Il giorno 8 dicembre del 1798, mentre il Re Ferdinando IV è ancora a Roma, il generale francese Lamoine, che ha sconfitto a Torre di Palma le truppe condotte da Antonio Alberto Micheroux, ha già iniziato una controffensiva penetrando nel Regno di Napoli attraverso Cittaducale, sul confine abruzzese. La fortezza di Civitella del Tronto, comandata dallo spagnolo Lacombe, e quella di Pescara, comandata dal rifugiato francese Prichard, si arrendono senza opporre resistenza al generale francese Duhesme. Si arrendono subito anche le   città di Teramo, L'Aquila, Chieti, Pescara e Lanciano.

"Gli Abbruzzi aprirono le porte alle schiere repubblicane, e con trasporti di viva gioia le accolsero nel  loro seno. I preti nelle chiese, altri nelle città, ed altri nelle campagne annunziarono agli innocenti cittadini l'epoca fortunata della loro rigenerazione esser finalmente spuntata." ( Anonimo: Compendio storico sulla rivoluzione e controrivoluzione di Napoli).

General  Thiébault, Paul-Charles-François

General  Paul-Charles-François
Thiébault


Nelle principali città degli Abbruzzi si pianta l'albero della libertà e si formano delle nuove amministrazioni municipali.
Il generale Thiébault prepara una nuova costituzione, molto simile a quella della Repubblica Romana, e con decreto del Genenerale Duhesme, a Chieti,  il 28 dicembre, avviene la proclamazione la Repubblica Abruzzese.
Presidente è Melchiorre Delfico, famoso filosofo di Teramo, allievo del Genovesi.
Altri amministratori sono: Serafino Michitelli, Berardo Quartapelle, G. B. Mezzucelli, Pietro Todesco e segretario Filippo Quartaroli.

Melchiorre Delfico

Melchiorre Delfico

Il giorno 11, Ferdinando fugge da Roma, ma prima di partire, il Re di Napoli, con un   accorato appello , chiama a raccolta le popolazioni degli Abruzzi  esortandoli ad armarsi e a resistere ai francesi. Incautamente, però, ha parole molte dure per i disertori: “ ma chiunque fuggirà, sappia che non eviterà il pericolo, anzi lo affronterà indubitatamente, perché oltre alla perdita dell'onore, sarà trattato dai Comandanti Militari, e Regj   ministri, come ribelle alla Corona, e nemico di Dio, e dello Stato”.

Il Generale Championnet, ritornato a Roma, quasi incredulo, vede dileguarsi davanti a lui quell'immensa armata e decide di invadere il Regno di Napoli attraverso tre direttrici principali: l'ala sinistra, condotta dal generale Macdonald, che attraverso gli Abruzzi punta su Sora, l'ala destra, guidata dal generale Rey, che marcia su Gaeta passando per  Terracina e Fondi ed al centro l'ala diretta dallo stesso Championnet che marcia verso Valomontone, Ferentino e Ceprano. 

Intanto il Re che è giunto al Belvedere di San Leucio il 13 "dopo 23 ore di viaggio per strade al principio infami, cavalli pessimi, un tempo orribile e 32 ore senza nient'altro in corpo che un poco di pane e ricotta" (Ferdinando IV: Diario), troppo preoccupato di fare la stessa fine di suo cognato Luigi XVI, prepara la  fuga da Napoli, dimenticando le sue accorate parole nel suo appello al popolo   e le minacce di trattare come ribelli alla corona i disertori e i fuggitivi. Sicuramente pesano sulla sua decisione anche le insistenze della moglie, del Mack e del diabolico trio inglese: i coniugi Hamilton e del vice ammiraglio Nelson. Anche il suo primo ministro, il generale Acton contribuisce a soffiare sul fuoco: è convinto che Napoli sia piena di giacobini pronti a ribellarsi e a ricevere i francesi.

"Avendo costoro esaminato e discusse ben bene le cose, furono d'avviso che non conveniva fare la pace, né guerra. Paré che l'una avrebbe tolto i mezzi alla regina per vendicarsi, e chiusi i porti delle Sicilie agli inglesi; L'altra avrebbe menato inevitabilmente alla rivoluzione, e a grave rischio sarebbensi trovate esposte le persone reali. Riconobbero adunque necessaria la fuga" (Anonimo).

Rimane, tuttavia, il fatto che la scelta è sua, così come sicuramente è sua la responsabilità della fuga sia davanti alla storia che al suo popolo.
Il 14 incontra l'Ammiraglio Forteguerri per concordare l'imbarco sulle navi inglesi di tutto il pubblico denaro che porterà con sé nella fuga. Per non insospettire il popolo, la regina Maria Carolina provvede a spedire nottetempo casse colme di gioielli, preziosi e oggetti d'arte all'appartamento di Lady Hamilton che le gira all'Ammiraglio Horatio Nelson. Questi per sicurezza le fa stivare nella sua nave. Nonostante la segretezza delle manovre la notizia comincia a diffondersi in città.

