DENUNZIA DI PIER NICOLA PATARINO.

 

Die decima secunda mensis decembris 1793 et coram Neapoli­

 

Sacerdote don Pietro Nicola Patarino, di età sua d'anni 27, dalla terra di Gioia di Bari, al presente commorante in Napoli causa studii ed abitante alle case di Giacchino Caccavo site alla Carità, testis cum iuramento interrogatus et examinatus super praesenti informatione; e primo :

 

Interrogatus se conosce il sacerdote secolarizzato don Carlo Laubergh ed al presente della sua compagnia, per qual'occasione si è presentato a S. E. il signor generale Acton, come, quando e per qual causa;

 

Respondet: "Conosco benissimo don Carlo Laubergh, monaco spogliato della religione da' Scolopi, in occasione ch' essendomi portato in Napoli per studiare sin dal mese di novembre dell'anno 1792 dalla mia patria di Gioia di Bari, fui raccomandato al canonico don Biaggio Del Re ed a don Michele suo fratello, paglietta, per essere del proprio mio paese, onde, avendo bisogno di maestro della filosofia e geometria, essi medesimi Del Re, in un giorno che non mi ricordo il positivo, mi invitorono a pranzo in casa loro, dove pranzò anche un prete, che per allora intesi chiamarsi don Carlo Lanbergh monaco da poco allora spogliato dalla religione de' Scolopi, e vi mangiò pur anche il fratello di detto Laubergh, che si trova adesso in Chieti. In quel giorno conobbi che vi era stretta amicizia tra detto Laubergh e li sudetti fratelli Del Re, perché mi proposero per uno de' suoi discepoli per lo studio, dicendomi ch'era un gran maestro, com'in effetti io mi portai a sentire le lezioni suddette nello studio di Laubergh, il quale, a contemplazione di detti fratelli Del Re, non volle da me mesata alcuna, come si rileva da una lettera scritta dal medesimo don Biagio a mio zio don Antonio Patarino in Gioia; e, continuando io da discepolo presso il Laubergh, più volte abbiamo insieme mangiato nella casa de' nominati fratelli Del Re, con altra gente, ed alcune volte colla medesima sorella del Laubergh, e tra quasta gente, che non conosco, mi ricordo avervi pranzato il segretario di Maddaloni, chiamato don Giuseppe. E, continuando io a continuamente trattare con detto Laubergh e detti fratelli Del Re, rilevai che i medesimi erano celebri giacobini inimici della monarchia, a motivo che i medesimi li vedevo venire con don Annibale Giordano lettore di matematica nella Nunziatella, con Rocco Lentini di Monopoli studente di Conforto, con don Emmanuele De Deo di Minervino, don Silvio Bonavoglia di Gioia, don Pietro Romanazzi di Putignano, don Ignazio Ciaia officiale di Segretaria dell'Ecclesiastico, don Filippo Carella di Conversano, don Raffaele Netti di S. Eramo, don Giuseppe Banchi e suo fratello, un padre olivetano, che intesi chiamarsi don Raimondo Grimaldi, don Gregorio Tresca, e molti altri che non so il nome (ma, vedendoli, mi fiderei conoscerli, per averli più volte visti), con tutta la massima riserva ora nella casa di detto Laubergh, ora nella casa di detti fratelli Del Re ed ora altrove, e trattavano con tale segretezza in detta unione, che non permettevano l'entrata a persona veruna, guardandosi anche di me medesimo. Ed io ho giudicato essere giacobini, come di sopra ho detto, non solo per l'unione segreta, che vedevo fare, ma perché l'intendevo sparlare contro il monarca, lodando la condotta de' Francesi e biasimando quella de' sovrani. Dicevano pur anche che i Francesi sarebbero venuti sicuramente e si sarebbero fatti padroni del Regno, ed in tal guisa si sarebbe introdotta la libertà ed uguaglianza, e si opprimeva il nostro sovrano, [dicendo] fosso peggiore di quello de' Francesi e questo descorso era in bocca di ognuno di detti soggetti, i quali dicevano che il sovrano era una schiavitù. Me ne confirmai in questo sentimento, perché, nella venuta della navi francesi in Napoli, tre o quattro volte nella comitiva predetta si posero le coppolelle rosse sotto la loro giamberga, nella stessa maniera che; la portavano i Francesi: e questi furono li sudetti don Rocco Lentini, don Raffaele Netti e don Michele Del Re; e li medesimi mi confidarono ch' erano andati a mangiare sopra le navi predette, vantandosi che altri non erano stati ricevuti, e che l'officialità francese li trattava con intrinsichezza, dicendo a me che, se fossi, andato io, m'avrebbero buttato a mare.

