LIBERTA' 
EGUAGLIANZA

VEDITORE REPUBBLICANO

Aut videt, aut vidisse putat.

Virg.                 


Num. I
I. Germile anno primo della Repubblica Napoletana

Prospetto politico di Napoli.

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NApoli offre in questo momento uno spettacolo nuovo, ed interessante         agli occhi d'un Istorico. In nessun Popolo si è giammai vista una simile rivoluzione. I Napoletani sono stati costretti ad esser liberi. L'impudenza, e la perfidia del Despota, le violenze, e le rapacità dei Lazzaroni, la generosità della Nazione Francese hanno operato questo prodigio politico. Non già che in Napoli non vi fossero stati dei prodi Cittadini, partigiani decisi della Democrazia, ma la mancanza di un punto di riunione, la scambievole diffidenza, la vigilanza dei Delatori erano tanti ostacoli pressoché insormontabili, o almeno che avrebbero per molto tempo ritardato lo sviluppo delle cose senza il concorso delle impreviste cause dianzi dette. Dopo che Ferdinando Capeto purgò questo aere colla vergognosa sua fuga, i Lazzaroni volean l'Anarchia, e la sostenevan colle armi; i Gentiluomini domandavano un Governo Aristocratico; i Filantropi stavano per la Democrazia: il buon destino di Europa si è dichiarato in favor di questi ultimi. Né la Nazione Napoletana è stata tanto sterile di virtù, che non avesse anch'ella prodotti dei chiari esempj: i buoni Cittadini anche a fronte dei Ministri del vacillante Despotismo si radunarono publicamente, e di giorno in numerose sessioni, inviarono a Capua i loro messi per trattar coi Francesi, affrettarono la venuta di questi tracciandone la marcia, con accorti stratagemmi s'impossessarono del principale Castello, e finalmente forti solo del loro coraggio, e rinnovando in qualche maniera l'esempio degli Spartani alle Termopili, si batterono in piccol numero contro un'infinita moltidudine, ed alcuni di essi comprarono colle loro vite la libertà della Patria. Finalmente i Lazzaroni medesimi in mezzo agli orrori han pure mostrato una fermezza di carattere, che non si sarebbe giammai da loro aspettata; e se malamente diretti, e per una pessima causa hanno avuto il coraggio di affrontare un'armata, il di cui nudo nome ha tante volte fugate le falangi inimiche; tostoché avran conosciuto i vantaggi della rivoluzione, e saranno lealmente alla stessa attaccati, con quale energia non difenderanno essi la Patria? Tali cose da altri essendo state di già memorate, noi diremo delle presenti. La Francia ha promesso l'alta sua garanzia, ed ha permesso a Napoli di darsi una Costituzione Democratica. Intanto forti interessi muovono gli animi, ed occupano le sedute del Governo Provvisorio. Quest'Assemblea, che riunisce il potere legislativo all'esecutivo, ha

di già emanate varie leggi, ed attualmente sta discutendo quella dell'abo­lizione di tutti Diritti Feudali coloro, che ne risentirebbero il danno, sono nel massimo movimento, ma la Nazione confida nei conosciuti principj della maggiorità della Rappresentanza. La mancanza del numerario, nata dal furto di Capeto, che mentre rubbava i depositi, moltiplicava le fedi, forma un'altro ogetto di publica cura. Si è in fatti prescelta una Compagnia di Negozianti per dirigere un'imprestito forzoso: il denaro è indispensabilmente necessario, sopra tutto nelle attuali circostanze, nelle quali abbiamo assoluto bisogno di truppe, così per difenderci dagl'insorgenti, come per passare in Sicilia. Oh Sicilia o Sorella poni mente, e specchiati nel nostro esempio! Il Mostro, che tu ricoveri, ti succhia il sangue, e poi ti abbandona: previeni le armi nostre, impadronisciti degli assassini, e delle nostre sostanze, ch'essi ci han depredate: noi verremo ben presto; ah! fa che venghiamo solo per fraternizzare con te, e per sagrificare alla futura nostra felicità gli autori infami di tutte le nostre miserie.

M ... (a)

(a) Gli articoli segnati in questa forma sono del Cittadino Mattei.