Ma mentre il Re si appresta a lasciare alla chetichella la capitale, il popolo degli Abruzzi risponde all'appello del Re e, sospinto anche dai preti e dai frati, si arma di mazze bastoni e attrezzi per coltivare i campi, si oppone e resiste all'avanzata francese. Piccoli gruppi a cui presto si uniscono alcuni soldati napoletani in ritirata e masse di contadini e montanari sospinti anche dalla speranza di un facile bottino. " Atroci furono le prime opere per uccisione di soldati repubblicani infermi o stanchi e per tradimenti nelle vie e nelle case, calpestando le leggi di guerra, di umanità, di ospizio".

   

Le masse insorte riconquistano Teramo e distruggono un ponte fortificato di barche sul Tronto impedendo il passaggio ai francesi, assalgono la retroguardia francese sul Garigliano impossessandosi di tutte le batterie di artiglieria poste sulla sponda settentrionale, impediscono le comunicazioni tra le colonne di penetrazione francese nel Regno.

La colonna del generale Gabriel Venance Rey viene duramente contrastata da alcune bande raccolte da Michele Pezza, un brigante soprannominato Fra' Diavolo che riesce a raccogliere circa 4000 uomini da opporre alla avanzata francese che impiega ben 12 giorni di duri e feroci combattimenti per superare la gola di S. Andrea nei pressi di Itri per giungere il 30 dicembre a Gaeta che si arrende immediatamente con un solo colpo di cannone. Camanda la fortezza il colonnello Carlo Tschudy. "...uno Svizzero intanto, apriva le porte di Gaeta, munita d'una guarnigione di 4000 soldati, di sessanta cannoni, di dodici mortai, di ventimila fucili, di viveri per un anno." (Dumas A.: I borboni di Napoli)

 

Ma le buone notizie provenienti dagli Abruzzi non bastano a far cambiare disegno a Ferdinando sempre più determinato a lasciare la città. Anzi la notizia che doveva essere tenuta in gran segreto comincia a trapelare.

Il 17 dicembre De Nicola riporta sul Diaro Napoletano:"...si seppe che la notte precedente si erano trasportati dal Banco della Pietà nel castel Nuovo 10.500.000 ducati e che la corte meditava di mettersi in salvo".
Anche il Marinelli, il 18, riporta nei suoi giornali: "Si parla sempre della partenza della Corte non si sa se per Trieste o per la Sicilia ".

La paura si diffonde tra la popolazione che, dopo anni di incitamento all'odio per i francesi rappresentati come nemici del Re e della Religione, ne teme la venuta e ora si sente abbandonata al proprio destino. Si organizzano processioni, penitenze e si fanno voti alla Madonna. Ci si mette anche San Gennaro che ritarda il miracolo di un giorno; e la cosa viene vista come un brutto segno. "Si fece ricorso all'espediente d'ordinare orazioni e preghiere nella cattedrale, ma erano rimedi troppo fiacchi per un male così acuto(Abate Pietrabbondio Drusco: Anarchia popolare di Napoli dal 21 dicembre del 1799).

Il giorno 20 i lazzari della città si radunano sotto i balconi della Reggia nel Largo di Palazzo. Gridano e minacciano gli stranieri che circondano il Re, e chiedono la lista dei giacobini di Napoli per farne giustizia sommaria.

Anonimo: Tumulti al Largo di Palazzo il 20 dicembre 1798.

Sono circa 50 mila i Lazzari nella città di Napoli. Gente costretta a vivere ai margini della società civile, senza legge e senza morale. Nessun governo si è mai procurato del loro recupero civile e sociale, anzi, ha sempre preferito mantenerli nella loro condizione di sudditanza proprio per poterlo meglio manovrare.

La loro fedeltà al Re non deve meravigliare se si pensa che non è permesso alcuna forma di dissenso e, con l'accusa di lesa Maestà, c'è rischio di morte solo a parlarne male. Questa fedeltà è piuttosto un inconscio istinto di sopravvivenza, trasmesso probabilmente di madre in figlio insieme al latte materno. I Lazzari, abituati a vivere alla giornata, quasi come animali allo stato brado, non si pongono problemi se non per i bisogni del quotidiano; per il domani si affidano alla religione e a San Gennaro che cercano di ingraziarsi con processioni e tridui. Del tutto analfabeti sono indottrinati dal clero e non conoscono, certamente, le profonde differenze tra il Re e la Repubblica.

