MOLITERNO

 

Anche a Moliterno pervennero le notizie della proclamazione della Repubblica Napoletana e della fuga della Corte in Sicilia, infatti, non appena si seppe che a Potenza ed in diversi altri paesi della Basilicata erano stati piantati gli alberi della libertà, anche il popolo moliternese incominciò a muoversi in favore della Repubblica.

Riportiamo dal Manoscritto di Vincenzo Valinoti Torraca “Monografia storica della Città di Moliterno” le pagine dedicate a quegli avvenimenti.

Fin dalla mia più tenera età udivo dai vecchi del paese il racconto della repubblica Moliternese del 1799, e degli alberi della  libertà impiantati ove oggi sono le Croci della Trinità e del Seggio. Anche i vecchi di casa mia confermavano quello che io avevo udito da altri, e dicevano che Michelone Parisi nel 1799 ebbe solo paura del giovane avvocato Cassini, Una vecchissima, a nome Anna Ciuffo, popolana morta nonagenaria nel 1879 mi diceva che ella era fanciulla di circa undici anni, quando inviata a recar l’acqua fresca ed un poco di cibo all’avvocato Cassini, nascosto in casa di Don Baldassarree Dati, e che poi uscì nello stesso giorno dal nascondiglio con tanto di popolo appresso, e fu liberato perché presso la Chiesa della Trinità, alla presenza di Generali e  Colonnelli, aveva difeso la santa causa del Re Borbone!

Le ultime parole della vecchia popolana trovano conferma nei ricordi del Tampone.

Queste notizie vaghe ronzarono per molti anni nel mio capo, e quando  leggevo le cronistorie dell’epoca mi meravigliavo di non trovar mai cenno alcuno su Moliterno. Domandai all’illustre Giacomo Racioppi la ragione per cui non avesse mai scritto cosa alcuna sulla Repubblica Moliternese del 1799, e mi rispose che non aveva mai trovato elementi di archivio, e che alla fin fine egli riteneva la diceria popolare come parto di fantasia esaltata. Questo responso autorevole di mio Cugino mi schiodò dal capo l’esistenza di quel governo Municipale, e per molti anni, anchi’io ritenni che il pubblico Moliternese sognasse, con l’attribuire a Moliterno quello che aveva udito per altri paesi. In tal modo non solo non credei più a nulla, ma nei discorsi popolari mettevo tutto me stesso per smentire l’esistenza in Moliterno della Repubblica del 1799.

Svolsi poi diverse carte pubbliche e private la cui lettura mi rinnovò i ricordi del 1799, e mi generò nella mente il dubbio. Indi da brevi accenni rinvenuti nelle carte di un mio prozio D. Domenico Tampone, e da una lettera scritta da Michele Vincenzo Parisi all’ avvocato D. Nicola Dati in Potenza nel 1839, con la quale il Parisi diceva all’ avvocato del Comune che egli si riteneva vittima di grave torto perché il danaro della Cassa della fabbrica della Chiesa Madre era stato speso e consumato da su padre (Michelone) e da suo zio (D. Stanislao), per evitare le vendette contro la repubblica paesana; e dai documenti che trascrivo sullo stesso oggetto nel capitolo seguente, riferì la storia della Repubblica Moliternese del 1799, sulla cui evidenza non vi è dubbio alcuno, Ed ecco perciò, con la trepidanza di chi vorrebbe documentare tutto,e non riesce che a provar poco, mi decisi a ricostruire una pagina della commedia umana, di cui , se tutti gli attori non fossero ammirevoli gran parte, e l’intera massa dei popolani che assistevano alla rappresentazione, meritano plauso.

L’unico fatto di sangue che fu ritenuto come conseguenza della repubblica del 1799 in Moliterno, fu l’uccisione di Michele Grippi, avvenuta con un colpo di pistola la sera del 12 ottobre 1800, sulla  via Nazionale, all’angolo del vicolo storto S.Biase. Michele Grippi fu Giuseppe, era nato nel 1752 da Giuseppe e da Rosa Giampepietro; ed aveva sposato nel 27 nov, 1787 la Sig.a Veronica De Lutiis fu D. Francesco e fu D.a Serafina Petrocelli. Egli era un armiere di gran merito ed agiato proprietario, ma aveva il torto di essere troppo fedele seguace di Michelone Parisi, il quale si seviva di Grippi come il capo di tutti i suoi sgerrani e prepotenti di piazza. Il Grippi, che dava il segno alla folla di gridare viva il Borbone, dopo la restaurazione della Corte a Napoli, divenne assolutamente intollerabile: insultava e derideva incessantemente tutti coloro che avevano preso parte ai movimenti del 1799. Egli fu spento da mano ignota, e l’opinione pubblica addebitava il misfatto ai massoni”.  