Letteratura

Tra gli antichi, e i moderni non v'ha forse dissomiglianza maggiore di quella, che si osserva ne' modi di pubblica istruzione eletti da quelli e da noi. Gli antichi non avean collegj, non scuole normali, non sale d'istruzione, non Teatri a quel modo, che i nostri sono. Non intendiam noi veramente di riprovare tutti gli usi, quali essi sieno, che noi teniamo. Né questo il luogo è da mostrare tutti i danni, che per quella via che noi adoperiamo ad istruire i giovani, o il popolo, discendono sopra la letteratura, sopra la economia, e sopra la politica. Ci ristringiamo così solo a dire, che la felice, e dotta Francia pone ora ad esame l'utilità de' predetti modi, ed al tempo stesso ne adopera alcuni altri, che ottimi sono per la semplicità loro, e per la natura d'essere intesi, e gustati con avidità dall'universale de' cittadini, fanciulli, uomini, donne, sol che sien provveduti d'udito senz'altra necessità di cultura. Quest'arte è quella che i primi greci, Orfeo, Lino, Anfione usarono per temprar, rilevare, o scemare le  passioni d'una plebe oziosa, feroce, e stupida, qual' ella è sempre, e da per tutto. La Poesia ed il canto spogliati della potenza loro sotto il governo d'un solo, la riprendono nelle repubbliche. La celebrazion d'un primo fatto eroico è la madre di quel secondo, che tra breve tempo sarà celebrato. Perciò è da credere che la cacciata del Tiranno da Roma udita cantare da valorosi Francesi nel loro Teatro a Parigi annunzj già, ch'ei sarà cacciato ancora di Sicilia, ove ora si trascina sull'orme di Mamerco, e di Dionisio, dei quali mentre ignora i nomi, ne ama le opre. Cittadini, questo canto di Vittoria vi riguarda. Era bene, che voi lo udiste suonar nella vostra lingua. Uno Scrittore elegante, che adorna colla sua penna il nostro giornale, egli è che ce l'offre da se tradotto. La sua musa dedicata alla libertà da lungo tempo ha secondato fecilmente i suoi desiderj. La forza, e l'eleganza di questa versione, se nulla invidia all'originale (come a me pare) ha in oltre il pregio d'una lingua più musicale, e d'assai più rotonda, che la Francese: Ella è la vostra lingua, Italiani, più simile alla greca, che alla latina, da cui pur discende in gran parte. Quì ancora avrete un saggio della musica grave, ed austera di Pindaro per lo decassilabo scelto accortamente dal Traduttore, e della varietà dell'armonia negl'epodi, che sono composti d'altra maniera di versi, e che fanno un riposo dopo ciascuna strofe, ed antistrofe di questo nobile.  A ... (a) 

(a)  Gli articoli segnati in questa forma sono del Cittadino Alethy. 


Canto della Vittoria per la disfatta dell'Armata Napoletana, messo

in Scena, e rappresentato nel Teatro della Repubblica, e delle

arti il dì 16. Ventoso anno VII. Tradotto dall'originale

Francese di Chaussard dal Cittadino Mattei.

 

Coro di Romani, di Romane, e di Fanciulli.

 

Un Corifeo. 

Personaggi

Un Cantore Romano.

 

Coro di Francesi.

 

Un Soldato Francese. 

Un Corifeo

A piombar dove andrà quest'impuro

Stuolo, aizato da un truce Liopardo?

Di perfidia a lui innanzi l'oscuro,

Ahimé! splende sinistro stendardo!

Lusingato per colpa impunita

Il furor già si desta d'un Re;

E la Stolta arroganza già irrita

Lion, che dorme, ma estinto non è.

Marcia su, marcia Guerriero,

Dall'antico Campidoglio

Va, discaccia il Re straniero.

Come fiume, che lenta, indivisa

Maestoso ritien la sua onda,

Se lo turba tempesta improvisa,

Alza il flutto, sorpassa la sponda:

Così il Franco, sorpreso nell'ombra,

Le sue schiere tremende adunò,

Già si slancian; Tiranno disgombra,

Su le torme il valor trionfò.

Agli Eroi, su, un Inno alziamo,

E fugati in Campidoglio

Ben due volte i Re cantiamo.

