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Clorinda Irace
E.F.P
Le tracce, i luoghi
Sulle orme di Elonora de Fonseca
Pimentel tra strade e palazzi napoletani |
La Vivaria:
gli ideali calpestati
Le porte di questa tetra prigione si aprirono per
Eleonora ben due volte:
la prima fu il 5 ottobre 1798 in seguito ad una
perquisizione e alla scoperta di libri censurati nella sua casa, ritenuta,
oltretutto, luogo di riunioni giacobine;
la seconda, il 12 agosto 1799, poco prima
dell'esecuzione, quando la Repubblica era caduta e la capitolazione che
garantiva agli sconfitti la possibilità di essere imbarcati su una nave
francese fu violata per dieci patrioti, tra cui Eleonora de Fonseca Pimentel,
che furono tutti giustiziati. Mentre alla prima detenzione sfuggì grazie
all'arrivo dei Francesi che permisero ai lazzari di svuotare le carceri, alla
seconda non sfuggirà e uscirà solo per essere avviata alle operazioni
preliminari all'esecuzione, dopo la sentenza della Giunta di Stato con a capo
il feroce giudice Guidobaldi.
Nell'immaginario dei Napoletani la fama della
Vicaria è molto diffusa, in memoria di quando ospitava i peggiori delinquenti
prima che fossero giustiziati. La prigione, tra l'altro, aveva una sorta di
“cella di massima sicurezza” che era detta 'Fossa del Panaro”, una sorta di
imbuto sotterraneo, umidissimo e malsano riservato ai più efferati criminali.
Proprio il Panaro ospitò la rea di Stato de Fonseca che, durante la prima
detenzione, comprensibilmente avvilita, compose lì un'invettiva furibonda
contro il re e la regina che, durante la Repubblica sarà pubblicamente letta e
che contribuirà a fomentare l'odio di Maria Carolina contro di lei. Eccone
qualche verso:
Rediviva
Poppea,tribade impura
d'imbecille tiranno
empia consorte(…)
Tardar ben può ma
l'ora
Segnata è in ciel ed
un sol filo arresta
La scure appesa sul
tuo capo ancora
Senza mezzi
termini, da donna a donna, Eleonora sfida la regina, vera ispiratrice della
politica reazionaria contro i Giacobini della cui carcerazione alla Vicaria era
l'artefice silenziosa, coadiuvata da una rete di spie cui nulla sfuggiva.
A noi, a
duecento anni di distanza, giunge una lontana eco di quel luogo oscuro: pittori
e scrittori, infatti, sono stati impressionati da questo orrendo carcere e le
loro testimonianze ‑ quadri e descrizioni di crudo realismo ‑ ci
offrono una chiara idea di ciò che toccò in sorte ai malcapitati e coraggiosi
patrioti. Eppure quel tetro luogo, in passato, con gli Aragonesi, era stato
residenza di re, teatro di sfarzose feste e di momenti gioiosi. Fu il viceré
Pedro da Toledo nel Seicento ad attribuire a Castel Capuano la funzione di
Palazzo di Giustizia che tuttora conserva. Tracce del passato visibili ancor
oggi sono gli stemmi degli Spagnoli e di Don Pedro da Toledo, nonché gli
affreschi della bella Cappella della Sommaria.
Questo
scritto ‑ che guarda la vicenda umana e politica di Eleonora de Fonseca
Pimentel attraverso i luoghi di Napoli dove ha vissuto, lavorato, pensato ‑
avrebbe potuto avere come scenario conclusivo, ultimo “luogo di Eleonora”,
Piazza Mercato. Come tutti sanno, infatti, la piazza fu teatro delle tremende
scene finali di una rivoluzione destinata a divenire una delle pagine gloriose
della storia cittadina. Tuttavia, se è vero che le scene cruente sono rimaste
come un'onta nella storia di Napoli, è altrettanto vero che l'horror di quei
momenti, saldamente fissato nella memoria collettiva, non può avere un ruolo
pregnante nelle narrazioni che riguardano i personaggi e gli eventi del '99. Se
la tragedia di Eleonora serpeggia in ogni pagina ed in ogni raffigurazione che
la riguarda, va comunque ribadita la necessità di guardare alla sua vita e
all'intera vicenda storica come a qualcosa di più che la storia di un martirio.
Piazza Mercato ‑ con i suoi afforcati, le sue in congruenze, le sue
ingiustizie ‑ non merita la scena finale, la conclusione.
Eleonora ‑
alias la Portoghesina, la Marchesa giacobina, Lenor, Donna Lionora ‑
invitava, in extremis, noi posteri a ricordare e sicuramente si riferiva non
solo ad una vergognosa pagina sanguinaria, tra le tante che la storia ci ha
raccontato e ci racconterà. C'era molto altro nella rivoluzione napoletana del
1799 e nei suoi nobili artefici e a noi, cittadine e cittadini del
bicentenario, restano ‑ come un lapidario testamento ‑ le dolorose,
ultime parole di una donna coraggiosa.