 

Moti del  1799

Non appena che in Moliterno pervennero le notizie sulla fuga della Corte in Sicilia, e alla proclamazione in Napoli della Repubblica, avvenuta nel 24 Gennaio 1799, e non appena si seppe che a Potenza ed in diversi altri paesi della Provincia erano stati piantati gli alberi della libertà, il Popolo Moliternese incominciò a muoversi in favore della Repubblica.

Trovatasi qui come giudice di Pace un tale signor Gallotti, nativo credo di Lagonegro, ed il governo del Comune era in quell’ epoca tenuto dal Capo Eletto Sign. Michele Arcangelo Parisi, detto Michelone e dal sindaco Giuseppe Albano. Il Parisi, fratello del Generale Giuseppe Parisi nonché dei due alti magistrati Nicola e Lelio Parisi, e fratello pure del nostro arciprete D. Ascanio Parisi era uomo di mente robusta, di fibra energica, ed aveva vasta cultura e temperamento caldo, ma resistente e vendicativo. Egli, devotissimo a Caasa Borbonica, era l’arbitro delle sorti di Moliterno da molti anni, dove tutti ubbidivano ai suoi cenni.

Michelone, visto spirare il vento repubblicano, simulò un malore e si dimise da Capo Eletto; alle sue dimissioni seguirono quelle degli altri eletti e del Sindaco Albano, uomo dappoco ma comodo e fedele servitore del Parisi.

L’idea repubblicana, sorta spontanea tra i moliternesi, come ordinariamente accade tra le popolazioni oppresse e fiorenti di balda gioventù, veniva occultamente sostenuta di fratelli D. Giuseppe Paolo e D. Michele Arcangelo Del Monte, congiunti di quel Felice Mastrangelo di Montalbano Ionico che lasciò la vita sulle forche della piazza del mercato di Napoli, e già discendente della famiglia Mastrangelo di Moliterno, della quale si trapiantò un ramo in Moltalbano.

Specialmente poi l’idea repubblicana veniva sostenuta e caldeggiata da D. Domenico Tenzone, Dottore in legge, e cultore  di scienze fisiche e filosofiche, il quale, più timido degli altri, e pertinente a famiglia di convinti Borbonici, agiva per la interposta persona del suo discepolo e compare Domenico Cassini fu Antonio, avvocato ventiduenne, che poscia fu celebre nel foro napoletano.

Il Cassini, spinto e sorretto dal Tenzone, con animo pavido, con ingegno pronto e acuto, e con loquela affascinante, parlò in diverse volte al popolo, ed in breve tempo, quello che prima era ispirazione di pochi, divenne desiderio di tutti, per cui , i Moliternesi si mossero al grido generale di Viva la Repubblica.

 Il Michelone ed il Gallotti, guidati da prudenza, stimarono non opporsi e consigliarono la folla ad eleggere il Sindaco ed il Capo Eletto, per indi addivenire ad una legale proclamazione del Governo Municipale. E infatti, nel mattino del15 febbraio 1799 furono eletti: Pietro Mastrangelo fu Giacinto e fu Anna Lapadula, negoziante di Armenti Come Sindaco, e Pietro Orlando fu Paolo e fu Margherita Cassino, vetturino e negoziante di formaggio come Capo Eletto, e nello stesso giorno, con le campane a distesa e con sparo di mortaretti furono piantati gli alberi di libertà.

Il Gallotti rimase in Moliterno come giudice, senza compiere alcun fatto di giustizia, per tutti i quaranta giorni della Repubblica Municipale, che in queste pagine denomino in “partibus e clandestina”. Che cosa infatti fu quella Repubblica?

L’astuto Michelone, con i suoi modi apparentemente pieghevoli, ottenne dal popolo che l’albero della libertà non fosse piantato nella piazza principale del paese, né avanti la madre Chiesa, e ciò credo per mostrare in qualunque eventualità l’apparenza che il  paese era diviso in due partiti, e conseguì che fosse  piantato nella  piazzetta del Seggio, innanzi la casa del Sindaco Mastrangelo, e nella piazzetta vicino la Chiesa filiale della Trinità, che allora era abitata a Parrocchia, stante i lavori di ampliamento della Chiesa Madre.