 

Mi persuasi maggiormente di tutti i fatti suddetti dall'aver veduto coi propri occhi praticare in casa di Laubergh il comandante monsieur Latouche, come l'intesi chiamare e, perché vi era detta gente unita in detta casa, cercai di sapere perché detto Latouche era ivi andato, e dal De Deo mi fu detto in confidenza che Latouche doveva dare le regole per introdurre la libertà e l'uguaglianza, e da Bonavoglia intesi che, mentre detto Latouche si presentò al re per portare l'imbasciata in nome della Nazione, si pose la coppolella in capo, e che S. M. si pose a paura; ed in effetti viddi allora che il Laubergh si pose a parlare in francese un pezzo in sua casa con detto Latouche, per cui non era inteso da nessuna persona; ma, essendosi detto Latouche licenziato dal Laubergh, ebbero la curiosità di sapere cosa avevano discorso, giacché, parlando, ridevano fra di loro: onde il Laubergh raccontò a tutti, me presente, che monsieur Latouche era andato a vedere la porcellana di S. M., dove avea trovata la statua di Bruto, iddio della libertà, ed egli in mezzo a tanta gente si aveva posto la coppolella e l'aveva adorato; e, dopo tal racconto, tutti dell'unione da me deposta me ne fecero andar via, restando tra di loro.

 

Restai anche sorpreso e mi confirmai che tutti di detta unione erano giacobini dall'aver veduto che la lettera mandata da monsieur Latouche al pontefice era nelle mani di Laubergh, che ne dava le copie a tutti i suoi compagni, e facevano pompa d'una lettera, che si diceva fatta al nostro sovrano da' Francesi, per far vedere lo spirito de' republicani quanto era più grande (come loro dicavano) di quello de' monarchici, la quale lettera, tradotta dal francese, la diede a me, per leggerla, don Michele Del Re, e mi ricordo benissimo che nell'ultimo di detta lettera si leggeva; " o Acton nelle nostre mani, o Napoli in polvere ". E non solo leggevasi detta lettera; ma benanche tutto le scritture, che sono uscite dalla Francia, si trovavano nella mani di detto Laubergh e si leggevano tra di loro, tradotte dal medesimo in idioma italiano, facendoli stampare dallo stampatore Gennaro Ciaccio ed altri stampatori di questa città, secondo io intesi.

 