Manca, in verità, anche ogni rapporto con le classi colte e borghesi di cui diffidano per sospetta simpatia alla Francia e perché li considerano dei "magnafranchi": a Napoli il lavoro si chiama fatica per cui se non da sudore e non spezza le reni e le mani non è considerato tale. Ogni attività intellettuale e frutto dell'intelligenza e dello studio viene sempre guardata con un certo sospetto e poco considerata. "Se Napoli avesse avuto un pugno di giacobini veri, capaci di tradurre in spirito napoletano lo spirito francese della rivoluzione dell'ottantanove, i Lazzari avrebbero sicuramente compiuto il cammino dei sanculotti " (Alberto Consiglio: I Lazzari e la Santa Fede).

Ma i margini di saldatura tra queste due classi sono molto labili e sottili e sicuramente le attività segrete della Regina e degli infiltrati non ne consentono alcun sviluppo significativo.

In realtà Maria Carolina, a differenza del marito, non si fida molto del suo popolo e teme di fare la stessa fine della sorella Maria Antonietta e del cognato Luigi.

Nella speranza di calmare i più bellicosi viene disposto l'arrestato del ministro della guerra, il duca d'Airola, anche per evitare che venisse massacrato dai lazzari.

I tumulti durano tutto il giorno, si assalgono e si svaligiano alcune abitazioni, col pretesto che sono dimore di sospetti giacobini. Gli stranieri che si avventurano per le vie sono picchiati e feriti. Un piemontese ed un tirolese vengono trucidati.

Anonimo: Assassinio del corriere Alessandro Ferreri.

La situazione precipita il giorno successivo, il 21, un uomo dall'aspetto forestiero viene assalito col grido di "dalli al giacobino" e in poco tempo viene sopraffatto e smembrato dalla folla inferocita. Si tratta del corriere del Re, Alessandro Ferreri di origine romana, e solo per questo scambiato per giacobino e trucidato. La sua testa, posta su una lunga pertica, viene mostrata al Re: una macraba testimonianza di fedeltà alla Corona.

Probabilmente l'episodio non ha un effetto determinante sulla decisione della fuga, già decisa da giorni, ma sicuramente fa comprendere che non c'è tempo per gli indugi, nonostante le buone nuove che dagli Abruzzi che riporta Mack.

"I preparativi vennero ultimati col cuore in gola, con lo spettro di Varennes innanzi agli occhi allucinati." (Alberto Consiglio: La rivoluzione Napoletana del 1799).

Prima di partire il re fa venire il principe Francesco Pignatelli nominandolo vicario generale del Regno "....Pignatelli lasciato per Vicario Generale all'Alter Ego e tutte le facoltà immaginabili e comunicatogli i miei ordini da non doverli far noti che dopo un'ora"(Ferdinando IV: Diario).

Conferma il generale Mack comandante dell'esercito e nomina Saverio Simonetti alla Giustizia e Giuseppe Zurlo alle Finanze."
Tutti i pensieri e le cure di Ferdinando erano per la fuga. Poiche' ai napoletani, al dir di Carolina, non dovevano restare che gli occhi per piangere, si vuotarono dal re interamente i banchi e casse pubbliche e la zecca della moneta del resto del danaro; si spogliarono dei musei i monumenti più preziosi, si tolsero a' templi o ai cittadini gli avanzi degli ori, pietre preziose, e ori, argenti lavorati.(Anonimo)
All'una di notte giunge Nelson con il Capitano Hope e tre scialuppe, attraccano presso l'Arsenale sul lato del Molosiglio; l'intera famiglia reale, trasportata dai marinai inglesi, in men di un'ora giunge a bordo della nave Vanguard pronta a fuggire da Napoli.



Jacob Philipp Hackert: L'imbarco di Ferdinando IV per Palermo il 22 dicembre del 1798.

Si apprestano altre navi per trasportare il seguito della corte, gli emigrati francesi, i cardinali rifugiati a Napoli dopo la proclamazione della Repubblica Romana e molti inglesi che tenevano in Napoli i loro commerci.

Ma le pessime condizioni del tempo e del mare non consentono di partire e le navi sono costrette a rimanere in rada in attesa di un miglioramento.

La mattina del 22 Napoli si sveglia e trova un editto affisso alle mura della città : il Re annuncia la sua partenza per la Sicilia e promette di tornare presto con numeroso esercito. Una delegazione si reca sotto le paratie del Vanguard nel tentativo di convincere, inutilmente, il re a restare. Il 23 l'Ammiraglia inglese con il re, seguita dal Sannita, comandata dall' Ammiraglio Francesco Caracciolo, dall'Archimede e altri venti vascelli lasciano Napoli.

"Il tiranno fuggì e il mare, quasi che fosse animato, tentò sommergerlo più volte nelle onde, e vendicare l'offesa umanità. Ma la fortuna protegge i ribaldi, e non è che sugli innocenti, ch'ella esercita il di lei barbaro potere".