Il Sindaco mastrangelo ed il Capo Eletto Orlando, sebbene analfabeti, col senno e con la probità specchiata di ottimi padri di famiglia e di reputati commercianti, mantennero nella popolazione l’ordine più completo. Non furono commesse violenze , né abusi, ed il popolo era contentissimo. Michelone invece, che era un orso non mai domato, tollerava. E per la sua esatta conoscenza della vita in rapporto agli uomini ed agli eventi, attendeva il momento propizio, perché egli comprendeva benissimo essere quella Repubblica un sogno di folli ed inesperti, e tollerava per evitare mali peggiori al paese. Ecco perché, non appena che furono a sua conoscenza la marcia del Cardinale Ruffo ed i patti di segregazioni compiuti a Potenza ed altrove, il Parisi invitò Rocco Stoduti e gli consegnò nelle mani quella larva di Repubblica che aveva per quaranta giorni tollerata e forse anche subita, per solo quieto vivere!

Lo Stoduti , nativo di San Cristoforo nel Cilento, era capobanda nelle  masse che seguivano il Cardinale Ruffo, e fu da costui destinato alla segregazione della zona compresa tra Lauria, Policastro,  Lagonegro e Marsico. Quel manigoldo si presentò   la sera del 26 marzo 1799 nel bosco Faggeto, con avanguardia presso la taverna del Curcio, per accostarsi di notte nell’abitato. E infatti, dopo mezzanotte la turba di oltre quattrocento persone si accampò intorno la Cappella di S. Francesco di Assisi, sulla collina del Seggio, colla distanza di circa 100 metri dal paese; e colà, Michelone, l’arciprete, il Giudice, il Sindaco ed il Capo Eletto, tennero convenio nelle ore prima dell’alba.

Il Parisi presentò allo Stoduti gli intervenuti, e il capobanda,  agli ingenui Mastrangelo ed Orlando, fu presentato come un generale dell’esercito qui spedito dal Re, a premura del Generale Parisi, pel solo bene di Moliterno. Ecco in breve quello che di accordo fu stabilito e che rilevo dagli appunti di D. Domenico Tampone:

Nessun saccheggio al paese e nessun arresto di  persone, abbattersi preima dell’alba gli alberi della libertà e sostituirvi la Croce; suonare all’alba le campane a distesa per un Te Deum pro Rege nella Trinità, cantata dal Clero e dai Frati dei due Conventi e con l’assistenza di tutte le autorità e di tutti i galantuomini del paese; dimettersi il Sindaco mastrangelo, restare in carica il Capo Eletto Orlando, ed eleggersi Sindaco il giovane avvocato Domenico Cassini con l’obbligo di parlare al popolo in favore della Monarchia Borbonica; la gran parte della masnada dello Stoduti rimaner fuori l’abitato e non entrarvi senza necessità; assistere al Te Deum lo  Stoduti con pochi sottocapi ed una sola compagnia di militi suoi.

I patti vennero tutti mantenuti, e nel 27 marzo le truppe non si mossero dal Seggio, ove ebbero dal popolo pane, carne vino e cordiali trattamenti. Lo Stoduti, col suo sottocomandande Domenico Romano, e con pochi ufficiali, seguito da un centinaio di straccioni armati, scese nel paese e si diresse alla Chiesa della Trinità, ove assistette alla pattuita funzione.

La piccola Chiesa raccolse tutti i Preti e tutti i Frati, le autorità civili, pochi monelli e un una cinquantina di sgerrani  di Michelone Parisi che funzionavano da popolo, perché gran parte dei Moliternesi, timorosi e diffidenti, erano rimasati segregati in casa, ed i più sospettati avevano già preso il largo della campagna.

Dopo la sacra e solenne cerimonia della Chiesa, il Cassini, già poche ore prima investito della qualità di Sindaco, e non mi risulta da chi e con quali formalità, nella piazzetta della trinità, salito sul pianerottolo della casa di abitazione del figlio del decaduto Sindaco Mastrangelo, pronunziò il suo breve discorso a rime obbligate , e finì col dire al popolo che il Re, sollecitato dal Generale Parisi, aveva inviato tra noi quel pezzo grosso dello Stoduti, pel bene di tutti, il quale, in nome del Sovrano prometteva ai Moliternesi perdono grazie e privilegi.

I brutti ceffi al cenno di Michelone applaudivano e dopo il solito sparo dei petardi, la folla al grido di viva la Casa Borbonica, si avviò verso l’abitazione di Michelone Parisi, al largo di S.Pietro ove era già stato allestito un sontuoso banchetto.

Intervennero al convito anche il Sindaco decaduto Mastrangelo, l’Orlando, il Cassini i fratelli Del Monte , e D. Domenico Tampone, i quali furono tutti obbligati a fare buon viso a cattivo gioco!. Il Tampone, tra tutti il più colto e rispettabile, sollecitato da Michelone, levò il bicchiere ed auguro ogni bene ai Borbone ed alla Patria. Lo Stoduti, mezzo ubriaco, rispose in linguaggio sconnesso e volgare.