Un Cantore Romano

Città sacra, vetusto ricetto

Di virtudi, di libere genti,

Ergi il capo, fortifica il petto,

D'esser Madre dei Bruti sovvienti.

Ve dall'altro dei sette tuoi Colli

I Tiranni superbi crollar,

Ed i Franchi di sangue satolli

Le tue belle ruine avvivar.

Onoriamo i forti Eroi,

Che di nuovo il Campidoglio

Liberar dai ferri suoi.

Un soldato francese

Se i Re strugge, gli abatte, gli atterra,

Nuovo Alcide, il Francese valore,

Libertà tu lo meni alla guerra,

Gli armi il braccio, lo avvampi nel core.

I tuoi figli a più fulgida gloria,

Francia, aspiran di giungere un dì;

Dove vanno, sen va la vittoria,

Nasceran nuove palme così.

Marcia, su, Guerriero audace

Marcia, alfin dal tuo valore

Nascer debbe un dì la pace.

Politica ‑ Feudalità

Un popolo, che si rivolga d'uno stato in un'altro, dee, s'ei vuol mantenersi, volgere ancora i fatti, e l'opere sue in modo, che sia conforme alla qualità del governo, che prende. Cittadini, noi ci siamo di sudditi fatti liberi, e non i ricchi solo, ed i grandi, ma similmente le genti piccole, e povere tutti in uno stato siamci uniti libero ed eguale, che Democrazia, o governo popolare è detto. La nostra elezion libera, perché nata nel cuor de' buoni da lungo temo, pronunziata al fine co'  fatti nostri, e confermata dalle armi, e dalla volontà della più grande, e più libera nazione, cioè da Francesi, altro non è che un segnale posto a nostri sguardi, che ci mostra quello, che dobbiam fare. Altro non è, che un nome, se noi non ci rechiamo ad operare liberamente, e popolarmente. Altrimenti sia questa una popolar Repubblica di nome sì, ma d'opere sia, non dirò monarchia, nome aborrito, non aristocrazia, figlia della frode, ma un governo sia turbolento, e di lamenti, e disunione ripieno. E primieramente, Cittadini, è egli possibil mai, che la maestà popolare quì rinasca infra due parti del popolo, l'una delle quali è scalza, lacera, e smunta, e questa plebe si vuol dire, mentreché l'altra eccedente ogni misura, che s'affà ad un comune libero governo, nutre per via di quella un'enorme corpulenza, che nasconde, e teme non le sia disminuita. E rinascerà ella la maestà popolare in un tale popolo? Rinasceravvi certamente assai bene, tosto che la plebe sia detta libera ancor ella, ma volontariamente, o mal grado suo serva, travagli, e la si lasci mungere, e tosare da' Baroni. E che di più può mai pretendere la plebe? dirà taluno in prò de' Baroni. Ell' ha incallito l'ingegno, come le mani. Ella sempre fu dal nobile calpestata, e giammai a torto. Ell' è invecchiata ancora nella corruzione d'opinioni balorde, nel sentimento della propria viltà, e nel cuor del nulla. Ciò tutto è vero, io rispondo, mercé l'industria de' Baroni. Ma, Cittadini, udite chi seguita a dir per essi, come ragioni. S'io l'interogassi; o plebe, non ti basta ora di dirti libera? In che ingiuria senti a starti legata ad uno, che è pur detto ora tuo eguale, per via di tributi, che sono sua proprietà? viene egli ad inpiacevolirtene finanche il nome chiamandoli canoni; o Plebe, che ingiuria tu senti? Oseresti tu, Plebe, volere, che la proprietà non sia più proprietà? Io nol credo certo, e credo anzi, che ognuno vegga la giustizia di questo principio, che non bisogna spogliar veruno del suo. Altrimenti sulla plebe ricadrebbe la forza dell'esempio, e la ragion d'un tale diritto. Noi le torremmo in iscambio parte di sua proprietà, qualunque la sia. Così discorre un tutore de' Baroni, che allarga alquanto la bocca, mentre i suoi pupilli allargano la mano. Temete, Cittadini, chi vuol farvi approvare un monarca, sebben la forza ne risegga in più capi. Temete del suo discorso, s'egli giunge a farvi illusione, o spregiatelo, conoscendone, come dovete, gli assurdi. Quale in fatti, io v'addimando, è la proprietà più ricca, e più gelosamente custodita