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Clorinda Irace
E.F.P
Le tracce, i luoghi
Sulle orme di Elonora de Fonseca
Pimentel tra strade e palazzi napoletani |
Il Teatro San Carlo:
la vita mondana
La Marchesa Eleonora de Fonseca Pimentel in qualità di
nobildonna fu certamente invitata alle serate di gala che si svolgevano nel
teatro lirico più importante del Regno, il San Carlo, fiore all'occhiello dei
Borbone che ne sovvenzionavano l'attività con grosse somme di denaro. A
spingerli, più che l'amore per la musica, era il gusto della mondanità. Il
teatro era stato inaugurato il 4 novembre 1737 per l'onomastico di Re Carlo
(che aveva fortemente voluto la sua edificazione) durante una serata mondana di
cui le cronache del tempo parlarono a lungo. Si rappresentò “L'Achille in
Sciro” musicato da Domenico Sarro su libretto del famoso Metastasio. Anche se
il teatro ospitò i grandi librettisti e musicisti del tempo, l'ascolto della
musica non era la motivazione principale della maggioranza dei suoi frequentatori.
E’ noto, infatti, che in Italia a teatro si mangiava, si chiacchierava,
nascevano amori, si giocava a carte e a scacchi: il San Carlo non era da meno.
Significativa, a tal proposito, la testimonianza di Jean Jacques Rousseau, che
durante il suo soggiorno a Venezia come segretario del conte di Montaigne, ebbe
modo di crucciarsi del vocío nel palchi del teatro.
Tornando ad Eleonora, è ancora il romanzo di Striano
che aiuta la nostra immaginazione, raccontandoci di una rappresentazione importante
al San Carlo in onore del Re e della Regina in una tiepida serata di maggio. In
scena il “Peleo” scritto per l'occasione e musicato da Giovanni Paisiello. Alla
serata di gala, Eleonora, con il suo stupore e la sua curiosità di giovane
donna, oramai inserita nel bel mondo napoletano la prima volta che vedeva il
famoso teatro: splendido nel suo tepore scarlatto, nello scintillio dei
gioielli ( ... ) dava sensazione di isolare dal mondo per tenere lì racchiusi
tutti insieme gli aristoi, diversi, i benedetti da fortuna, abilità, talenti[*1].
Più tardi, quando la Marchesa Pimentel diverrà la “cittadina” Eleonora, le
cronache della repubblica ce la descrivono nel teatro divenuto Teatro Nazionale
e aperto al popolo gratuitamente per fini pedagogici.
Oggi, il Teatro San Carlo è uno dei più noti teatri
lirici del mondo. Ciò che noi vediamo oggi non è esattamente quel che nel
Settecento costruì Angelo Carasale su disegno di Giovanni Antonio Medrano e che
costò l'enorme cifra di centomila ducati. Numerosi furono gli interventi
successivi per migliorarlo, si ricorda, ad esempio, la ricostruzione di Antonio
Niccolini che si rese necessaria dopo il tremendo incendio scoppiato il 12
febbraio 1816 successivamente alle prove di un balletto, forse per una lucerna
lasciata accesa. In pochissimo tempo, il teatro fu ricostruito e Re Ferdinando
poté riaverlo per il suo compleanno, nel mese di gennaio. Altri restauri ancora
interessarono la struttura successivamente. Noi oggi possiamo ammirare una sala
sfarzosa con decorazioni dorate ed un'acustica perfetta. Ha 184 palchi in sei
ordini e contiene circa 3000 spettatori: la volta è stata dipinta da Giuseppe
Cammarano che ha eseguito un progetto di Niccolini raffigurante Apollo che
presenta a Minerva i maggiori poeti greci, latini ed italiani Il sipario,
dipinto da Giuseppe Mancinelli, rappresenta le muse e Omero con ottanta tra
poeti e musicisti disposti a gruppi.
G. E Coyer, viaggiatore settecentesco, nel suo”Voyage d'Italie et de
Hollande” così scrive: “Più si procede lungo l'Italia e più la musica avanza
nella perfezione. E Napoli è l’apice”. Testimonianza significativa se si
considera che a Napoli nel Settecento c'erano ben quattro conservatori che
fungevano dacase per il ricovero e l'educazione dei fanciulli abbandonati,
Santa Maria di Loreto, la Pietà dei Turchini, Sant'Onofrio, dei Poveri di Gesù
Cristo, tutti fondati nel Cinquecento. I quattro Conservatori napoletani furono
poi riuniti nel Conservatorio di San Pietro a Maiella, tuttora lustro della
musica italiana. In questi luoghi si portava avanti anche la triste tradizione
dei castrati, ragazzini particolarmente dotati per il canto, poverissimi o
senza famiglia che erano evirati (non a Napoli) per conferire alla loro voce
peculiarità angeliche. Venivano cresciuti e musicalmente preparati nei
Conservatori e nei casi migliori li attendeva un futuro da grandi star della
canzone lirica. Antonio Majorano, detto Caffarelli Gioacchino Conti, detto
Gizziello raggiunsero notorietà e compensi da capogiro nei maggiori teatri
lirici del mondo. C'è da osservare, tuttavia, che accanto a questi casi
fortunati, tanti altri finivano per vivere da handicappati per tutta la vita.
Oltre che per i cantanti, Napoli settecentesca era famosa per i suoi ottimi
musicisti: Pergolesi nel 1733 musicò: “La serva padrona”, Paisiello nel 1775,
“Socrate immaginario “, Cimarasa, nel 1792 Il matrimonio segreto”, tutti lavori
famosi ancora oggi, in cui il musicista sovrapponeva la sua abilità a quella
del librettista. Cimarosa, tra l'altro, entrò anche nei circoli giacobini e
compose la musica di un inno alla libertà.