Il Tampone, nei suoi appunti, non riordinati, parlando della condizione dell’ animo suo al cospetto  di quel brigante che gli sorseggiava difronte, dice: Lo Stoduti mi faceva tremare: ero timoroso per la sua natura selvaggia, ma divenni quasi paralitico pensando alla forsennatezza che in lui avrebbe potuto aggiungere il molto vino tracannato a tavola.

Finito il banchetto, gli invitati vennero cortesemente congedati, e Rocco Stoduti, prima di  partire, volle parlare a quattro occhi con Michelone al quale disse che, esser Moliterno, il paese nativo del Generale Parisi, e l’esser costui come tutti di famiglia fedeli al Re, erano requisiti per evitare un saccheggio e vendette, ma non sufficienti per far ritornare una  legione a mani vuote, perché, dopo tanto camminare e andare a, e tanto consumar di scarpe, quelli che lo seguirono, avvezzi a viver di bottino di guerra, e senza soldo regolare, gli si sarebbero ribellati se non avessero ottenuto qualche compenso!. Michelone mangiò la foglia!.. Come fare?. I legionari hanno ragione! Chi paga ?… La taglia fu convenuta in quattromila ducati, rispondenti a ducati 10 per ogni legionario, salvo allo Stoduti di ripartirla secondo i meriti gerarchici. L’affare fu aggiustato in Casa Parisi;   il pubblico non venne turbato per nulla: la cassa della collettoria delle vendite per la fabbrica della Chiesa Madre, esistente presso il Prete D. Stanislao Parisi, altro fratello di Michelone,  fece le spese per tutti, e lo Stoduti, contento come una Pasqua, dopo aver baciato il Michelone, il Galletti, l’arciprete e Don Stanislao, partì a sera inoltrata con i suoi quattrocento militi, recando seco vino, formaggio e salumi, offerti spontaneamente dal popolo alla turba brigantesca che partiva.

Lo Stoduti, prima di lascare Moliterno, scrisse una lettera al Cardinale Ruffo, e la consegnò pel sicuro recapito nelle mani di Michelone. In quella lettera diceva essere Moliterno tranquilla e la campagna con i paesi vicina anche tranquilli e fedeli; e che vi si era recato per una ricognizione.

Così ebbe fine la Repubblica Municipale di Moliterno, che ho denominato in “partibus e clandestina”, perché fu figlia di una transazione tra la mente e il cuore del despota Michelone, e che poi, per la insaziabilità e caducità degli eventi e dei tempi, fu interesse di tutti non lasciarne traccia negli atti pubblici, tanto era il terrore ispirato dalle forche di Napoli e delle stargi degli altri punti del Reame! 

Quella farsa non recò male ad alcuno, ma per quanto breve, mise Moliterno in grave pericolo che certamente non fu procurato ma scongiurato da Michelone Parisi, il quale, da gran maestro nel gioco della doppia carta, seppe trovare il mezzo meno dannoso per evitare gravissime sciagure al paese. Se il Parisi avesse potuto evitare in tempo la proclamazione del Governo municipale, sconsigliando il Cassini e gli altri a muoversi e gridare, avrebbe fatto anche di meglio, ma, ripeto, egli giocava con due pacchetti di carte!

Dopo il ritorno della Corte dalla Sicilia, Rocco Stoduti fu nominato Tenente Colonnello dell’ Esercito Borbonico, ed ebbe l’incarico speciale della leva. Egli girava pel salernitano e per la Basilicata per la formazione dei battaglioni provinciali dei miliziotti, che erano addetti alla sicurezza interna; e Moliterno lo rivide nelle sue mura dal 12 al 25 luglio del 1802, secondo risulta dal seguente documento che ho trovato alligato ai Conti del Comune:

“Il Magnifico Sindaco dell’Università di Moliterno, per la dimora da me fatta con due ufficiali e tre persone del mio seguito, per lo spazio di tredici giorni in detta città, per causa della rettifica della coscrizione dei miliziotti provinciali, in medesimo, ci ha fornito tutto ciò che prescrivono le Reali ordinanze, come pure quattro vetture fino a Tramutola, come anche biada per due cavalli, un corriero a Spinoso , un altro fino a Tramutola, ed un altro a Matera; il pranzo per  due soldati che hanno servito per far presentare li miliziotti. Moliterno 25 luglio 1082. Rocco Stoduti, Tenente Colonnello.”

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