Ed è tanto ciò vero che don Silvio Buonavoglia mi confidò che le costituzioni giacobiniche pubblicate in Francia per il nuovo governo, che spiegavano la libertà e l'uguaglianza, con molti capitoli e note fatte sopra le costituzioni sudette, l'aveva tradotte detto Laubergh in lingua italiana, e, l'aveva fatto stampare assieme con detti suoi compagni, non sapendo quante se ne divisero tra di loro. Ma mi costa benissimo, per averle vedute, che sopra la casa de' fratelli Del Re ve n'erano un numero significante di dette costituzioni, delle quali certe ne mandorono nel loro paese, avendo tutti dell'assemblea suddetta il medesimo assunto di mandare dette carte nel loro paese, forse per far numero di giacobini. Ed avendo avuto io la mira di averne una copia, di queste costituzioni giacobiniche, il giorno de' 6 del corrente mese di decembre 1793, essendomi portato a questo effetto nella casa del sudetto don Emmanuale De Deo, a cui l'istesso giorno aveva veduto uscire dalla casa di detti fratelli Del Re con un fascio di dette stampe giacobiniche, datasi l'occasione, nella casa di detto De Deo, che si cocevano certi maccaroni nella cucina nella quale eravamo insieme con detto De Deo, onde finsi di levarmi certa cioccolata da sacca, lasciando il De Deo nella cucina, dove, avendo tirato un tiratoio della sua boffetta, ritrovai dette stampe conservate: ne presi subito una copia di esse, e me la posi nella mia sacca, ritornando nella cucina col detto De Deo. E, come che per bocca di don Silvio Bonavoglia e di don Michele Del Re avevo inteso che, nel tempo delle navi francesi venute in Napoli rovinate dalla tempesta, il prefato don Carlo Laubergh, don Filippo Carelli, che al presente si trova nella sua patria di Conversano, con tutti gli altri dell'assemblea avevano dato giuramento presso monsieur Latouche in casa di don Ignazio Ciaia di essere fedeli sempre ai Francesi e contrari al nostro sovrano, che mi fu confermato di essersi dato detto giuramento da don Rocco Lentini di Monopoli e da don Emmanuele De Deo sudetto di Minervino, che loro anche avevano dato detto giuramento; come pure da detto don Michele Del Re, da Lentini, da Bonavoglia e dagli altri dell'assemblea mi fu detto ed assicurato che il Laubergh aveva fatta la risposta alla relazione di Roma per il fatto di Basaville, [e] infatti vendeva le copie cinque grana l'una; e da più persone dell'assemblea medesima ero assicurato che in Marsiglia i Francesi avevano fatto giuramento di deporre le armi allora quando riducevano in polvere Napoli, e che fra altro poco di tempo si ripigliavano, forse nel mese di decembre corrente, il porto di Tolone, per cui li vedevo tutti attenti a far numero di compagni, dando per certo che da Marsiglia erano uscito 18 navi francesi, che venivano a distruggere Napoli, lagnandosi per disgrazia della carcerazione seguita di un certo ufficiale, detto don Cesare Paribelli, dicendo che avevano perduto uno dei migliori compagni, perciò, essendo entrato io in gran scrupolo di coscienza nel tenere in segreto tutti gli anzidetti fatti, in pregiudizio della suddetta tranquillità, ed anche per essere affezionato vassallo della Maestà del sovrano (che Dio guardi), per cui io vi spargerei il mio sangue, stimai perciò giusto di presentarmi a S. E. il generale Acton, esibire nelle sue mani le costituzioni suddetto in istampa, ed informarlo di tutto ed accúdere presso la, persona di Vostra Signoria illustrissima, come ho fatto, e questa è la verità".

 

E mostrata a detto testimonio detta costituzione in istampa, che comincia: " Atto costituzionale della dichiarazione in 35 articoli ed atto costituzionale della republica in 124 colle note alla margine " respondet: Il Signore, questa stampa di costituzioni, che mi mostrate, è l'istessa che io ho esibita a S. E. e per detto effetto da me si sottoscrive ".

 

Interrogato chi può deponere di tutto ciò, che ha deposto, respondet: " li sopra detti fatti in parte si possono deponere da don Giuseppe Favale, da Pietro Nicola Favale, da Nicola Basile, Martino Catucci, da don Francesco Colucci e suo nipote, da don Francesco Indelicato, che sa tutti i fatti suddetti, dimorante adesso in Gioia sua patria, e dalla serva di detto don Silvio Bonavoglia, detta Fortunata, e finalmente da Nicola e Filippo La Manna, al primo de' quali don Emmanuele De Deo suddetto, avendo veduto su la boffetta di detto Lamanna alcune pezze di scarlato per essere egli sartore, gliele dimandò, come li furono dato, ed io feci giudizio che li servivano per fare le coppolelle e di ciò ne parlai al sartore sudetto, il quale si mostrò dispiaciuto".

