Clorinda Irace

 

E.F.P

Le tracce, i luoghi

 

Sulle orme di Elonora de Fonseca Pimentel tra strade e palazzi napoletani

Parrocchia di Sant’ Anna di Palazzo:

amore e morte

E’ la Chiesa dove Eleonora si sposò nel febbraio del 1778 con Pasquale Tria de Solis. Lei aveva 25 anni e in quella stessa chiesa aveva seppellito la madre; lo sposo, più maturo, aveva 44 anni.

Le nozze furono fastose, come si evince dalla testimonianza della de Fonseca al processo di separazione  [*1] e possiamo immaginarcela, secondo la moda del tempo, con un abito bianco che risplendeva sui capelli neri e ricci. Striano ce la descrive “imbacuccata nel mantello viola che copriva l'abito nuziale[*2] ”. Lo sposo, essendo un ufficiale regio, sicuramente indossò l'alta uniforme di gala. Prima che si pronunciasse il 'sì', i famigliari avevano a lungo discusso i capitoli economici e si era convenuto che la sposa portasse in dote, oltre al corredo, 4000 Ducati di cui 1000 in contanti più altri 333 perché il marito comprasse una nuova proprietà. Di contro, il marito si impegnava a fornire alla moglie 50 Ducati l'anno per donativo di “lacci e spille” ossia per l'acquisto di cose personali che le garantissero il decoro. Il capitano Tria non mantenne mai i suoi impegni mentre fu solerte nel dilapidare la dote, come è registrato nella testimonianza resa al processo di separazione dalla malmaritata contessa (tale era divenuta la marchesa de Fonseca sposando Pasquale Tria): era un uomo dalle mani bucate e malgrado la dote assegnatami rifiutava finanche lo spillatico pattuito nel contratto matrimoniale. Rifiutava persino di comprarmi un vestito buono per uscire [*3] .

Oggi, dove un tempo sorgeva il tempio vi è un palazzo poiché la Chiesa fu abbattuta nel 1964. Era conosciuta come “Sant'Anna vecchia” da quando non fu più sede parrocchiale per cedere il passo alla Chiesa di Rosario di Palazzo, detta, per l'occasione, “Sant'Anna nuova”. Quest'ultima è tutt'ora visitabile, nella Piazzetta Rosario di Palazzo n°8, ubicata tra Via San Mattia, Vicoletto Rosario di Palazzo e traversa Cedronio. Il nome della piazzetta ci riconduce all'antica denominazione della chiesa, la cui fondazione nel 1572 intendeva celebrare la vittoria di Lepanto avvenuta il precedente anno sotto l'egida della Vergine del Rosario. Di quest'epoca, è visibile oggi solo il portale di piperno che riproduce lo stemma di Michele Lauro, donatore del suolo su cui i Domenicani fecero edificare la Chiesa. Qualche traccia della prima sede parrocchiale, Sant'Anna “vecchia” è ancora presente: la fonte battesimale della metà del Settecento e l'altare maggiore progettato nel 1729 da Domenico Antonio Vaccaro. L'annesso convento fu adibito a Stamperia Reale che ebbe l'incarico di pubblicare gli stupendi volumi delle “Antichità di Ercolano”. La Chiesa dove Eleonora si sposò, tuttavia, aveva ben altro da mostrare, poiché testimonianze tardo ottocentesche ce la descrivono come ornata da mirabili affreschi di De Matteis e abbellita sull'altare maggiore da un dipinto di Sabatino, raffigurante Sant'Anna con la Vergine e San Gioacchino.

 

 

 

 

La dote nel Settecento

Documenti dell'epoca attestano che la dote nel Settecento subì notevole incremento al punto tale che spesso nelle famiglie aristocratiche si sosteneva il matrimonio di una o al massimo due figlie per non disperdere troppo le finanze. Tra madre e figlia esisteva il cosiddetto “legame della dote” ossia una lunga e scrupolosa complicità nell'accumulare soldi che avrebbero consentito alla ragazza un matrimonio migliore. Soprattutto nelle classi meno abbienti, madri e figlie lavoravano sodo per questa finalità. La madre di Eleonora, donna Caterina Lopez de Leon, pur essendo altolocata, ebbe molto a cuore la dote della figlia e prima di morire le lasciò i suoi pochi averi davanti ad un notaio di famiglia definendola “carissima, stimatissima e dilettissima figlia Eleonora “ Tra l'altro, come era uso a quei tempi, chiese al re portoghese Giuseppe I il permesso di riversare alla figlia la pensione annua che aveva lei stessa avuta dal padre. Ciò permise ai de Fonseca di stipulare con i Tria, nobili ma non di rango, gli accordi matrimoniali che molto probabilmente allettarono don Pasquale che chiuse un occhio e sposò una “donna litterata” che poco apprezzava e, anzi, biasimava per la sua cultura. Qualche curiosità: come si è detto, la dote della “Portoghesina” ammontava a 4000 ducati, di cui 1000 in contanti e il resto come rendita. A quell'epoca, un operaio agricolo, ad esempio uno zappatore, guadagnava circa 60 ducati annui, un capitano di vascello della Marina guadagnava 50 ducati mensili, mentre un alfiere di fregata percepiva 11 ducati mensili, un chirurgo (sempre nell'ambito della Marina) era pagato con 18 ducati il mese, cifre queste risultanti da un documento che nel 1765 Sir Hamilton inviò a Londra a Lord Halifax, primo Lord dell'Ammiragliato inglese.

Per comprendere come il denaro assumeva una valenza diversa se ad usarlo era la Corte, si pensi che il Re spese ben 220,70 ducati per un omaggio a Sir Preston che per un breve periodo sostituì a Napoli Sir Hamilton: su suggerimento di quest'ultimo, la Corona gli donò una tabacchiera in oro con ornamenti di brillanti realizzata da uno dei tanti insigni gioiellieri dell'epoca, un certo Gaetano Cepparulo, orefice del f.co S. Eliggio (si legga nell'Archivio di Stato di Napoli la lettera di Tanucci che commissiona l'acquisto dell'oggetto ad un funzionario di Corte). Si trattò, in ogni caso di un dono minore, perché i regali importanti ammontavano a cifre elevatissime, anche 2000 ducati.

 


 [*1]         Atti del processo di separazione. Archivio di Stato di Napoli, fascio 133, fasc. 43

 [*2]         Enzo Striano 'Il resto di niente”, Loffredo editore, 1996

 [*3]         Atti del processo di separazione. Archivio di Stato di Napoli, fascio 133, fasc. 43