dalla plebe? Una io ne sò, quest'è il travaglio, ed usurpisi quest'una proprietà della plebe. Leghinsi in prima le mani, e s'impediscan l'uso delle vanghe, e della falce alle tribù rustiche; impediscansi i loro lavori a mercanti, ai diversi artisti, a' piloti, marinai, ed altri simili Si rimanghino ormai tutti gli operaj d'affannarsi, lasciando a' Baroni colla proprietà d'immense ricchezze quell'ancora d'immenso travaglio. Prestamente cesserebbe ogni società, e rimarebber vuote d'uomini le, case d'ognuno, se la mano avessero ad usar faticando i Baroni, o sia i gentiluomini. E non vorrem noi, che sien liberi, forti, e proporzionevolmente alla fatica potenti coloro, che nutrendoci de' frutti della terra sono i padri del vivere cittadinesco, i sostegni della società, e i più degni della libertà civile. Ma come (torna a dire colui, che vi parlò poc'anzi, o Cittadini) come non s'avrà a ricusare alla plebe quello, che a lei senz'oltraggio di molti, e grandi ed illustri, e già detti nobili non è da concedere? a grandi bensì un toglier sarebbe il sangue loro, levando a medesimi ciò ch'essi per far mostra di generosità in luogo di dritti chiameran canoni. Levinsi per via d'esempio a Baroni quelle rendite che vogliono omai percepir canonicamente, che s'avrà egli fatto? Osservate, Repubblicani, l'adorna ampiezza, e la sontuosità delle loro abitazioni fuori, e dentro la Città. Osservate la moltitudine del popolo, che loro serve; la maestà, che ne risentono le terre, e i villaggi loro, e le mura stesse di questa grande città per lo splendore, che le persone di quelli circonda. Vuolsi adunque, e si pretende, che lo squallore, e la tristezza annidi in questi tanti luoghi, ov'essi dimorano? Che la prima Città di questa libera terra degeneri dal lusso, e vegga ir tristi, e con alcun lavorio tra mano quegli allegri, succosi, e risplendenti famigli, che sotto varj nomi com' un'onda si distendono per le case de' Baroni? Se al fine quel succo di cui vien privata la plebe, nutrisse, e crescesse in alcuno de' gentiluomini l'ozio il più vile, e neghittoso, hassi perciò un vecchio giunto all'estrema soglia della vita, a ritrar indietro per fargli apprendere, non le umane lettere, perché dove sono i maestri? ma a trattare il cuojo, il ferro, il legname o 'l sasso nella scuola d'un calzolajo, d'un ferrajo, d'un legnajuolo, o d'uno scalpellino? che della marra, de' buoi, e dell'aratro non ragionasi molto nelle nuove italiane repubbliche. Deh cittadini, riflettete alquanto sopra la ruina estrema, la quale causerebbe in mezzo a noi una legge, che intacca le radici più belle, e più vitali della feudalità. Così ragiona gran, parte d'uomini, che se medesima non sa, ne può intendere, mentre così ragiona. Ama la repubblica, e rispetta i vecchi rottami della monarchia. Predica virtù, e lascia consolidare in quattro quinti della popolazione la miseria, e l'ignoranza, madri di molti vizj, e nell'ultima porzion di quella la morta oziosità, ed il fiacco orgoglio. Brama, che sian le scienze, l'agricultura, il comercio condotte al loro colmo, e dissecca, infiacchisce, ed allontana, o tronca la mano plebea, che le guida colà arditamente. Ahimé! misero contrasto di sentimenti, che un tal uomo ha nel cuor suo. Uom di fango. Parmi, ch'egli giunga infine a dir con voce franca, ed animo impudente. Se voi, Cittadini Rappresentanti, usate della virtù, e del coraggio, che vi stimola per fare due leggi, ambedue gagliarde, strordinarie, ed inducenti morte all'inegualità civile, quali sono l'estinsione per l'una parte de' Maggiorescati e per l'altra de' Feudali Dritti, troppo dovrete logorarvi di poi per essere uniformi a questi primi saggi di chiara virtù. Non v'esponete dunque al pericolo grandissimo, che vi sovrasta, Cittadini. Quanto ardire, quale insolito studio, quale vigilante perseveranza, quale copia