 Sacerdote Pietro Nicola Patarino ho deposto come sopra.

 

Die secunda mensis maii 1794, Neapoli.

 

...Interrogato che sa della congiura e cospirazione tramata contro de' nostri amabilissimi sovrani e di altri, da chi, quando, dove, in che modo e per qual causa, depone: "Io, doppo che rappresentai a S. E. il signor generale Acton tutto ciò che in coscienza mi costava su detto fatto, che al presente, alla venerata presenza di loro signori, sono domandato, l'Eccellanza sua si degnò imponermi che accudito avessi per il medesimo assunto appresso la persona del signor consigliere don Francesco Caccia, come io eseguii; e ciò accadde prima della metà del mese di decembre del prossimo scorso anno 1793, allora quando, alla presenza del medesimo signor consigliere, feci la mia giurata deposizione, che perciò al presente, per non fare errore e per meglio ricordarmi, ritrovandosi la medesima in potere di questi magnifici subalterni, che alla vostra presenza m'esaminano, domando che mi rattrovi e legga per poterla ratificare, spiegare, aggiungere o mancare, secondo sarà l'occorrenza ".

Et inventa quoad depositione, sub eius nomine et  cognomine facta, in praesenti processu sistente fol. 6, quae incipit: Die 12 mensis decembris 1793, Neapoli et coram illustrissimo regio do­mino consiliario don Francesco Caccia delegato. Sacerdote don Pietro Nicola Patarino d'età sua d'anni 27 ; et seguendo finit il quale si mostrò dispiaciuto cum subscriptibus dictantibus.  Il  sacer­dote Pietro Nicola Patarino ha deposto come sopra. Caccia Mor­rone, actum assistenti. Lecta eidem de verbo ad verbum uti iacet et per eundem audita, intellecta atque visa, deponit: " Signori illustrissimi, questa deposizione, che ora mi si è dimostrata e letta, per cui ho compreso da parola in parola quanto nella medesima si contiene e sta scritto dal principio sino alla fine, ed ho conosciuto la mia firma, che in essa di mia mano e carattere vi feci, è la stessa e propria mia deposizione, che nel suddetto tempo feci avanti del suddetto signor consiglier Caccia, e quanto in essa si contiene e sta scritto è vero, verissimo, ed io lo deposi per essere la verità, onde, bisognando, al presente di nuovo l'accetto, confirmo, omologo, ratifico e ripeto.

 

