea, se non sospeso, almeno renduto meno frequente la sua corrispondenza, sotto il pretesto de' tanti affari di cui il Cardinale era sopraccaricato, ma realmente perchè avendo egli compita la sua missione, ella non aveva più nulla ad aspettarsi da lui.

Ecco ciò che gli scriveva il 24 luglio.

« Sono più rara a scrivere a Vostra Eminenza perchè supongho quando era afolata di affari non ho che dirle sulle medesime il Re ed i suoi Ministri trovandosi a Napoli li parlerano in dirittura ed io in questa lontananza ignara di tutte le circostanze non potrei che dire spropositi e percio mi rimetto a dare le notizie a Vostra Eminenza di noi altri a Palermo i suoi due fratelli come sua sorella godono buonissima salute o parlato molto con Cicio ed ho visto con amirazione le fatiche pene viaggi e veramente miracolosa operazione fatte dalla sua degna e zelante persona e che li acquistano la mia Eterna Riconoscenza tutti quelli che qui si affolla delle provincie vengono mi confirmano nella mia Amirazione per le gran fatiche di Vostra Eminenza fatte nel dare risposta a sesto a tutte le migliaja di domande in somma sempre più vedo quando li dobbiamo e mi creda pure che la mia Riconoscenza sara Eterna ‑ Mi creda pure con vero cuore

 

«24 Luglio 1799

 

« ed Eterna Amica CAROLINA.

 

Se, in presenza di queste proteste di gratitudine sincera e d'amicizia eterna, il lettore dubitasse ancora della ingratitudine, diciamo meglio, dell'odio della corte di Napoli pel Cardinale ‑ gli porremmo sotto gli occhi queste due lettere, scritte lo stesso giorno, una da Carolina a Ruffo, l'altra da Nelson a Lord Minto.

Si noti la differenza fra il Cardinale calabrese, ed il commodoro Inglese; uno non è altro che il confidente delle sue ambizioni, mentre l'altro è l'esecutore delle sue vendette.

Le due lettere hanno la stessa data, sono scritte da Palermo, e sono partite, una accanto all'altra.

 

« Palermo 20 Agosto 1799.

 

« All'Onorev. Lord Minto.

« Mia caro Lord

« Corre voce che siete a Vienna.

Vi scrivo dunque nella speranza che sia così per assicurarvi della mia inalterabile devozione. Mi sono adoperato sotto i vo stri ordini pel bene pubblico, e per amore del mondo civile. Fate che possiamo       ancora lavorare insieme e che la più grande azione della nostra vita sia di far impiccare Thugut, il Cardinale Ruffo e Manfredini. Al solo veder Thugut il vostro spirito penetrante comprenderà immediatamente che è uno scellerato. S'egli fosse in questa camera, in cui ho detto altrettanto a Manfredini, gli parlerei nello stesso modo. I loro consigli sono dannosi tanto al Re quanto all'Europa. Traduceteli innanzi ad un tribunale, e vedrete che sono amici de' francesi [*3]  e che tradiscono l'Europa. Perdonate questo modo di parlare d'un uomo di mare che dice la verità per isvelare il demonio.

Mio caro Lord, questo Thugut cospira contro il nostro Re inglese di Napoli, e contro la sua famiglia. Compiacetevi sorvegliare quel birbante, e vedrete che vi dico la verità. Vivo in compagnia di Sir William e di Lady Hamilton. Ciò è dirvi assai chiaramente che, nella mia vita privata, sono felice, e non mi occupo degl'imbarazzi dello Stato; ma lasciate impiccare questi tre birbanti, e tutto andrà benissimo. Sir William e Lady Hamilton vi presentano i loro rispetti. « Vogliate riguardarmi sempre come vostro devoto amico.

 

NELSON.

« Mando questa a Vostra Eminenza da don O. Giovanni Amato medicho della fa

miglia che ha servito da me.

dicho per l'esercito da per tutto che ha perso tutto all Isola famiglia ed avere suo fratello e referendario delle finanze giovane di faticha e talento non posso fare a meno questa gente che ho prima conosciuta e so che han ben servito racomandarli a Vostra Eminenza quando loro me ne pregano e prendo anche così l'occasione di rin novarmi alla sua memoria ed poterle assicurare che Sono di vero e grato cuore sua vera e

« Li 20 agosto 1799

« riconoscente Amica« CAROLINA

 

Voi lo vedete; Nelson, l'amico, il confidente, il sostegno della monarchia siciliana; quegli che il Re ha fatto duca di Bronte, cui ha costituito 75,000 lire di rendita e ha dato la spada di Luigi XIV, come salvatore del reame, Nelson è di parere di far impiccare Ruffo. Caracciolo gli ha fatto venire l'acquolina alla bocca; poi la corda è in moda.

Dal 6 di luglio s'impicca a Napoli, sotto gli occhi del Re. Domenico Perla ha aperto la lista funebre, sulla piazza Capuana; e questo stesso 20 agosto, data delle due lettere, sulla piazza del Mercato, sono stati decapitati: Giuseppe Colonna, figlio del Principe di Stigliano; D. Gennaro Serra de' duchi di Cassano ‑ ed impiccati; Vincenzo Lupo commissario del Governo; monsignor D. Michele Natale vescovo di Vico; il prete, matematico e botanieo, Nicola Pacifico; D. Antonio Piatti; D. Domenico Piatti; ed infine l'illustre Eleonora Fonseca di Pimentel.

In mezzo a questo pubblico lutto, un uomo si rallegrava alla vista di tanti carcerati destinati alla marmaja ed alle forche, vedendosi prossimo ad arrichirsi.

Era il boja, che riscuoteva sei ducati per ogni esecuzione di sentenza.

Ma chi può contare sull'avvenire? Il procuratore fiscale barone D. Giuseppe Guidobaldi, comprese che il boja avrebbe finito per aver più de' giudici, cosa che non era giusta.

Per conseguenza, Mastro Donato [*4]  cessò d'essere pagato a tanto per esecuzione ed ebbe un soldo fisso e mensile [*5] .

 

 

 

 

 

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 [*1]         Quello stesso che raccolse l'ultimo sospiro di Nelson a Trafalgar.

 [*2]         Da Cuzello Origlia, favorito del Re Ladislao.

 [*3]        Amici de' Francesi Ruffo, Thugut e Manfredini!!!

 

 [*4]        cosi si chiamava il boia. Una canzone popolare di quel tempo che si leggerà, quando racconteremo la morte d'Eleonora Pimentel, ci ha conservato il nome di quel funzionario.

 

 [*5]        Siccome si potrebbe dire che, narrando questi particolari, diamo sfogo alla nostra fantasia di romanziere, citiamo qui le proprie parole di Vincenzo Coco:

« La prima operazione di Guidobaldi fu quella di transigersi con un carnefice. Al numero immenso di coloro che egli voleva impiccati, gli parve che fosse esorbitante la mercede di sei ducati per ciascuna operazione, che, per antico stabilimento, il carnefice esigeva dal fisco; credette poter procurare un gran risparmio sostituendo a quella mercede una pensione mensuale. Egli credeva che almeno per dieci o dodici mesi, dovesse il carnefice essere ogni giorno occupato».