di nuovo, ed inusitato sapere non vi sarà duopo a tutte le ore se voi fate incidere queste due leggi? Niuna cosa mediocre soffriran più da voi i Nazionali, e gli stranieri, i Dipartimenti vostri, la Repubblica intera, in fine l'Italia, e la Francia. Non trapassate dunque il confine d'un ordinario sistema, i limiti prescritti dalla mediocrità. Questa è pure una virtù, e tanto più dolce, quanto ella fa compagnia col lusso, coi piaceri della vita, colle piume, col sonno, con l'uso di nojose anticamere pel popolo, che accorre da voi, con una bugiarda gravità di sopraciglio, e con un poco di occulta rapacità, causa tra voi per altro di beneficenza. Tenetevi dunque fra questi spazj di vita onorata, e piacevole. Fuggite quel rompere in sulla visiera alla feudalità. Fuggite il disgusto della Regia Plebe. Fuggite quella equalità, che rende liete le famiglie, fa rigermogliar la popolazione ne' più inculti dipartimenti, aggiunge vita all'agricultura, anima le scienze, rende i corpi robusti, mercé la necessità delle fatiche, e dell'esercizio, e sopra tutto fa sano, e buon capo. Ecco, Cittadini, a che si reca la difesa del dritto Baronale. Volete voi conoscere che questo è un vizio della Repubblica, un morbo, che la rode, una fiera peste, che la conduce prestamente alla morte? notate, come ella s'unisce bene colla pubblica infelicità, come udiste; come fa lega coi vizj privati, non meno che pubblici, colla desolazione delle terre, sparse de' miseri baronali villaggi, col letargo serpeggiante in seno ad uominì capaci d'ogni più ardita impresa coll'atterramento in fine, ch'ella tenta d'una mal fondata democrazia. Mal fondata ahimè! se i Baroni non discendono al grado, che loro conviensi. O democrazia, o nome sacro, tu ci abbandoni? Tu dunque sì ne lasci, avvolti nelle lagrime, colle quali bagniamo il nostro petto, e queste braccia inutilmente logore dalla fatica, il di cui frutto ci è tolto. Noi dunque scenderemo al sepolcro, senza aver mai goduto un bel dì rischiarato dalla tua presenza. O irem noi in folla raminghi cercando sotto un più crudo Cielo più dolce Governo; e fratelli in luogo di Signori, e Cittadini in luogo di feroci esattori? Eccoti le nostre famiglie, che son pur de' milioni di uomini, squallide, e mal coperte di alquanti cenci, percosse di tristezza, di timore, e non conoscendo pur d'esser uomini allo scontro d'una sola occhiata dei Baroni. E noi siam Popolo, e noi chiameran liberi, e noi diran parte della Repubblica coloro, che sì ci calpestano? Il diran sì, il diranno ma per insulto; il diranno ridendo; il diranno seduti alla mensa, mentre noi vedranno impallidir per la fame, il diranno sempre dell'antico fasto ubriachi. Non sono queste pitture dei Popoli dell'Asia, e dell'America. Di voi si parla, o Baroni, di noi si parla, o Popol libero. S'io mentisco, ch'io cada vittima all'istante; ed il Ciel volesse foss'io, né ambiziosamente il dico per certo, foss'io fra quei pochi, i quali colla morte comperarono il piacer di non mirare oggi, per colpa di pochissimi, noi loro Concittadini men che liberi. Per colpa di pochissimi io dico, perché la virtù, l'innocenza, l'amor della Patria, la generosità medesima, ed il disinteresse il più chiaro di molti de' Maggiori Baroni si mostrano per tutto, e per tutto fan discendere fra le tenebre e quest'error che ne circonda, uno splendidissimo lume d'umanità. Noi dunque in loro, anzi pure in tutti i Baroni ci fidiamo che scossi dall'esempio dei magnanimi Francesi gl'invitino a prestare la man loro vincitrice, la man loro sacra all'oppression d'ogni tirannide, per decretare il fine di questa più squallida sì, ma non meno mortificante della Libertà, e dell'Eguaglianza, che quella spenta, e rimossa di quà per lo valore, e la potenza del nome, e braccio loro.

A ...

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