Occorrendomi ben vero di aggiungere che io, nella suddetta mia deposizione, fatta avanti del signor consigliere Caccia, nominai, nell'esser stato domandato da chi si potevano contestare le cose, che avevo come sopra deposto, tra l'altri soggetti, don Francesco Indelicati, il quale è suddiacono e mio paesano, come nativo della terra di Gioia, mia patria, l'istesso che, da alcuni mesi a questa parte, stando in questa città, si ripadriò. Ma mentre era stato in questa suddetta città, in tempo che capitorono in questo porto le navi francesi infrante per la tempesta sofferta, mi costava che aveva tutta la confidenza col don Carlo Laubergh, unitamente col quale, ed in società anche degli altri che ho nominato nella suddetta mia deposizione, viddi che si portarono spesse volte sopra la navi suddette, avendoli in varie volte accompagnati fino al Molo, dove imbarcavansi sopra di qualcuna di quelle barchette, col comodo delle quali si faceano trasportare sopra delle mentovate navi francesi; e, per quel che lo stesso Indelicati ed altri mi dicevano, avevano contratta tal confidenza col comandante della medesima, che intesi chiamarsi monsieur Latouche, che, oltre del mangiarvi varie volte uniti, vi facevano parimenti delle conferenze di cose interessantissime e segrete; ed in una di tali unioni il Latouche suddetto avea cantato un inno alla libertà con l'applauso ed approvazione universale. Ma, quando lo stesso Indelicati si partì da quì per Gioia, viddi, perchè unito al medesimo di casa, che si portò seco moltissime carte a favore de' Francesi e contro il governo monarchico e, tra l'altre, alcune satire contro, dei nostri amabilissiimi sovrani. Ed in occasione di ritrovarmi ad abitare ancora unito col don Emmanuele De Deo e don Silvio Bonavoglia, altri miei paesani, mi ricordo che, verso gli ultimi giorni del mese di novembre del prossimo passato anno 1793, tempo in cui dovevo partire per Gioia assieme col don Silvio Bonavoglia, il detto don Emmanuele in mia presenza chiuso in carta un fascio di costituzioni nazionali francesi, e volava che l'avessi portate al suo fratello don Giuseppe in Gioia, cosa che, a me dispiacendo, mi fe' risolvere di non partire, ma di portarmi, siccome mi portai, da S. E. il signor cavaliere Acton a farlo il tutto noto. Ed essendo partito il solo Bonavoglia, a questo diede il don Emmanuele l'involto delle descritto costituzioni, per recarle al fratello, siccome il Bonavoglia promise di eseguire e partì; quali carte e satire, per quanto seppi da alcuni miei paesani, che non mi ricordo chi stati fussero, nell'esser giunto l'Indelicati in Gioia, ne fece spaccio a molti, facendole leggere e copiare. Ed avendo avuto premura dal don Antonio e dal sacerdote don Colombano fratelli di Losito, altri nostri paesani, per averle, prendendosi l'assunto di pubblicarle, datigliele dall' Indelicati, i medesimi non solo in loro propria casa l'esibivano agli amici per leggerle, ma anche le portavano in piazza, ove pubblicamente le leggevano, smaltendo che la conservavano come un deposito prezioso; ma finalmente furono costretti bruggiarle, allora quando l'uditor Massimi carcerò don Silvio Bonavoglia e don Giuseppe De Deo.

 

Un'altra copia di costituzione nazionale francese la diede Indelicati a don Filippo Giordano, anche di Gioia, e costui ha fatto l'istesso dei detti fratelli Losito, portandola sempre addosso e facendola leggere a chiunque, per cui alle volte ne riportavano acerbissimi rimproveri da molti di quei onesti cittadini; colla quale lettura di carte ne sia divenuta in Gioia la ruina, fidandosi molto al partito giacobino, sorgendone continui tumulti e l' infamia di molte famiglie, e che il detto sacerdote don Colombano, per il suo spirito di libertà, abbia stuprate ed incinte molte fanciulle.

 

Stimo di bene ancora di far presente alle Signorie Loro che, poco tempo addietro, mi pervenne da Gioia, per la posta di Bari, una lettera anonima del seguente tenore, per quanto mi ricordo. "Nello scorso maggio 1793 si tenne un convito sopra donn'Anna Sala Bottiglione, dove intervenne don Bernardo Palmieri, il reggente conventuale Mastropaolo, il governatore, li fratelli don Emmanuele e don Giuseppe De Deo ed il canonico don Biagio Del Re, ed in atto del pranzo si lessero molte satire contro del re e della regina, ed il don Emmanuele De Deo perorò la causa della libertà, e, trasportandolo tanto la follia, con un coltello alla mano corse ad un ritratto del re e disse che, se era realmente il re, l'avrebbe ammazzato, al che interloquì il detto canonico don Biagio Del Re, e disse: ‑ Tra breve speriamo fare ammazzare il re e la regina;" ed altro che non mi ricordo. Questa tal lettera subito la passai nelle mani del profato signor consigliere Caccia per l'uso conveniente, e sento che in Trani sia stato incaricato l'uditor Massimi per l'appuramento. E questa è la verità ".

 

Sacerdote Pietro Nicola Patarino ho deposto come sopra.

 

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