TITO (PZ)

 RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO.

 

Fra le tante celebrazioni della grande rivoluzione, sono mancate o, hanno avuto scarso rilievo, le manifestazioni riguardanti le aree periferiche e, in particolare, le Repubbliche "satellite" sorte ad opera di giacobini locali, sotto la spinta delle armate rivoluzionarie e modellate sull'esempio francese.

E' quanto accaduto anche a Tito, borgo montano della Basilicata, nel quale aneliti di libertà furono soffocati nel sangue dalle orde sanfediste del Cardinale Fabrizio Ruffo di Bagnara che affidò alle cure del famigerato Gerardo Curcio, alias Sciarpa, la restaurazione del regime borbonico in quella contrada.

Miriadi gli episodi di eroismo misti a violenze e saccheggi di ogni genere che caratterizzarono la lotta fratricida tra coloro che avevano innalzato nelle piazze l'albero della libertà, dopo l'ignominiosa fuga da Napoli in Sicilia di Ferdinando IV e Maria Carolina e quelli che invece,sorretti da eserciti russi, inglesi, turchi e austriaci miravano al ripristino dell'ancien regime.
A Tito sindaco della municipalità era l'Avvocato Scipione Cafarelli che nell'Ottobre 1772 aveva sposato Francesca De Carolis diSan Marco in Lamis (Foggia) da cui ebbe una numerosa prole.

Conquistato il paese il 1° Maggio 1799, dopo vari assalti, il "Truce vandalo di Polla" diede ordine al "Capitano" Michele Di Donato di metterlo a ferro e fuoco.

Terribile fu la repressione. Il Cafarelli riuscì a rifugiarsi con alcuni amici a Picerno mentre la moglie venne catturata e condannata a morte, per essersi rifiutata di fornire notizie sui suoi familiari, da un Tribunale Popolare presieduto da un tal "Don Giovanni" di San Giovanni in Laurino in Principato Citerione.

La Cafarelli fu trascinata dai "Lazzari" in piazza ove vide la testa del figlio Giuseppe infilata su di una picca circondata da una folla ebbra di sangue.

"Se avesse gridato -Viva il Re- le sarebbe stata commutata la pena". Così racconta con animo commosso un testimone del tempo. "Ma ella salda nella sua convinzione tornava a gridare -Viva la Repubblica-, e, proferendo queste ultime parole, veniva fucilata con ammirazione universale".

Tale commozione raggiunge anche noi che intendiamo onorare la memoria di una famiglia di patrioti il cui esempio, osserverà il Croce, "Volse a creare una tradizione rivoluzionaria e l'educazione dell'esempio nell'Italia Meridionale ponendo il primo germe dell'Unità d'Italia".


Nota del redattore: Secondo alcuni, il su menzionato Gerardo Curcio, alias Sciarpa, potrebbe essere il barone Scarpia della celebre "Tosca", venuto a Roma al seguito del Cardinale Ruffo a soffocare la Repubblica Romana. Pare certa la sua precedente nomina a Barone da parte di Ferdinando, come accadde anche per altri briganti. Ipotesi nel complesso verosimile anche perché il Sardou eccelleva nell’utilizzare la storia come supporto per la trama d’invenzione, tale da creare un plausibile amalgama fra realtà storica e realtà fittizia.

 

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